Platone e la globalizzazione

Lo scenario Il futuro dell'Occidente, le sfide del mercato, il ruolo della Chiesa e dell'economia: il filosofo critica l'ultimo libro dell'ex ministro


Si dice: l'Europa si è allontanata dalle proprie radici cristiane, tuttavia, purché lo si voglia, esse possono salvarla già qui sulla terra. Ma si dice anche: nonostante il rinnovato vigore del cristianesimo nel mondo cattolico, e negli Stati Uniti e in Russia, tale rinnovamento appartiene a un processo dove quelle radici sono destinate alla decomposizione e dove la tecnica è la volontà che, al culmine di tale processo, si presenta come la suprema forza salvifica.Sostengo da tempo questa tesi, ma in un senso che però differisce essenzialmente dalle varie forme di tecnocrazia. La prima tesi è invece propria della Chiesa cattolica e di quanti seguono il suo insegnamento. Tra di essi, in Italia, ora anche Giulio Tremonti, nel suo libro La paura e la speranza (Mondadori, pp. 112, e16): per salvare l'Europa serve «una filosofia che ci sposti dal primato dell'economia al primato della politica», «serve una leva» il cui «punto di appoggio può essere uno solo: le radici giudaico-cristiane dell'Europa» (p. 62); e per Tremonti questo discorso «coincide perfettamente » con la dottrina, di Benedetto XVI, che «non si può governare la storia con mere strutture materiali, prescindendo da Dio» (p. 81). Si vuole dunque governare la storia, avere potenza su di essa; e, certo, lungo la tradizione occidentale si pensa per lo più che la vera potenza sia ottenuta alleandosi a Dio. Pertanto Tremonti aggiunge che «il principio della soluzione della crisi europea non sta nella tecnica, non sta nella supposta forza salvifica della tecnocrazia, sta nella politica e nel potere» (p. 62).
Egli non giustifica una così rapida liquidazione della tecnica. Forse perché, come altri, identifica ciò che non è identico: economia (di cui, certo, parla molto) e tecnica. Inoltre, nonostante l'intento di assegnare alla filosofia una posizione fondamentale, l'affermazione che «punto di appoggio» della «leva» filosofica siano le «radici giudaico-cristiane» implica che la filosofia debba fondarsi sulla fede cristiana — la qual cosa, come ho altre volte rilevato ( Corriere, 19 gennaio 2008) è daccapo un principio che, sebbene particolarmente sottolineato dall'attuale pontefice, è tuttavia una resa a quel «relativismo » da cui anche l'ortodossia cattolica di Tremonti vorrebbe prendere le distanze.
Rifacendosi a Platone, egli aggiunge che i marinai non governano il vento, ma le vele. Ma come soffia il vento? I pericoli dell'Europa — risponde — sono la globalizzazione, la conseguente aggressività economica dell'Asia, il «mercatismo» che riduce l'uomo a homo oeconomicus. E invece il pericolo che minaccia la tradizione europea è ben più profondo: il pensiero filosofico degli ultimi due secoli (la cui forza, tendenzialmente nascosta, dev'essere peraltro capita) mostra l'impossibilità di ogni valore eterno, a cominciare da Dio. Per le radici cristiane il pericolo è ancora maggiore: sin dall'inizio «Europa» è la volontà (si chiama «filosofia») di vedere come stanno le cose al di là del volere, proprio delle religioni, che esse stiano in un certo modo. Tremonti afferma invece che per salvare l'Europa si devono «conservare valori che per noi sono eterni», i valori cristiani (p. 87). Lo afferma in modo oscillante, perché i valori eterni intendono essere leggi che guidano e muovono la vita umana, mentre per lui è da respingere il principio «comunista» (e della sinistra europea) che «la vita degli uomini sia mossa e possa essere mossa da una "legge"» e tanto meno da una «legge assoluta» (p. 35). Eppure le leggi marxiane della storia hanno la stessa assolutezza della Provvidenza, della coscienza morale, delle «leggi di natura», concetti centrali del cristianesimo.
