Porta Pia, festa grottesca
La commistione tra autorità civili e
religiose assomiglia al tentativo di far commemorare gli antifascisti da
quelli che erano stati, negli anni ’30 e ’40, alleati con i loro nemici
Erano le cinque e un quarto del mattino quando il 20 settembre l’artiglieria
italiana sparò i primi due colpi di cannone contro le mura di Roma all’altezza
di Porta Maggiore e Porta Pia. La resa avvenne verso le undici del mattino dopo
che Pio IX ha ordinato ai pontifici di presentare la bandiera bianca. I morti
tra i bersaglieri sono 49, tra i pontifici 19. Pio IX, riuniti i diplomatici
presso lo Stato Pontificio, definisce l’assalto “un attentato sacrilego” e
dovranno passare altri cinquantanove anni prima che Mussolini e Pio XI firmino
il Trattato del Laterano e i Patti annessi.
La pace tra Stato e Chiesa
DA QUEL MOMENTO regna, per così dire, la pace tra Stato e Chiesa ma la dittatura
fascista lo ha fatto per avere la Chiesa dalla sua parte e non certo per
realizzare la formula di Camillo Benso, conte di Cavour, che in anni lontani
aveva detto: “Libera Chiesa in libero Stato.” E il Vaticano, a sua volta,
ha ottenuto dallo Stato quel che non aveva mai avuto dalla classe dirigente
liberale sul piano economico come su quello politico. Ed oggi, nel Ventunesimo
secolo dopo che nel 1988 è stato rinnovato con qualche modifica il Concordato
del 1929 e la Chiesa cattolica ha messo sull’attenti gran parte della classe
politica, di governo e di opposizione, si può dire che la celebrazione del 1870
avviene nelle migliori condizioni possibili per la Santa Sede. Roma diventa
Capitale con la legge appena approvata e il sindaco Alemanno che, da fascista
che era è diventato un berlusconiano fervente, può celebrare oggi i centoquarant’anni
della Breccia di Porta Pia non soltanto con il capo dello Stato ma anche con il
cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, come se la Chiesa fosse stata
anch’essa dalla parte dell’Italia appena unificata piuttosto che contro a
rispondere con le cannonate ai bersaglieri che premevano dal di fuori.
Ed è questo il centro della giornata
di ieri e il significato che le autorità locali e centrali intendono fornire
agli italiani, dimenticando quello che davvero l’arrivo dei bersaglieri aveva
significato in quel mattino del 20 settembre 1870.
Non è un caso che oltre cinquanta tra associazioni, movimenti e forze politiche
hanno deciso di festeggiare domenica la ricorrenza per non mischiarsi alle
celebrazioni ufficiali. Ma se si guarda all’imponente serie di manifestazioni e
di occasioni di visite e di mostre previste in questi giorni non si capisce
davvero come Stato e Chiesa possano festeggiare insieme un avvenimento così
limpido e chiaro. L’Italia liberale del Risorgimento, dopo meno di dieci anni
dall’unificazione nazionale, aveva deciso di scegliere Roma come sua Capitale e
approfittando di un atteggiamento non negativo di due grandi potenze del tempo
come la Francia e l’Inghilterra aveva mandato una spedizione ufficiale di
soldati e di bersaglieri per entrare a Roma e far finire il Potere temporale dei
Pontefici.
E questo significato di fondo non si può rovesciare, celebrando la ricorrenza con la Santa Sede e con quel cardinale Bertone, segretario di Stato, che quando divenne vescovo di Genova si preoccupò immediatamente di chiudere gli archivi della diocesi per impedire che gli storici facessero luce sul ruolo del Vaticano nella fuga in Sudamerica dei criminali nazisti che si trovavano in Italia o che erano appena arrivati dalla Germania. Un amico mi ha detto, in questi giorni, che la commistione tra le autorità civili e religiose assomiglia al tentativo di far commemorare gli antifascisti da quelli che erano stati, negli anni Trenta e Quaranta, alleati con i loro nemici. E si potrebbe dire ancora molto di peggio di fronte a questo spettacolo. A differenza dei francesi, noi non abbiamo nella nostra Costituzione all’inizio un articolo dedicato alla laicità dello Stato ma in vari punti del dettato costituzionale emerge con chiarezza il profilo laico della nostra democrazia parlamentare che riguarda i credenti come i non credenti e che dovrebbe spingere tutte le forze politiche, a cominciare da quelle di centrosinistra, a difendere il significato della Breccia di Porta Pia e la difesa della formula cavouriana.
Nella cosiddetta “Prima Repubblica”, e soprattutto da parte di chi aveva partecipato ai lavori dell’Assemblea Costituente, anche tra cattolici come Aldo Moro era centrale la rivendicazione della laicità dello Stato come elemento fondamentale dell’attività politica e istituzionale. Oggi, soprattutto dopo l’89 e la caduta delle grandi ideologie che avevano diviso il mondo negli anni della Guerra fredda, le classi dirigenti italiane e in particolare quelle più vicine e legate alla classe politica, sembrano aver perduto il senso delle distinzioni tra una sfera laica e una sfera religiosa. La destra berlusconiana, così priva di valori etici e politici, ha bisogno dell’appoggio del Vaticano e il papa attuale non ha avuto difficoltà fino a ieri ad appoggiarne l’azione di governo.
La sinistra e il Vaticano
QUANTO alla sinistra, la fine del comunismo ha favorito l’avvicinamento degli ex
comunisti al Vaticano e ormai da anni essi si confondono con gli altri esponenti
politici devoti alla Chiesa. Pochi di fatto – e noi dell’Italia dei Valori siamo
tra questi – ritengono che, al di là della fede cattolica di ciascuno, che sia
necessario sostenere con chiarezza una posizione che si riallacci a quella
liberale e democratica dell’Ottocento ma anche del Novecento e del nuovo secolo:
la parità di tutte le fedi religiose, la difesa della sfera politica dalle
intromissioni della Chiesa e delle Chiese. E proprio questa incertezza
della politica e il suo degrado evidente conducono alla situazione di oggi che è
nello stesso tempo grottesca e paradossale: si vuol ricordare la Breccia di
Porta Pia e lo si fa con il sindaco fascista berlusconiano e con il segretario
di Stato del Vaticano.
Nicola Tranfaglia il Fatto 21.9.10