Premier a reti unificate. Monologhi dalle rovine


Nella tragica settimana Berlusconi ha comunicato direttamente con gli
italiani dalle tv. Rai e Mediaset ne moltiplicano l’immagine. E la popolarità


Tempestivo, determinato a intraprendere in Abruzzo il «metodo Napoli», gestire in prima persona l’emergenza terremoto passo passo, vestire i panni del tecnico, Silvio Berlusconi nella settimana della tragedia si è rivolto solo alla gente attraverso la moltiplicazione mediatica. Dagli sfollati sopravvissuti ai telespettatori, arrivando così agli elettori. Per stracciare ogni filtro ha comunicato solo in tv, onnipresente e dilagante in ogni tg Rai e sulle sue reti Mediaset, fino alla celebrazione stucchevole che ne ha fatto Matrix, su Canale5, nel venerdì Santo del funerale.
Un’intervista telefonica del conduttore che ha sostituito Enrico Mentana, Alessio Vinci. Parole e racconti esaltati dalle immagini ripetute a loop, a rullo continuo: Silvio che prega, che abbraccia una signora che ha perso i suoi cari, che accarezza un ragazzo, che si mischia con i volontari della Protezione civile e che si tira fuori dalla fotografia immobile e granitica delle figure di Stato. Dalla (sua) tv ripete che offre tre delle sue case agli sfollati, per mettersi alla pari con gli italiani a cui ha chiesto un atto di generosità, nascondendo il metro di paragone fra appartamentini sulla costa e le sue Ville accomodate in luoghi ameni.
È l’esaltazione di un culto della personalità messa in atto sulle televisioni di sua proprietà. Qualcosa che, forse, tracima in modo sgradevole da quella che, tutto sommato, è apparsa una reale commozione del premier e una immedesimazione nel dolore collettivo.
Ma è stato proprio Berlusconi, a sorpresa, ad avere cancellato le mediazioni fin dalla prima sera. Quando, dopo il primo consiglio dei ministri lunedì 6, mentre i cronisti aspettavano a Palazzo Chigi l’annunciata conferenza stampa, il premier ha scelto il messaggio a reti unificate, di fatto, nella ormai sempre più consolidata Raiset, dove i confini proprietari fra tv pubblica e privata sono slabrati. Le doppie telefonate, a Matrix e a Porta a Porta, per comunicare agli italiani che Lui era sul campo, aveva rinunciato ad andare a Mosca per volare a L’Aquila.
Una costante, dal giorno dopo. Sottolineata dalle conferenze stampa quotidiane, oculatamente previste in orario per il Tg1 e gli altri, mostrandosi come «l’uomo del fare» in maglioncino, con mappe e carte e casco accanto al nuovo angelo custode Bertolaso; annunci e correzioni sulle New Town, spot utili a far pre-digerire il Piano casa. Di mattina parla ancora a Canale5 con Belpietro (in corsa per il Tg1) e, da Roma, si esalta sul (suo) sondaggio che vedrebbe schizzare la sua popolarità oltre il 70 per cento, nonostante le gaffes delle tendopoli, cliché notati ormai solo dai giornali stranieri.
La prostrazione mediatica si ripete anche su Rai1: La Vita in diretta venerdì dispensa una lunga intervista con tono enfatico e compreso. E ancora ieri in tutti i tg l’immagine fissa di Silvio ha lanciato messaggi, nonostante sia entrata in vigore la par condicio. Ma l’uomo del «ghe pensi mi» è sfuggente quando deve associarsi a una denuncia del Capo dello Stato sulla responsabilità di costruttori. E oggi sarà di nuovo lì: dalle tendopoli alle tavole del pranzo di Pasqua degli italiani.

 Natalia Lombardo    l’Unità 12.4.09

 

 

