PERA E LA "NUOVA DESTRA"
 

Marcello Pera è tornato alla carica. Con un'intervista rilasciata lo scorso 27 dicembre al Corriere della Sera il presidente del Senato ha nuovamente vestito i panni del difensore della tradizione giudaico-cristiana nel quadro dello scontro di civiltà che la contrapporrebbe al mondo islamico. L'ambizione di Pera è ormai da diverso tempo quella di aggregare attorno alle sue posizioni la vasta area trasversale ai partiti di centrodestra che – sulla scia dei teocons americani e con un occhio alle invettive anti-islamiche di Oriana Fallaci – vorrebbe praticare una sorta di "fuoriuscita da destra" dal pensiero unico e dall'ege-monia liberale (la Lega Nord in primis, ma anche le aree di An dai più marcati tratti nazionalistico-identitari e quella parte di Forza Italia legata a movimenti cattolico-tradizionalisti come Cl).
L'ultima presa di posizione del presidente del Senato riguarda i modelli di integrazione nelle società attraversate da forti flussi migratori: "Ci sono due modelli", afferma Pera nell'intervista al Corriere, "quello inglese basato sul multiculturalismo, parola considerata nobile, ma in realtà espressione della resa. (…) L'altro modello è quello francese, nazionalista, laicista. Pretende di eliminare la religione e assimilare tutti in una specie di religione di Stato. Entrambi i modelli sono falliti". La soluzione prospettata da Pera è sostanzialmente quella dell'assimilazione. Del resto "se gli Europei non credono più nei propri valori universali, non si riconoscono più nei principi tradizionali, allora a che titolo e dentro che cosa possono chiedere agli immigrati di integrarsi?".
A questo proposito vorremmo fare tre considerazioni.
Primo. La debolezza da parte dello Stato democratico di diritto nel riprodurre le proprie premesse motivazionali e la necessità di intersecare il sistema dei diritti con un orizzonte di autoriconoscimento etico della comunità sono concetti sviluppati ampiamente anche in ambito liberale, basti pensare alla riflessione di Jürgen Habermas. Nel suo confronto pubblico con l'allora cardinal Ratzinger, Habermas dichiarava: "L'e-quilibrio stabilitosi nella modernità tra i tre grandi mezzi di integrazione sociale è in pericolo, dal momento che i mercati e il potere amministrativo spodestano da un numero sempre più grande di ambiti di vita/sfere vitali la solidarietà sociale, cioè un coordinamento dell'a-zione basato sui valori, norme e uso della lingua volto all'intesa. Per questo è anche nel proprio interesse, per lo Stato costituzionale, trattare con rispetto tutte le fonti di cultura da cui si alimentano la coscienza normativa e la solidarietà dei cittadini". Fra queste naturalmente la religione, e, nel caso in questione, la tradizione cristiana europea. Il punto è che anche riconoscendo una certa "pregnanza etica del diritto", ovvero una certa modulazione culturale dell'universalismo dei diritti, una cosa è l'integrazione politica che si può pretendere dagli immigrati, un'altra è l'inte-grazione etica. In altre parole, il riconoscimento della cornice democratico- liberale (con le sue necessarie connotazioni storico-culturali) che deve essere preteso dai nuovi arrivati, non può implicare l'obbligo di promuovere pubblicamente una sostantiva visione del bene, un particolare modello di vita buona incardinato sulla tradizione cristiana o cattolica. Questa strada risulta non solo impraticabile (e fonte potenziale di elevata instabilità), ma lesiva dei principi universalistici su cui deve essere fondato un sistema giuridico che pretende legittimità in quanto razionalmente persuasivo da un punto di vista imparziale (anche rispetto all'appartenenza etnico-religiosa).
Secondo. Se Pera considera la struttura democratico-liberale degli Sta-ti occidentali come il precipitato politico della cultura giudaico-cristiana e dei valori universalistici contenuti in essa (tanto che non si può condividere questa struttura senza integrarsi ‘eticamente' nella cultura occidentale) come può essere sostenuto teoricamente il progetto di esportare la democrazia con le armi? Se la democrazia è un valore dell'Occidente, e affonda le sue radici in questa particolare visione del mondo maturata sulla traduzione secolare dei principi del cristianesimo, come si può sostenere (come fa Pera in compagnia dei suoi amici di oltre-oceano) la necessità di produrre in Iraq, per altro al prezzo del sacrificio di centinaia di migliaia di vite umane, un laboratorio di democrazia nel mondo islamico in modo da favorire un "effetto contagio"?
Terzo. La critica alla - peraltro ‘presunta' - neutralità etica del diritto è stata sviluppata negli ultimi anni da numerosi pensatori di ispirazione "comunitarista" che hanno sostenuto la legittimità di sacrificare parzialmente il principio di non discriminazione in nome della scelta maggioritaria (magari in contesti di minoranze etniche) di un "modello di vita buona", soprattutto allo scopo di conservare i tratti identitari di particolari tradizioni nazionali. Anche Pera ha recentemente sostenuto la necessità di abbandonare un'impostazione rigidamente neutralista per accogliere concezioni sostantive di bene, favorendo per altro un'inedita allenza fra gerarchie cattoliche e "atei-devoti" che si è dispiegata da ultimo nel referendum sulla procreazione assistita.
Il problema è che l'argomento di maggiore forza delle posizioni comunitariste rimanda ad un concetto di "diritto collettivo" che non può essere trasposto nelle ultime battaglie politiche italiane. In sostanza la promozione di un particolare modello di vita buona è giustificata se tale "stile di vita" non può sussistere se non attraverso una condivisione e un esercizio comune (es. una lingua non può sopravvivere come tratto dell'iden-tità di un gruppo se non è parlata dalle persone che fanno parte del gruppo. Il diritto di conservare la propria identità linguistica non può essere esercitato individualmente). In questi casi l'ottica individualista del liberalismo restringerebbe la gamma delle possibilità di autodeterminazione dell'individuo e la possibilità di un corretto sviluppo del "concetto moderno di identità fondato sull'autenticità" (Charles Taylor).
Nel caso italiano, però, questioni come la fecondazione assistita non possono essere rimandate a questo concetto di diritto di gruppo. Il diritto di essere contrari a certe pratiche non viene meno se è esercitato individualmente, come non viene meno la possibilità di considerare il matrimonio come un vincolo indissolubile anche se il divorzio è legalmente riconosciuto.
Ecco perché le posizioni di Pera rappresentano un pericoloso sconfinamento verso il modello di un escludente Stato etico, tanto più seduttivo quanto più aumentano lo spaesamento culturale e l'erosione dei diritti sociali prodotti dalla globalizzazione neoliberista.
La soluzione però non può venire dalla mera critica negativa, dal libertarismo deteriore dei vari Pannella e Capezzone. Solo le "idee forti" dell'uguaglianza e della pace, della lotta all'esclusione sociale e della contaminazione fra diversi nella tolleranza e nel dialogo, possono fornire gli anticorpi verso la crisi di civiltà di fronte alla quale ci troviamo. La sinistra italiana saprà raccogliere questa sfida?


di Emilio Carnevali       giornalista, collaboratore di Adista e di MicroMega       adista notizie  9/1/2006