Il ritorno del papa
re
FILIPPO GENTILONI
La
cornice era particolarmente solenne, fra le corazze luccicanti dei corazzieri e
gli stucchi dorati delle sale del Quirinale. Papa Benedetto ci si muoveva
evidentemente a suo agio, quasi a ricordare a tutti che il Quirinale avrebbe
dovuto essere suo, se lo stato italiano non glielo avesse ingiustamente
sottratto. Invano Ciampi gli faceva vedere dalla finestra la cupola di San
Pietro: era chiaro che il Quirinale non riusciva certamente a sovrastarla. Un
incontro che è apparso a senso unico. Invano Ciampi ha ricordato Costituzione e
Concordati: stato e chiesa uniti nella collaborazione ma ciascuno al posto suo.
Quando ha citato la laicità dello stato, sembrava quasi che chiedesse scusa.
Non appena Ratzinger ha preso la
parola, è apparso subito chiaro in che modo la chiesa intendeva rispettare i
patti. Niente di nuovo, d'altronde. Il papa non ha fatto che ripetere le
posizioni che ormai conosciamo. Sembra che sia il cardinale Ruini a determinare
la linea e che l'onda lunga del recente referendum continui e trovi addirittura
nel pontefice il suo portavoce.
Per il papa la laicità va bene, ma
deve essere «sana» e questa salute è chiaro che è la chiesa a deciderla e,
eventualmente, a curarla.
I temi sono i
soliti, estremamente significativi. Il papa li ha ridotti - si fa per dire - a
tre: la vita dal concepimento alla morte, il matrimonio, la scuola. C'è tutto.
E' su questo «tutto» che la chiesa chiede una sorta di supervisione. Adesione,
direzione, se si preferisce. In nome di una autorità superiore che lo stato non
può non riconoscere e di cui la chiesa è garante. Allo stato l'obbediente
esecuzione. Nonché, se è il caso, come per la scuola, anche qualche sostanziale
aiuto economico. Altro che parità.
Significativa la
scelta dei temi, sia per la loro centralità nella vita della società, sia per il
largo consenso che ottengono, come la battaglia per il recente referendum ha
confermato. Comunque gli affezionati alla laicità non devono dimenticare i
risultati opposti dei referendum sul divorzio e sull'aborto. Non sono passati
molti anni, ma l'autorità ecclesiastica tende a cancellarne la memoria anche se
ufficialmente si ripete che la legge sull'aborto non si toccherà. Vedremo.
Non mancavano e non
mancano, d'altronde, altri temi sui quali un rimprovero all'Italia da parte del
pontefice sarebbe stato più comprensibile e forse utile. La maniera di trattare
gli immigrati, ad esempio, nei nostri campi di concentramento, o il divario
sempre crescente fra i ricchi e i poveri, il problema del lavoro e della casa,
ecc. Sembra che all'autorità ecclesiastica tutto ciò non interessi o, per lo
meno, interessi meno di quello che riguarda l'etica sessuale e famigliare. I
temi che toccano i valori «evangelici» della società e della vita, d'altronde,
rischierebbero di far perdere all'autorità ecclesiastica quella posizione «bipartisan»
alla quale è attaccata: una posizione che, in realtà, più che bipartisan è
chiaramente spostata dalla parte di Berlusconi e del suo centrodestra. La
solenne cerimonia di ieri, con le parole dette e con i suoi silenzi e omissioni,
è stata una conferma e delle difficoltà del mantenimento di una vera - sana -
laicità dello stato e di una chiesa cattolica che continua a vantare posizioni
di privilegio. Una situazione che il nuovo pontificato non sembra intenzionato a
correggere. Tutt'altro.
Il manifesto 25/06/05
«Ruini si guardi dai
convertiti»
Per il filosofo la laicità è il principio attorno a cui si
possono articolare tutte le posizioni
MATTEO BARTOCCI
«La
laicità dello stato è una conquista teorica e culturale del pensiero moderno e
contemporaneo ma ha un indiscutibile fondamento cristiano e soprattutto
cattolico. Sono i cattolici, i credenti, che per primi dovrebbero insorgere
contro ogni tentativo di uno stato di definirsi in termini religiosi». Massimo
Cacciari, filosofo e sindaco di Venezia della Margherita, critica le posizioni
di chi «specula sul disorientamento dell'Occidente per sfangare qualche voto».
«La laicità - spiega - è il principio attorno al quale si possono articolare
tutte le posizioni».