Tolleranza zero sull'informazione


Nella diretta sui funerali, Silvio Berlusconi si stacca dalla fila delle autorità e va tra i parenti per abbracciarli e confortarli. Le telecamere sono per lui, uomo commosso e affranto. Le alte cariche dello stato sfumano in secondo piano. Si chiude così una settimana televisiva che, insieme a tanti morti in carne e ossa, ha seppellito, sotto il conflitto di interessi, anche l'informazione. Le armate berlusconiane ora attaccano Annozero, definiscono «vergognoso oltraggio» la denuncia, promettono tolleranza zero per i superstiti di un giornalismo che illuminando il malpaese mette in pericolo l'immagine perfetta di lacrime e new-town, di dolore e case per tutti.
«L'emergenza sicurezza è proteggere chi studia, non mandare i figli a scuola o all'università come se andassero ogni giorno in guerra. Per poter seppellire i morti vogliamo sapere cosa è accaduto: un paese civile deve dare una risposta». Lo dice la sorella di un ragazzo morto sotto il cemento della casa dello studente. Avrà vent'anni parla con gli occhi asciutti, esprime, con lucida rabbia, quello che i telegiornali hanno accuratamente evitato di sottolineare, occupati a lodare i soccorsi e la fattiva presenza di Berlusconi.
Suona persino eccentrico ascoltare queste voci in un programma televisivo, diventano come eccezioni alla regola. Che «prima dei ponti e del 20 per cento di cubatura in più, si pensi a questo», che «non ci sono tende, non ci sono bagni, né acqua», o che un uomo di scienza come Boschi confermi : «la pianificazione non c'era, Bertolaso è stato veloce ma quando è arrivato non ha trovato l'organizzazione». Tutto rischia di finire nel partito del solito Santoro, segnando una distorsione, un pregiudizio difficile da scardinare.
Queste voci hanno nutrito l'appuntamento di Annozero, mettendo al centro la mancanza di esercitazioni di emergenza in Abruzzo (prima della catastrofe), l'entità dei tagli alle casse della protezione civile (documentati dai capitolati dell'ultima legge finanziaria), l'esistenza di un problema culturale e di risorse (soldi), i legami con il mondo degli affari illeciti. Fatti del resto denunciati in bella evidenza da addetti ai lavori e rilanciati da alcuni giornali. Ma non dalla televisione, anzi respinti dal piccolo schermo (telegiornali in testa) come corpi estranei a un discorso basato sul doppio binario del dolore e della rassicurazione: le due materie di educazione civica in cui la tv si è specializzata negli ultimi anni.
Così quando l'altra sera il malpaese è diventato (come era in parte già accaduto a Ballarò) l'oggetto delle due ore di Annozero, la destra ha urlato all'oltraggio, definendo «vergognoso», per bocca di Giordano (direttore del giornale di famiglia) e del sottosegretario Crosetto (centrodestra), questo modo di vedere le cose. Come se obiettare equivalesse a bestemmiare, e informare significasse deturpare la performance del presidente del consiglio e, per assonanza, del pompiere. Alla serata in tv è seguita una violenta reazione dei giornali della destra berlusconiana, che estende al giornalismo critico la tolleranza zero. Finisce così nel cono d'ombra (non ci vuole molto) l'opposizione, e pure il Quirinale, declassando la notizia della visita (e le parole severe del presidente Napolitano) a titoli di fondo pagina.

Norma Rangeri    Il manifesto  11 04 09

 



«Leader messianico e populista come era Peron»
Intervista a Alessandro Amadori di Natalia Lombardo

Il “fenomeno messianico” Berlusconi non è razionale, è pre-politico: bypassa tutte le mediazioni e entra in rapporto diretto con l’opinione pubblica. E i media si appiattiscono in un monologo, un reality show»: Alessandro Amadori, psicologo, semiologo e fondatore di Coesis Research; sulla strategia comunicativa di Silvio Berlusconi nel 2001 scrisse il libro «Mi consenta».
Secondo lei la sovraesposizione mediatica sul dramma del terremoto è stata voluta dal premier?
«A me è sembrato che Berlusconi abbia manifestato una parte reale del suo modo di essere. La parte che chiama e riesce a instaurare il contatto messianico con l’opinione pubblica. Esiste la categoria dei leader messianici, un leader che bypassa i filtri, supera i corpi intermedi di mediazione e cerca di entrare in risonanza diretta col proprio popolo. È la base del populismo. Questa volta credo Berlusconi sia stato spontaneo, non voluto o costruito. È così».
Quindi andare fra la gente al funerale, piuttosto che fra le autorità, non è stato un calcolo preciso?
«Lo escluderei. Esiste un meccanismo, sottovalutato, che porta al lungo successo di Berlusconi: questa capacità di risonanza diretta. Un grande punto di forza per lui, ma che espone a rischi di una deriva personalista, più che autoritaria. Non lo immagino aspirante dittatore».
Già ma il volere più poteri per il premier, il vivere il Parlamento come un freno, non sono rischi?
«Sì, ma non tanto per volontà autoritaria, quanto per questo rapporto messianico, diretto».
Vuol fare tutto da solo?
«In un certo senso sì. È una forma di empatia portata all’estremo, e questo lo rende insofferente per i processi di mediazione. Ma non lo accomunerei a Mussolini, a Stalin o a Hitler, quanto a leader come De Gaulle e Peron, soprattutto quest’ultimo. Berlusconi è più impulsivo che machiavellico».
Chi lo conosce dice che non fa niente a caso...
«Forse sì, ma più nella politologia classica che quando è in mezzo alla gente. In questo è davvero allievo di Bossi, si somigliano. Insomma, al funerale mi è sembrato un leader popolare, anche populista, con un rapporto stretto, diretto e reciproco con la sua opinione pubblica».
Berlusconi capisce la gente anche quando fa le battute del tipo: una vacanza “in campeggio” o “al mare”?
«Sì. anche se nel voler sempre sdrammatizzare gli sfuggono battute distoniche. Ma la gente gliele perdona, subito dopo il meccanismo si rimette in moto. Però nessun altro leader ha questo rapporto con i suoi elettori. Franceschini, infatti, oltre alla gravità del momento, ha capito che sarebbe stato fuori luogo attaccare o ironizzare su Berlusconi, semmai bisogna rifletetre su questo rapporto».
Controcampo: le televisioni alimentano il culto della personalità?
«Ho notato un forte appiattimento dell’offerta televisiva. Tutto è raccontato nello stesso modo, senza capacità di elaborazione, quasi in “presa diretta”. Ecco, i media hanno seguito il format del reality show. Un monologo visivo senza pluralismo delle voci, tutti gli altri sono scomparsi. Capisco che per le tv è difficile sottrarsi al fascino polarizzante di Berlusconi, ma la scena, oggi, è un monologo».

