Il predone
Pensiamo ogni volta di aver conosciuto di
Berlusconi il volto peggiore, l'intenzione più maligna, la mossa più
fraudolenta. Bisogna convincersene, quell'uomo sarà sempre in grado di
mostrare un'intenzione ancora più maligna, una mossa ancora più fraudolenta, un
volto ancora peggiore. Sappiamo che cosa è e rappresenta la cosa
pubblica per il signore di Arcore, non dobbiamo scoprirlo oggi. È l'opportunità
di ignorare e distruggere le inchieste giudiziarie che hanno ricostruito con
quali metodi e complici e violenze Silvio Berlusconi ha messo insieme il suo
impero. Non scopriamo adesso che il signore di Arcore si è fatto Cesare
per evitare la galera (lo ha detto in pubblico senza vergogna il suo amico
Fedele Confalonieri). E tuttavia, pur consapevoli che il potere
berlusconiano sia esercitato in modo esplicito a protezione dei suoi interessi
privati, lascia di stucco l'affaire Brancher.
La storia la si conosce. C'è questo signore, Aldo Brancher. Non se ne apprezza
un pregio. Si sa che è stato assistente di Confalonieri in Fininvest. Con questo
ruolo, tiene i contatti con socialisti e liberali nella prima repubblica. Detto
in altro modo, è l'addetto alla loro corruzione. Il pool di Milano documenta nel
1993 che Brancher elargisce 300 milioni di lire al Psi e 300 al segretario del
ministro della Sanità liberale (Francesco De Lorenzo) per arraffare a vantaggio
della Fininvest un piano pubblicitario dello Stato.
Lo arrestano. Resta tre mesi a san Vittore. Non scuce una frase. Condannato in
primo grado e in appello per falso in bilancio e finanziamento illecito, vede la
luce in Cassazione grazie alla prescrizione del secondo reato e alla
depenalizzazione del primo corrette, l'una e l'altra, dalle leggi
"privatistiche" del governo Berlusconi. Il salvataggio del Capo e della Ditta
gli vale, a titolo di risarcimento, l'incarico di messo tra il partito del
presidente e la Lega di Bossi, uno scranno in Parlamento, un seggio di
sottosegretario di governo. E da qualche giorno anche di ministro. Ministro
senza incarico, senza missione, senza alcuna utilità per il Paese. Un ministro
talmente superfluo che gli cambiano anche la delega dopo la nomina.
Fin dall'annuncio del suo ingresso nel governo, è chiaro a tutti - se non agli
ingenui - che Aldo Brancher diventa ministro per un'unica necessità:
egli deve opporre nel giudizio che lo vede imputato di appropriazione indebita
nel processo Antonveneta il legittimo impedimento che Berlusconi si è
affatturato per liberarsi dalle sue rogne giudiziarie. Ora che Brancher
chiede di salvarsi dal giudizio perché ministro, anche gli ingenui hanno capito.
C'è qualcosa di umiliante e di illuminante in quest'affaire perché ci
mostra in quale abisso di degradazione sono state precipitate le nostre
istituzioni. Ci manifesta quale arretramento di secoli la nostra democrazia deve
affrontare. Ci dice che le istituzioni coincidono ormai con le persone
che le incarnano, anzi con la persona, quel solo uomo - il Cesare di Arcore
- che le "possiede" tutte come cosa sua, Ditta sua, nella sua piena
disponibilità proprietaria al punto che può eleggere il suo "cavallo" senatore o
ministro uno dei suoi complici, pretendendo oggi per il ministro (e domani per
il senatore, chissà) la stessa impunità che ha assegnato a se stesso.
Voglio dire che quel che abbiamo sotto gli occhi con il caso Brancher è
nitido: il cesarismo, il bonapartismo, il peronismo - chiamatelo come volete
- di Silvio Berlusconi non riconosce alle istituzioni, alle funzioni pubbliche
dello Stato alcuna oggettività, ma soltanto la soggettività che egli - nel suo
potere e volontà - di volta in volta decide di assegnare loro. Il
governo è suo, di Berlusconi, perché il popolo glielo ha dato e così del governo
ci fa quello che gli pare. Se vuole, lo trasforma - come per Brancher - in
una casa dell'impunità per corifei e turiferari. Quel che l'affaire
illumina è il lavoro mortale di indebolimento delle istituzioni. Di quelle
istituzioni nate per arginare l'abuso e l'istinto di sopraffazione, per
garantire sicurezza e stabilità, diffondere fiducia e cooperazione e diventate,
nella democrazia plebiscitaria del signore di Arcore, strumento inutile, ferro
rugginoso e inservibile.
Se la nomina a ministro può mortificarsi a capriccio e complicità vuol
dire che la politica può fare a meno delle istituzioni. Certo, non
si possono accantonarle formalmente, ma svuotarle, sì. Di ogni significato,
rilevanza, legittimità, come accade al governo con l'uomo diventato ministro per
evitare il giudice. Osserviamo ora la scena che Berlusconi ha costruito
in questi due anni di governo. Il Parlamento è soltanto l'esecutore muto degli
ordini dell'esecutivo. La Corte costituzionale e la magistratura devono essere
presto subordinate al comando politico. La presidenza della Repubblica, priva
della legittimità popolare, è soltanto un impaccio improprio. Il governo, già
consesso obbediente agli ordini del sovrano, diviene ora e addirittura il premio
per chi, con il suo servizio al Capo, si è guadagnato il vantaggio di rendersi
legibus solutus come il sovrano. Tocchiamo qui con mano il
conflitto freddo che si sta consumando tra una concezione della democrazia
incardinata nella Costituzione, nei principi di una democrazia liberale basata
sull'oggettività delle funzioni pubbliche e la convinzione che il voto popolare
renda onnipotenti e consenta ogni mossa anche l'annichilimento delle
istituzioni.
Giuseppe D'Avanzo La Repubblica 25/6/2010