Il prefetto che rispettava i Rom
Un racconto rom ci narra di Hitler Tuka: «C’era una volta un re che odiava i Rom
e li voleva ammazzare, perché erano diversi da lui e parlavano una lingua che
lui non capiva. Ma ai giorni nostri ammazzare tante persone non è proprio una
grande cosa, allora pensò di far diventare tutti i Rom criminali, difatti
ammazzare criminali è tutt’altra cosa. Quindi dà l’ordine di cacciare tutti i
Rom dalle città nei boschi in modo che là abbiano freddo e fame così ruberanno
le patate ai contadini, ed ecco i ladri!...»
In questo racconto si mescolano la memoria del Porrajmos, lo sterminio dei Rom,
al disagio sociale dei moderni campi di segregazione, i cosiddetti “campi
nomadi”, che, se proprio ci devono essere, devono stare lontano, nascosti agli
occhi dei “normali” cittadini. A Milano come a Roma, dove addirittura devono
essere spostati al di fuori del grande raccordo anulare. E le donne e gli uomini
che lavorano? e i bambini che vanno a scuola? Chi se ne frega, che se ne tornino
al loro Paese, pensa e dice la Lega dimenticando che metà dei Rom sono di
origine italiana dal 1400, prima di tanti “lumbard”.
Campi nomadi quindi come discariche sociali nelle quali è molto difficile
mantenere quei pezzi di vita decente strappati al pregiudizio e all’odio ed è
più facile ricorrere a tutto quello che si può per sopravvivere.
Queste cose il prefetto di Roma Carlo Mosca le sapeva bene quando ha rifiutato
di schedare con le impronte i bambini Rom e spiegava che non aiutava la
sicurezza sgomberare comunità che avevano un minimo di stabilità spargendo sul
territorio persone disperate.
Ma queste cose banalmente civili non lo sono quando la paura dell’altro
serve a raccattare consenso politico e a offrire un capro espiatorio a un Paese
in crisi sociale, economica e morale. Allora via chi ostacola questo
percorso, via chi capisce che altro deve essere il modo di affrontare un
processo irreversibile come quello dell’immigrazione e della convivenza nel
rispetto reciproco di etnie, culture, religioni diverse. Io vengo dalla Serbia,
dalla ex-Jugoslavia, ho vissuto il dramma, la violenza, il dolore della rottura
della convivenza tra le tante diversità che formavano la mia nazione e per
questo so bene quanto siano preziosi uomini che al di là dell’appartenenza
politica abbiano bene in mente il valore delle diversità e dei principi che
regolano la convivenza democratica.
Prefetto Mosca, nais, te aves bahtalò! (in romanes: grazie e la fortuna sia con
lei) perché ha fatto capire al mio popolo che si può sperare in persone come lei
nel momento in cui in questo Paese sembrano tornare i modi del terribile Hitler
Tuka.
Dijana Pavlovic l’Unità 10.11.08
dijana.pavlovic@fastwebnet.it