Politiche dell'immigrazione

I migranti sono, nel nostro Paese, cinque milioni. Si tratta, all’evidenza, di un fenomeno imponente
e in espansione che corrisponde al trend europeo e alla storia dell’umanità (che è storia di popoli
che si spostano...). Tutte le migrazioni pongono a confronto diversità culturali, linguistiche,
religiose e possono provocare frizioni e difficoltà. È una ragione di più per governarle in modo
intelligente e lungimirante, senza costruire muri e operare esorcizzazioni. Invece una parte della
politica (purtroppo maggioritaria) preferisce percorrere la strada della propaganda e di una politica
ingiusta e crudele. Incurante delle conseguenze.

Un decennio di sostanziale proibizionismo non ha impedito l’immigrazione ma ha, semplicemente,
creato un’ampia fascia di irregolari. Il braccio armato per fronteggiare la situazione è stato,
all’inizio, il meccanismo delle espulsioni rafforzato dal trattenimento nei Cpt. Ciò, come ovvio, non
è bastato. Così sono state messe in campo con la legge n. 94/2009 ulteriori vessazioni e
discriminazioni per i migranti regolari nonché una detenzione amministrativa sino a sei mesi e uno
specifico reato di clandestinità per quelli irregolari.
Il sistema così costruito non è solo il frutto della ricerca di consenso. C’è, in esso, un veleno ancor
più grave e pericoloso. La nuova disciplina realizza, infatti, una condizione permanente di
inferiorità del migrante (in particolare, del migrante povero) considerato, se irregolare, "un
delinquente", assoggettabile
ad libitum a detenzione amministrativa, privato della possibilità di
regolarizzare la propria posizione, espropriato di alcuni diritti fondamentali (che, pure, competono a
tutti e non ai soli cittadini); condannato, anche se regolare, a uno status di precarietà e
marginalizzazione nonché a controlli e vessazioni ignote ai cittadini.

Così, da un lato, si costruisce un diritto penale del nemico e, dall’altro, si ripropongono modelli
sociali e istituzionali premoderni, come quello che caratterizzò l’Atene del V secolo, pur definita
culla della democrazia, nella quale i 15.000 meteci residenti, su 40.000 cittadini, ebbero un ruolo
significativo sul piano economico, e tuttavia non si videro mai riconoscere lo status di cittadini. Ciò
alimenta il razzismo e crea un sistema disuguale suscettibile di ulteriore estensione.
Non si tratta di
pericoli ma di fatti. Questa spirale va fermata prima che sia troppo tardi. A chi sottovaluta la
situazione è bene ricordare una riflessione di Primo Levi, tratta da “Se questo è un uomo”: «A
molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero
è nemico”. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si
manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma
quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo,
allora, al termine della catena, sta il lager»

Livio Pipino     l'Unità  16 ottobre 2009