Persone da eliminare. Il ruolo dell’Italia nel grande massacro

Da sette anni, grazie a una legge votata dal Parlamento italiano, il 27 gennaio (o meglio nei giorni che precedono o seguono quella data), giorno in cui le truppe alleate aprirono le porte di Auschwitz, nel nostro paese si ricorda il massacro nazista di ebrei, diversi e oppositori politici. Cinque-sei milioni di persone (donne, uomini, bambini) che morirono nei campi di concentramento, nei rastrellamenti, negli eccidi in tutta l’Europa tra il 1938 e il 1945.
Nessuno oggi (a parte i negazionisti che continuano a contestare le cifre dell’Olocausto o addirittura la sua esistenza ma sono pochi e screditati come studiosi, penso all’inglese Irving o al francese Faurisson), mette in discussione la legge.
Ma ogni anno risento il monito di Primo Levi che, nel suo capolavoro scritto prima di morire nel1986 (I sommersi e i salvati, Einaudi editore) scriveva: «Si affaccia all’età adulta una generazione scettica, priva non di ideali ma di certezze, anzi, diffidente delle grandi verità rivelate; disposte invece ad accettare le verità piccole, mutevoli di mese in mese sull’onda convulsa delle mode culturali, pilotate o selvagge». Primo Levi aveva ragione. E chi, come l’autore di questo articolo, ha insegnato per oltre trent’anni la storia del Novecento e l’esperienza europea dei fascismi, ne è ben consapevole ma non vuole arrendersi. E fa quello che può sempre per cercare di comunicare alla nuova generazione perché non si può diventare adulti se non si conosce il nostro, recente passato.
La Shoah può essere considerata oggi, dopo le ricerche degli storici di tutto il mondo, come il risultato di una generale crisi dell’Europa iniziata nel lungo Ottocento, trasformata ed accelerata nella prima guerra mondiale e divenuta un baratro della politica, della cultura e della società negli anni venti e trenta del Novecento con l’avvento dei fascismi. Esso può essere pensato come un grande prisma in cui leggere alcuni dei principali fenomeni di radicale trasformazione, e vera e propria degenerazione, della politica e della società nel ventesimo secolo, dentro e fuori l’Europa, anche oltre quell’evento specifico. Alcuni aspetti del quale si sono propagati o viceversa sono stati anticipati - in forme diverse, genocidi, pulizie etniche, razzismi.
La crisi dell’Europa fu preparata e segnata da fenomeni come l’emergere del razzismo, sin dalla metà dell’Ottocento; le trasformazioni e la diffusione dell’antisemitismo, particolarmente dagli anni Ottanta; i massacri coloniali di inizio del Novecento; le trasformazioni qualitative e quantitative della violenza nella prima guerra mondiale; la crisi dei liberalismi e la radicalizzazione dei nazionalismi; l’emergere infine dei fascismi nelle forme di regimi violenti e totalitari. Ma contarono anche fenomeni di burocratizzazione degli apparati statali e di serializzazione e di industrializzazione della morte, innovazioni tecniche e scientifiche, trasformazione della condizione umana nelle moderne società tecnologiche e di massa. Il tutto all’interno del disegno hitleriano e nazista di conquista del continente europeo e di instaurazione di un nuovo ordine, fondato su una gerarchia razziale e sulla supremazia del popolo tedesco, supposta incarnazione della «razza ariana» e portatore della sua apocalittica missione di «soggiogamento» dell’intera umanità.
Oggi sappiamo che i carnefici della Shoah furono non solo tedeschi e non solo assassini ideologicamente motivati, ma uomini comuni (per esempio militari e poliziotti, ma anche semplici impiegati della macchina burocratica dello sterminio) con l’ausilio di centinaia di migliaia di complici, collaboratori e collaborazionisti in tutta l’Europa. Sappiamo che milioni di europei assistettero inerti, così come non intervennero a fermare il massacro le potenze schierate contro la Germania nazista, le istituzioni internazionali, la Chiesa cattolica. Fino agli anni Sessanta la Shoah venne percepita dagli europei come un episodio marginale e circoscritto della seconda guerra mondiale.
Attenzione merita il caso italiano che ci riguarda direttamente ed è più complesso.
Mussolini passò, dopo circa dieci anni, da una politica contraddittoria in cui condannava l’adesione al sionismo degli ebrei italiani, ma li incitava a nazionalizzarsi e a fascistizzarsi, a una politica antiebraica che in una prima fase incominciò la persecuzione dei diritti, poi delle loro vite. Dal ’43 al ’45 settemila cinquecento ebrei vennero deportati nei lager e in gran parte vennero uccisi. Circa diciassettemila furono complessivamente i deportati italiani, mettendo insieme agli ebrei anche i «diversi» e gli oppositori politici.
L’Italia non fu al di fuori ma dentro il cono d’ombra del grande massacro e dobbiamo averlo chiaro se vogliamo rispettare e attuare la Costituzione Repubblicana.

l'Unità 24.1.08