Il potere oltre le regole
Negli Stati Uniti, alla
vigilia del voto del Congresso americano sul maxi-piano di salvataggio bancario
più imponente della storia, il segretario al Tesoro Henry Paulson ha compiuto un
atto simbolico carico di significati: si è inginocchiato di fronte al presidente
Nancy Pelosi, per invocare al Parlamento l´approvazione rapida di quel pacchetto
di norme.
Il potere esecutivo, sia pure in una condizione di assoluta emergenza nazionale,
si rimette al giudizio solenne del potere legislativo. È un segno tangibile di
come, nonostante il caos finanziario che non ha saputo scongiurare e che ora
fatica a gestire, la democrazia americana sa riconoscere i suoi valori, le sue
regole, le sue istituzioni.
In Italia, alla vigilia del varo imminente dell´ennesimo decreto legge, stavolta
sulla prostituzione, il presidente del Consiglio lancia un attacco ideologico
contro il Parlamento, colpevole di intralciare l´azione del governo. «Imporrò
alle Camere l´approvazione entro due mesi di tutti i decreti legge che riterrò
necessari per governare il Paese - annuncia Berlusconi - e non esiterò a porre
la fiducia ogni volta che servirà, poiché la fiducia è questione di coraggio e
di responsabilità». Il potere esecutivo, sia pure dotato di una maggioranza
senza precedenti, sottomette il potere legislativo. È un segno tangibile di
come, nonostante l´esistenza formale dei suoi precetti e la resistenza
sostanziale dei suoi organi di garanzia, la democrazia italiana rischia di
svilire i suoi principi, i suoi precetti, la sua qualità.
L´offensiva del premier tocca un nervo scoperto per il ceto politico, e un punto
sensibile per l´opinione pubblica. In questi anni l´odiata Casta che abita le
aule parlamentari, tra privilegi e inefficienze, non ha fatto nulla per meritare
la fiducia del popolo sovrano. Berlusconi, ancora una volta, cavalca l´onda
dell´antipolitica. E da «uomo del fare» che combatte i «parrucconi», ha capito
ciò che i governati sfiduciati chiedono ai governanti delegittimati: decidere, o
anche solo far finta di aver deciso. È quello che il premier sta facendo,
incrociando il senso comune dominante. Sui rifiuti e sull´Alitalia, sui rom e
sulla camorra. Non conta ciò che c´è «nel» provvedimento. Conta solo che ci sia
«il» provvedimento. Tutto quello che intralcia o rallenta il processo va
rimosso, o quanto meno esecrato. Vale la decisione. Non c´è più spazio per la
discussione e, a volte, nemmeno per la ragione. E così, oggi, pur guidando un
governo del presidente e comandando una maggioranza di 162 tra deputati e
senatori, il Cavaliere si permette il lusso di additare proprio il Parlamento
come il luogo della «non decisione».
L´attacco al potere legislativo è una mossa ad effetto, che può far presa nella
gente. Ma è una scelta grave. Lo è dal punto di vista politico. Anche il
Parlamento, per lo più ridotto a «votificio», necessita di riforme. Ma queste
riforme non può imporle a forza il capo dell´esecutivo, a colpi di decreti legge
e di fiducia. La revisione dei regolamenti parlamentari è opportuna, ma è
materia da trattare con cautela e rispetto. Non a caso è disciplinata
addirittura dalla Costituzione, che attribuisce ai regolamenti la forza di fonti
del diritto e all´articolo 64 ne vincola la modifica alla «procedura rinforzata»
delle maggioranze assolute.
Ma la scelta di Berlusconi è grave anche e soprattutto dal punto di vista
istituzionale. Ha un solo precedente, evidentemente non casuale, nella storia
repubblicana. È Bettino Craxi, che al congresso del Psi di Verona, nel 1984,
furibondo per la mancata conversione del decreto di San Valentino sulla scala
mobile, tuonò contro i parlamentari che si occupavano «solo di conferenze sulle
aspirine» e di «norme in materia di pollame, molluschi, prosciutto di San
Daniele e scuole di chitarra». Perché, a distanza di 25 anni, Berlusconi sente
oggi il bisogno di replicare, con formule addirittura deteriori, il modello
craxiano? Che bisogno ha, proprio ora che tiene il Paese in tasca e domina in
splendida solitudine la scena politica, di riaprire un conflitto così aspro e
avvelenato con le istituzioni?
C´è una sola risposta con un senso compiuto: è il Quirinale. Il Cavaliere ha
fretta di chiudere la Seconda Repubblica e di inaugurare, se serve anche nel
fuoco della battaglia, una Terza Repubblica tagliata ancora una volta a misura
della sua biografia personale. E colpisce che, di questa trama palese, le anime
belle della sedicente «cultura liberale» non vedano i fili. Se Veltroni, per
aver accostato il premier a Putin, è accusato di essere ancora prigioniero della
«vecchia narrazione» di un centrosinistra tenuto insieme solo dal cemento
dell´anti-berlusconismo, di quale «nuova narrazione» sarebbe invece interprete
Berlusconi, che ritorna in guerra contro i suoi soliti fantasmi, umilia il
Parlamento, svalorizza il Capo dello Stato, minaccia la Corte costituzionale?
La vera «cifra» del nuovo berlusconismo, micidiale miscela di cesarismo
regressivo e di populismo deliberativo, è racchiusa in un mirabile enunciato di
Giuliano Ferrara, il suo più brillante esegeta: «La democrazia, alla fine, non è
expertise, ma è solo consenso». In questi tempi difficili è una verità
agghiacciante. Ma purtroppo è esattamente così che Berlusconi sta riducendo la
nostra democrazia.
Massimo Giannini Repubblica 3.10.08
m.giannini@repubblica.it