Il papa sogna lo stato confessionale e indica tre dogmi non negoziabili

 

Nella campagna elettorale, a poco più di una settimana dal voto, irrompe il fattore C: la Chiesa Cattolica, nella sua figura più alta e rappresentativa, il papa Benedetto XVI. L’occasione era solenne: un incontro in Vaticano con una folta delegazione, circa cinquecento persone, del Partito Popolare Europeo.

Ad essi il pontefice (che sta per celebrare il suo primo anno di pontificato) ha dettato un vero e proprio programma in tre punti: tre posizioni su vita, famiglia ed educazione riproposte come «non negoziabili», ovvero non discutibili e non mediabili con altri e diversi punti di vista. Idee che certo appartengono da sempre al patrimonio della Chiesa, ma che, in questa circostanza, assumono una fisionomia di straordinaria rigidità, come fossero veri e propri dogmi.

In sostanza, l’iniziativa di ieri, nei fatti e forse anche nelle intenzioni, va assai al di là delle indicazioni di principio che la Chiesa dà, tradizionalmente, agli elettori cattolici. Essa configura, appunto, non solo una dottrina morale, ma un’ipotesi politica organica. Implica conseguenze molto concrete, in fatto di leggi e di normative. Punta a modellare i costumi e i comportamenti della società in senso universalistico. In breve: rilancia con forza e autorevolezza lo Stato etico, lo Stato confessionale.

Questa operazione non passa, dicevamo, attraverso novità assolute. Da tempo, la Chiesa ribadisce, quasi ossessivamente, la sua crociata contro la modernità e contro l’autonomia delle donne: vale a dire la condanna dell’aborto e dell’eutanasia, l’intolleranza nei confronti dell’omosessualità, la difesa della famiglia tradizionale, rappresentata come l’unica «naturale», la rivendicazione del diritto delle scuole cattoliche a ricevere consistenti finanziamenti dallo Stato.

Dove stanno le novità? Intanto, nella centralità, nel carattere ossessivo e prescrittivo, pressoché esclusivo, che esse hanno assunto. Qui scompare la svolta relativa - ma politicamente molto rilevante - rispetto al lungo regno di Wojtyla: Giovanni Paolo II era certo un pontefice antimoderno e reazionario, ma aveva il mondo come suo “naturale” teatro. Assumeva certo la morale cattolica tradizionale su vita, morte, libertà femminile e formazione, ma si schierava con forza contro la guerra e lo sterminio dei popoli. Ribadiva, con grande frequenza, la condanna dell’aborto, ma riservava toni apocalittici alla condanna del mercato, delle diseguaglianze e della povertà. E compì alcune scelte - come il memorabile viaggio a Cuba - che resteranno a lungo nella memoria per il loro impatto simbolico.

Papa Ratzinger, invece, in quasi un anno, non ha pronunciato un solo discorso solenne sullo stato del pianeta: Iraq, Palestina, Africa gli sono pur passate accanto, senza un autentico cenno di attenzione. Lo spazio si è fatto italiano e, al massimo eurocentrico. Lo stile ha perduto ogni vigore mistico e ogni volontà profetica - si è fatto “minimal”, come dicono i vaticanisti, rigido, teologico. E la «difesa della vita» non è quasi mai stata richiamata per dire no alla violenza, alla fame, alla guerra, agli stermini.

Anche in conseguenza di questo suo temperamento, nonché di una scelta politica interna di “decentramento”, cioè di ricostruzione di un potere diffuso delle gerarchie vescovili e cardinalizie, il papato di Benedetto XVI tende a caratterizzarsi per una forte ingerenza negli affari italiani. Il monarca Giovanni Paolo II, dicevamo, si occupava del pianeta - l’Italia lo interessava relativamente poco. L’oligarca Ratzinger opera sulla scena italiana ed europea - in Italia in perfetta sintonia con la Cei.

Ed ecco l’altra vera novità: l’aggettivazione. Benedetto XVI dichiara che la dottrina cattolica non è «negoziabile». I cattolici che stanno per andare a votare, ed i cattolici che stanno per diventare o ridiventare parlamentari, sono avvertiti: su queste cruciali questioni, non è pensabile andare a un qualche tipo di accordo o di compromesso con lo schieramento laico. Chi lo farà, o chi sarà tentato di farlo, si troverà in contraddizione, nientemeno, che con il Papa - un prezzo comunque pesante da pagare.

Qui il nesso con il voto del 9 aprile si rivela stringente. Alla fine, è pur vero che il Papa non ha dato specifiche indicazioni elettorali (in verità, una dichiarazione così diretta è proprio impensabile). E’ vero piuttosto che si è riferito ad un possibile «partito trasversale» cattolico - le forze politiche italiane che aderiscono al Ppe - che, nel prossimo Parlamento potrebbe contare sugli eletti della Margherita, dell’Udeur, dell’Udc, di Forza Italia. Un blocco massiccio, che travalica i confini tra centrodestra e centrosinistra e, quantomeno potenzialmente, è “indifferente” al risultato elettorale: nel senso che punta a condizionare il prossimo governo, qualunque esso sia. Il governo Prodi, per intenderci.

 

Rina Gagliardi       Liberazione 31 marzo 2006