l’Unità 12.4.09

 




Radiografia di un terremoto catodico
L’Aquila, il premier e le trasmissioni tv


Certo, rispetto al Premier che, in piena crisi Alitalia, plana con l’elicottero di Stato sulla Beauty Farm Méssegué, meglio il Premier che, in pieno disastro terremoto, plana su L’Aquila. E, in barba a ogni allergia al Capo, uno si impegna ad apprezzare quel segno di presenza sopportando i segnali di presenzialismo che lo corredano: le visite agli sfollati con apposito look informale che fa tanto "uomo del fare"; le incongrue parole sulla Pasqua da trascorrere al mare e sulla crema solare da spalmarsi (accolte bene dai destinatari, a triste riprova di una sintonia tra Eletto ed elettori fondata sul "battutese" televisivo spacciato per anni dal primo ai secondi); le conferenze stampa quotidiane, rubrica fissa che ricalca analoghi tormentoni partenopei (sul luogo del disastro ambientale), a cavalcare l’onda emotiva e (forse) i sondaggi positivi, con sfoggio di mimica telegenica atta a raffigurare la tosta operatività del Leader, celebrata per iscritto dai cronisti embedded, da Minzolini in giù.
Più in generale, ci si adatta ad accettare la cannibalizzazione catodica della tragedia: con inevitabile (ma perché?) indotto pre e postprandiale a base di Cucuzza, Sposini e D’Urso, reduci e prossimi ad efferate gossipate ma intenti ad ora a focalizzare il lato umano del dramma, a volte anche umanamente, con le classiche retoriche a fin di bene, e di propaganda. Vero, le Carfagna e Gelmini che la sera dopo il sisma bivaccano a "Matrix", non sono digeribilissime. E ancora meno nelle successive passerelle umanitarie in favore di telecamera, come il resto del battaglione ministeriale in missione superflua immortalato dai tiggì.
Mentre il Vespa del "Porta a Porta" speciale della prima sera che, dopo un sensato sorvolo sul luogo della catastrofe, si strugge su un peluche spuntato fra le macerie, ti imbarazza un po’: non per la scena in sé, legittimamente patetica, ma perché ti evoca il cinico brandire, da parte del conduttore, altri tragici oggetti (lo zoccolo di Cogne, la bicicletta di Garlasco). Ma è ad un punto preciso di quel "Porta a Porta", che la tua resistenza cede: quando, presenti i ministri Maroni e Matteoli (e soffocata la domanda spontanea "ma la sera del terremoto non dovevano essere a lavorare, invece che in tivù?"), il Premier intima via telefono a Maroni di provvedere all’invio di nuovi vigili del fuoco.
Delle due l’una: o gliel’aveva già detto, e lì recitava a mo’ di reality; oppure, invece di interloquire coi ministri nei luoghi deputati, lo faceva alla tele per fare più scena. In ogni caso, una brutta scena. Insopportabile.

Enzo Costa    l’Unità 12.4.09
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