Parlamento a targhe alterne

 

Mentre il nuovo astro nascente della politica italiana, il cardinale Camillo Ruini, non perde giorno per dettare le regole del partito-Cei, elogiando chi si sottomette e bacchettando i (pochi) riottosi, gli altri politici, quelli che dovrebbero rappresentare lo Stato laico italiano, sembrano gareggiare per assecondare i lungimiranti capricci del cattolicesimo rampante.
Tra questi, gli arieti più efficaci utilizzati dal “pastore tedesco”, ora pontefice, e dalla sua collaudata congrega (forse con l’intento di sgretolare le mura di Roma capitale, vendicando così la secolare onta di Porta Pia) sembrano essere proprio coloro che, in realtà, per costituzione ricoprono rispettivamente la seconda e terza carica dello Stato; d’altronde, segnali d’allarme potevano avvertirsi già da qualche tempo. Basti soltanto pensare alla enorme quantità di testi scritti a quattro mani dal presidente del Senato e l’allora cardinale Ratzinger, quasi a preparare il terreno di una decisa sferzata nel confronto tra laicità e cattolicità, naturalmente a favore di quest’ultima; oppure ricordarsi del clima da beatificazione collettiva sapientemente creato già alla morte di papa Wojtila, praticamente santificato un minuto dopo l’ultimo respiro.
E infatti è sulla scia di questa commozione che il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, alternativamente alleato, avversario, moralizzatore e parroco di fiducia di ogni italiano medio, ha costruito l’ultima perla di questa reggenza: l’affissione di una targa che ricorda la visita dello stesso Giovanni Paolo II in Parlamento, nel novembre del 2002.
Scoperta pochi giorni fa alla presenza anche del presidente Ciampi, questo nuovo attestato di fedeltà a uno Stato che non è quello nazionale, campeggia ora nella parte destra dell’emiciclo, proprio sopra le teste dei deputati di An, e dunque dei nipotini di uno che, nel 1936, nello stesso spazio adesso occupato dalla nuova affissione, ebbe la premura di ricordare ai frequentatori, con una iscrizione di legno e oro (come quella voluta da Casini), la nascita della dittatura fascista, cioè di un impero che comunque non vietò alla Chiesa di assicurarsi una certa quantità di benefici, attraverso un Concordato che un altro illustre statista della nostra amata patria, circa mezzo secolo dopo, non esitò a rinnovare, nel pieno del suo delirio edonistico. Altro che Garibaldi.
Alla fine della seconda guerra mondiale, la Consulta riunitasi per gettare le basi di quella che poi nel 1948 verrà definita Repubblica italiana (grazie a una carta costituzionale in queste ore ferita a morte da un governo, che dalle radici storiche e culturali del paese, al massimo può ricavarne fonte di ispirazione per qualche divertente barzelletta da raccontare agli ospiti internazionali), pensò bene di rimuovere la scritta mussoliniana, per rispetto di tutti i cittadini di un nascente e libero Stato laico; quello stesso Stato che oggi, a destra e a manca, corre dietro alle vesti curiali, elemosinando un voto “moderato” in più. Chissà per quanto tempo ci terremo la nostra bella targa papale.

 

Aprileonline.info        del 51 del 17/11/2005