Per salvare l'Europa, egli dice seguendo il pontefice, si deve «governare la storia», aver «potere» su di essa. La salvezza è potenza. (L'impotente non si salva; chi si salva o chi salva è potente). E la potenza è la capacità di superare i limiti che ostacolano la volontà. Ma i «valori eterni» sono i limiti assoluti, che più degli altri ostacolano la volontà di potenza e di governo della storia. Eccoci al tratto decisivo: se l'essenza della filosofia degli ultimi due secoli mostra l'impossibilità di ogni valore eterno, la volontà di potenza che scorge questa impossibilità è più potente e da ultimo è inevitabilmente vincente rispetto alla volontà di potenza che invece non scorge quella impossibilità e crede, illudendosi, che la maggiore potenza sia data da Dio. Se la salvezza dell'Europa è una questione di potenza, allora la salvezza può farsi avanti solo se ci si allontana dalla tradizione europea, dunque solo se si recidono le radici giudaico-cristiane dell'Europa. Questo processo è già in atto. Certo, esiste lo sbandamento attuale dell'Europa (a cui anche Tremonti si riferisce). Il quale è però la conseguenza del fatto che anch'essa si trova in mezzo al guado: tra la sponda della tradizione occidentale e la sponda della volontà di potenza vincente. Che non è l'economia di mercato, ma la tecnica guidata dalla scienza moderna.
Anche il capitalismo intende essere un valore eterno (mi sembra che anche Tremonti lo ritenga tale, pur rifiutandosi di vedere in esso l'unico valore). Non può quindi sentire la voce che mostra il tramonto di ogni valore eterno. Sono un valore eterno, nel capitalismo, l'individuo, la proprietà privata, la libertà e la sua applicazione al mercato, la concorrenza (il cui fondamento è la riduzione della potenza dei concorrenti, con la conseguente riduzione della potenza globale a disposizione dell'uomo), il carattere escludente della volontà capitalistica (come di ogni altra forma di volontà della tradizione occidentale), cioè il carattere per il quale il tipo di potenza voluta (cioè un mondo capitalistico) esclude la realizzazione di altre forme di potenza (cioè un mondo comunista, cristiano, democratico, ecc.). Nonostante le crisi, il capitalismo sembra oggi vincente perché si serve della tecnica. È inevitabile che per continuare a vincere voglia rafforzare sempre più lo strumento che gli consente di vincere. Ma con questa volontà il capitalismo non assume più come scopo l'incremento indefinito del profitto, ma l'incremento indefinito della potenza della tecnica. Inevitabile quindi che, rinunciando al proprio scopo, rinunci a se stesso, ossia perda proprio perché vuole vincere. Rinuncia a se stesso anche quando si vuole che l'economia sia guidata dalla politica e la politica dalle radici cristiane, come dice Tremonti — e in questo modo egli non si avvede (peraltro in compagnia dei più) che se il «bene comune» cristiano, cioè la potenza e la salvezza date da Dio, diventa lo scopo del capitalismo, il capitalismo e l'uso capitalistico della tecnica cessano di vivere. Il capitalismo, comunque, non è la tecnica.
Se la salvezza è una questione di potenza, l'Europa si salva alleandosi non alla potenza di Dio, ma a quella della tecnica — qualora quest'ultima ascolti la voce della filosofia del nostro tempo. Ma è anche inevitabile che la ascolti, perché ascoltandola raggiunge la maggiore potenza — che d'altra parte non è data dalla semplice fede nell'inesistenza di Dio. E se anche per Tremonti non tutto ciò che è tecnicamente fattibile è moralmente lecito (p. 67), va rilevato che questa morale è l'adeguazione ai valori eterni, e quindi declina col loro declinare. La morale autentica è oggi l'adeguazione alla maggiore potenza, che non può più essere quella di Dio, ma è quella della tecnica. (Né con ciò abbiamo detto l'ultima parola sul destino della tecnica).
Questo libro di Tremonti identifica la «sinistra » con il vizio capitale del «mercatismo», ma non chiude la porta a una politica di «grossa coalizione» (p. 87). E qui non sbaglia, perché sinistra e destra restano accomunate, anche a livello mondiale, dalla persistente incapacità di comprendere il senso autentico della destinazione della tecnica al dominio, cioè il senso autentico di ciò che possiamo chiamare «la grande politica». La politica può modificare il contesto immediato del proprio agire, ma, ancora, sta andando contro il vento dell'Occidente: o ha fede nelle radici cristiane, oppure ha fede nella modernità, nella scienza, nella tecnica, senza affrontare la tradizione europea ma voltandole semplicemente e ingenuamente le spalle. Il pensiero non dice che cosa i popoli o l'Europa debbano fare, ma mostra che cosa sono destinati a volere.

Emanuele Severino   Corriere della Sera 22.3.08