Eppure esprimere orgoglio per la
laicità della Repubblica non significa segnalare che la distinzione tra vita
religiosa e vita civile è messa in dubbio?
Dovrebbe essere il cristiano a
insorgere contro ogni tentativo da parte di uno stato di definirsi in termini
religiosi come un Leviatano o un dio artificiale. E' il cristiano che deve
tenere ferma la distinzione tra la civitas hominis e la civitas dei
che in questo secolo è la chiesa. Perché se essa viene meno svanisce proprio
la quintessenza del messaggio cristiano e cattolico. La «lieta novella», anche
per me non credente, è tale perché finalmente la fa finita con ogni religione
civile. Il temporale che si fa spirituale è una bestemmia.
Eppure la chiesa fa
politica da più di duemila anni.
La chiesa cattolica
romana fa benissimo a intervenire su tutti gli argomenti e a dire la sua sulla
vita. Ma dire ciò che pensa non vuol dire che può essere lei a fare le leggi.
Deve esprimersi senza cercare di sostituirsi in alcun modo all'autorità civile.
Perché fare le leggi è un'arte della mediazione e del compromesso, una questione
di responsabilità, non si tratta solo di articolare delle convinzioni. Alla
chiesa è consentito dire «io da qui non mi muovo» ma bisogna riconoscere che chi
fa politica deve mediare, discutere, fare compromessi. E guai soprattutto quando
la chiesa condanna chi fa politica. Un politico non è e non può essere un
ayatollah o un imam.
Invece sembra che
soprattutto a destra c'è una «riscoperta dei valori», che si cerca di rendere
intangibili. In Italia non ci sono politici-ayatollah?
Non credo. C'è
invece una forte crisi dell'opinione pubblica, una situazione in cui emergono i
peggiori, quelli che cercano di strumentalizzare le posizioni della chiesa per
strappare qualche voto dicendo «viva Ruini». Ma è Ruini che deve essere il primo
a mandarli a quel paese. Dovrebbe essere la chiesa a dire «vade retro satana»
quando assiste a tutte queste conversioni dell'ultim'ora.
Non sembra che lo
abbia fatto.
E' evidente che in
questa situazione chi orienta e dà senso alla vita ha un peso sempre maggiore
anche sui comportamenti elettorali. E' vero che le grandi opzioni ideologiche
sono destinate a pesare di più anche in Occidente. Il centrosinistra quindi deve
stare ben attento a non rappresentarsi solo come il buon amministratore e basta.
Le primarie
potrebbero essere un modo per discuterne?
Potrebbero essere
un'occasione formidabile per discutere queste questioni nel merito invece di
affrontarle in modo surrettizio e banale come si è fatto per gli ultimi
referendum. La bioetica e la biopolitica potrebbero essere ottimi argomenti per
queste primarie. Altrimenti non si capisce neanche bene di cosa discuteremo
visto che già adesso sappiamo che alla fine dovremo comunque trovare un minimo
di programma comune. Discutiamo almeno di come vediamo la pace, la guerra, la
bioetica, il rapporto tra scienza ed etica, tra politica ed etica. Sulle
questioni di valore è il dibattito che conta perché bisogna stabilire delle
condizioni di principio. Penso che dovremmo parlarne molto e anche ascoltare se
vogliamo vincere.
Dopo il crollo del
muro insomma vedi solo macerie?
No, ma c'è una
storia che si è compiuta. La socialdemocrazia non ha affatto fallito, ha
compiuto la sua traiettoria perché il modo in cui garantiva alcuni diritti ha
determinato già alla fine degli anni `70 la crisi fiscale dello stato. Quel tipo
di welfare aveva determinato una sclerosi burocratica insostenibile per tutti se
non a prezzo di regimi fiscali intollerabili. La sinistra ha faticato a capire e
sono arrivate le Thatcher, i Reagan e oggi i Bush. Negli anni `90 abbiamo
cominciato a cambiare, in alcune parti più velocemente, vedi Tony Blair, in
Italia in modo più lento a causa di Tangentopoli e della crisi della politica.
Tutte queste questioni devono ora tornare al centro del nostro programma perché
il disorientamento di oggi è la situazione più favorevole per incasinare valori
e poteri temporali e valori e poteri spirituali. Ma cos'è successo dopo la prima
guerra mondiale se non questo? Lo sappiamo bene cos'è successo dopo.
Il manifesto 25/06/05