Pensando oggi al rogo di Giordano Bruno
Corrado Augias risponde a una lettera di Paolo Izzo

Caro Augias, mai come quest'anno va celebrato il ricordo di Giordano Bruno, che il 17 febbraio 1600 fu arso vivo a Campo de' Fiori, condannato da una combutta micidiale tra potere ecclesiastico e potere temporale. Era reo di aver detto che l'uomo nasce libero dal peccato originale e che l'inferno non esiste, che la natura infinita va amata senza credere che in essa si annidi il Male e che l'infinitezza stessa dell'universo va contro l'idea della trascendenza, va contro la religione stessa, le religioni tutte... Aveva bestemmiato così: "Stolti del mondo voi che avete formata la religione, gli maggiori asini del mondo siete voi che per grazia del cielo avete riformata la corrotta fede? Vedete se sono o furon giammai solleciti circa le cause secrete de le cose; se mai pensano al dissolvimento qualunque dei regni, dispersione de' popoli, incendii, sangui, ruine ed esterminii; se curano che perisca il mondo tutto? purché la povera anima sia salva, purché si faccia l'edificio in cielo, purché si ripona il tesoro in quella beata patria, niente curando della fama, comodità e gloria di questa fragile e incerta vita: tutto per quell'altra certissima ed eterna vita". Oggi è la rivoluzione di Giordano Bruno a dover essere tenuta a mente, contro chi vuole anteporre quella remota "beata patria" alla nostra concreta realtà umana.

Paolo Izzo Roma paolo@paoloizzo.net


Nel 2000 il pontefice regnante inviò il Segretario di Stato cardinale Angelo Sodano con un messaggio per il convegno che si teneva a Napoli per il quattrocentesimo anniversario del martirio di Giordano Bruno. Vi si affermava tra l'altro che quel "triste episodio della storia cristiana ci invita a rileggere anche questo evento con spirito aperto alla piena verità storica". Il Cardinale ricordò che il pensiero del filosofo era maturato nel secolo XVI, quando la cristianità era divisa perché Lutero, Calvino, Enrico VIII avevano staccato da Roma intere nazioni. Aggiunse che le sue "scelte intellettuali" rimanevano "incompatibili con la dottrina cristiana"; concludeva affermando che "aspetti delle procedure" seguite dai tribunali dell'Inquisizione di Venezia e di Roma, per giudicare il frate accusato di "eresia", ed "il loro esito violento per mano del potere civile non possono non costituire oggi per la Chiesa motivo di rammarico". Il contenuto del messaggio era assolutamente lodevole compreso il fatto che le dottrine rimanevano 'incompatibili' anche se dal XVI secolo a oggi la dottrina della Chiesa ha fatto parecchi passi proprio in direzione del pensiero bruniano. Un dettaglio mi parve non all'altezza del resto. Là dove il testo affermava che 'l'esito violento' cioè l'essere bruciato vivo era da addossarsi al "potere civile". Certo fu il Governatore di Roma a organizzare il rogo. Ma era solo la mano che dava fuoco alle fascine; i tribunali ecclesiastici sapevano benissimo quali conseguenze avevano le sentenze da loro emesse. Quando si riconosce un errore criminale come fu quello, sarebbe bene ammetterlo fino in fondo.

 

409 anni fa Giordano Bruno
Mai come quest’anno va celebrato il ricordo di Giordano Bruno, che il 17 febbraio 1600 fu arso vivo a Campo de’ Fiori, condannato da una combutta micidiale tra potere secolare e potere temporale. Aveva bestemmiato così: «Stolti del mondo voi che avete formata la religione, gli maggiori asini del mondo siete voi che per grazia del cielo avete riformata la corrotta fede… Vedete se sono o furon giammai solleciti circa le cause secrete de le cose; se mai pensano al dissolvimento qualunque dei regni, dispersione de’ popoli, incendii, sangui, ruine ed esterminii; se curano che perisca il mondo tutto… purché la povera anima sia salva, purché si faccia l’edificio in cielo, purché si ripona il tesoro in quella beata patria, niente curando della fama, comodità e gloria di questa fragile e incerta vita: tutto per quell’altra certissima ed eterna vita».
Oggi è la rivoluzione di Giordano Bruno a dover essere tenuta a mente, contro chi vuole anteporre quella inesistente «beata patria» alla nostra esistentissima realtà umana, al nostro universo infinito, interno ed esterno. Se quella «beata patria» è violenta, intollerante, inquisitoria e impietosa come sta mostrando ancora nel nuovo millennio, facciamo bene a voler rimanere «apatridi» e liberi.

Paolo Izzo, Roma

 

Repubblica 17.2.09