Pena di morte se la
Chiesa non dice no
Mercoledì 11 febbraio, Benedetto XVI ha riaffermato l'intangibilità della vita
umana "dal momento del suo inizio fino al suo naturale compimento". È la frase
più frequentemente utilizzata dalla cultura cattolica, per argomentare il
rifiuto di scelte come la sospensione di nutrizione e idratazione artificiali.
Ed è stata così tante volte ribadita, da assumere la forza di un dogma
irrinunciabile della concezione antropologica della Chiesa cattolica. Ma
siamo proprio sicuri che quella frase abbia effettivamente l'assolutezza di una
verità irrinunciabile e inderogabile? Per giunta, nei giorni scorsi alcuni
cattolici hanno irriso i sostenitori della scelta di Bepino Englaro in questi
termini: ma come? siete contro la pena di morte, come lo siamo noi, e poi volete
infliggerla alla povera Eluana… L'argomento è già di per sé traballante, ma se
preso seriamente può riservare sorprese. La Chiesa cattolica è contro la pena
di morte? Vediamo. Nel "Catechismo della Chiesa cattolica" in vigore
fino al 1999 si poteva leggere: "Articolo 2266. Difendere il bene comune della
società esige che si ponga l'aggressore in stato di non nuocere. A questo
titolo, l'insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto fondato il
diritto e il dovere della legittima autorità pubblica di infliggere pene
proporzionate alla gravità del delitto, senza escludere, in casi di estrema
gravità, la pena di morte". Questo ancora nel 1999. Nella successiva
edizione del Catechismo, quella attualmente in vigore, la stessa formula risulta
attenuata. Attenzione: non abrogata, bensì solo edulcorata. Eccola:
"2267. L'insegnamento tradizionale della Chiesa (…) non esclude, il ricorso alla
pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere
efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani". Qui emerge
un'ambiguità: sembrerebbe che si debba difendere un inerme da un aggressore
mentre l'aggressione è in corso. Ma questa è né più né meno che legittima
difesa: contraddittoria rispetto all'uso della formula "pena di morte", che
richiama inevitabilmente una sentenza comminata da un tribunale. Dunque,
si tratta di una vera a propria deroga - ben inteso: in situazioni eccezionali -
al principio assoluto. Ma ciò rende meno assoluto quel principio. È
inconfutabile che, se si accetta quella possibilità di deroga, l'eccezione può
valere anche in altre, e diversissime circostanze (e non siamo stati noi a
proporre la comparazione): in presenza, ad esempio, di un caso di stato
vegetativo persistente e di un trattamento di nutrizione e idratazione forzate,
che prolungano artificialmente una vita ormai esaurita.
Luigi Manconi l’Unità 24.2.09