Porta Pia, il silenzio dopo Cutrufo
È sempre più vero che, in Italia, tutto ciò che potrebbe essere dramma
diventa subito commedia, o addirittura buffoneria. Un pessimo segnale. Significa
che si può dire tutto quello che si vuole contro il nostro Paese e contro la sua
storia migliore (quella risorgimentale, unitaria, Resistenza inclusa) senza che
succeda niente, senza che più d’uno si indigni. La faccenda del
vice-sindaco della capitale d’Italia, che il 20 settembre va a Porta Pia a
commemorare non i soldati italiani caduti per la patria (43 morti), bensì i
mercenari papalini (20 morti), sta finendo in una bolla di sapone. Anni addietro
l’opposizione avrebbe fatto con durezza il suo mestiere chiedendo le dimissioni
del vice-sindaco, mettendo in votazione un ordine del giorno di indignata
deplorazione, interrogando il sindaco stesso sulla preparazione della
carnevalata anti-patriottica, mettendo manifesti per le strade che
sottolineassero la performance doppia (di Cutrufo e del generale Antonino Torre,
delegato del sindaco Alemanno alla Memoria, papalina evidentemente), compiendo
insomma dei gesti pubblicamente riconoscibili. Mi pare che nulla di tutto questo
sia stato fatto.
E allora viene da pensare che nel nostro squagliato Paese tutto possa essere detto e anche fatto senza che vi siano conseguenze di sorta. Passano ventiquattr’ore e ogni cosa va in archivio: bugie, falsificazioni storiche, gaffes, insulti. Si è scusato il vice-sindaco Mauro Cutrufo? Il giorno dopo qualcosa ha farfugliato, come il generale implicato con lui a Porta Pia, autore di una ridicola intervista a Repubblica. Ma, per la verità, a livello istituzionale non gli è stato nemmeno chiesto di scusarsi pubblicamente per questa grottesca iniziativa che offende la storia d’Italia. Stavolta il papa non c’entrava per nulla. Ci mancherebbe. Anche perché, per fortuna, ci aveva pensato Paolo VI, pontefice illuminato, a far cessare le messe vaticane per gli Zuavi caduti dopo l’apertura della storica breccia. Venti in tutto, perché le truppe italiane aveva avuto l’ordine di non entrare in Roma «per forza d’armi», come scrisse Nino Bixio, ex garibaldino inquadrato nell’esercito. Quindi col minimo spargimento di sangue e senza far troppi danni con l’artiglieria. Eppure, ogni volta che c’è di mezzo la Chiesa, magari tirata dentro impropriamente da un politico (?) italiano per chissà quale zelo, ogni polemica si smorza e poi si spegne, perché anche a sinistra si ha una gran paura di passare per laici (laicisti poi è un’onta, anticlericali una vergogna senza fine). Di fatto, le proteste sono state poche e deboli. Da molti anni in Italia lo spirito laico è una flebile fiammella. Mai lo è stato però al pari di oggi. Poche settimane fa Luigi Manconi ha sottolineato come in Italia sia venuta meno una autorità morale di segno laico e come alla Chiesa, quindi, (anche a questa Chiesa che non brilla certo di grandi luci culturali) sia stata delegata quella tal autorità. Che essa tuttavia esercita spesso col cinismo della politica, favorendo un ceto dirigente individualista, edonista, consumista, che però si appresta a smantellare la scuola pubblica a favore di un riemergere delle scuole private, magari confessionali, che però cerca di ridurre l’area dei diritti delle donne e di limitare le conquiste di libertà degli anni Settanta. Nonostante due referendum abrogativi bocciati. Sembra di vivere, oggi, in un altro Paese rispetto a quello. Un Paese spaesato, alluvionato, sprofondato. Quando toccheremo il fondo? Già, ma dov’è finito il fondo?
Vittorio Emiliani l’Unità 29.9.08