Porta Pia, Paolo VI più laico di Alemanno

Lì per lì, sabato, guardando il Tg regionale del Lazio, mi sono un po’ stupito vedendo (e non si
poteva non vederlo) il possente doppiopetto del vice-sindaco di Roma, Mauro Cutrufo, cinto di
fascia tricolore, davanti al monumento che ricorda la storica Breccia di Porta Pia. Sta’ a vedere - mi
son detto - che la giunta Alemanno è più sollecita delle amministrazioni di centrosinistra nel
ricordare quella data fondamentale. Poi ho capito che, al contrario, Cutrufo celebrava i mercenari
pontifici deceduti nell’ultima difesa del papa-re, insomma gli Zuavi.
E mi è tornato alla mente che Paolo VI, in ossequio alle direttive del Concilio Vaticano II
sull’abbandono da parte della Chiesa di ogni potere temporale, decise motu proprio di non far più
celebrare la tradizionale Messa in ricordo di quei caduti contro i bersaglieri del generale
Lamarmora.
«Lì per lì», commentò Giulio Andreotti ad un dibattito alla Libreria Croce, «ci
rimasero un po’ male i discendenti, le famiglie degli Zuavi, che, se ricordo bene, pubblicavano
anche un loro bollettino… ».
Mauro Cutrufo, evidentemente col beneplacito del sindaco Gianni Alemanno, indossata la fascia
tricolore, italiana, ha assistito impavido alla lettura (quindi una cerimonia preparata) dei nomi e
cognomi dei mercenari papalini caduti a Porta Pia, effettuata dal generale Antonino Torre dei
granatieri, «delegato alla memoria» del sindaco Alemanno.
Il quale evidentemente alla «memoria» mussoliniana aggiunge ora quella papalina. Così sindaco e
vice-sindaco hanno fatto compiere al Comune di Roma un balzo all’indietro di quasi
centoquarant’anni ed hanno offeso in un colpo solo i giovani e i meno giovani che caddero, non
soltanto a Porta Pia, dove le perdite furono poche per la flebile resistenza dei papalini, ma nella
difesa della Repubblica Romana del 1849 (dove morì, fra gli altri, Goffredo Mameli), hanno offeso
il romanissimo Ciceruacchio e il suo figliolo quattordicenne, catturati e messi al muro dagli
austriaci dopo lo scioglimento della colonna garibaldina, hanno offeso i perugini insorti trucidati dai
pontifici e le camicie rosse che, una ventina di anni dopo, furono massacrate a Monterotondo e a
Mentana dalla fucileria francese.
Ha ben ragione lo storico Giovanni Sabbatucci a parlare di «aria malsana che arriva dalla
celebrazione della Breccia di Porta Pia a rovescio», di provare «brividi» per come viene ormai
trattata, pubblicamente, la storia d’Italia.
Immaginate se Letizia Moratti, domani, celebrasse non gli
eroi delle Cinque Giornate di Milano, non Carlo Cattaneo, ma il generale Radetsky e le sue truppe
che repressero nel sangue quei moti unitari (oltre mille furono le condanne a morte, anche se molte
commutate in durissimi ergastoli).
Del resto, grottescamente, Bossi e i suoi intonano «Va’ pensiero» non sapendo che Giuseppe Verdi,
proprio mentre componeva «Nabucco», scriveva ad un amico: l’Italia «dovrà essere libera, una e
repubblicana». «Una», capito?
Quello che più colpisce è l’incosciente disinvoltura con la quale si ribaltano i fatti che portarono alla
faticosa Unità del Paese.

Probabilmente il vice-sindaco Mauro Cutrufo voleva, e l’ha avuto, un titolo sui giornali o un
servizio sul Telegiornale del Lazio, e per questo ha indossato la fascia tricolore per «celebrare» gli
Zuavi pontifici.
Bene, la prossima volta indossi una fascia bianca e gialla, quella del papa-re, e subito dopo magari,
per ragioni di buon gusto, vada a dimettersi dalla carica.
Chissà che non lo reclutino fra le guardie svizzere. Sempre che superi la visita attitudinale.

Vittorio Emiliani      l'Unità 22 settembre 2008