Il Papa in silenzio
Una proposta sorprendente è stata avanzata da
Papa Benedetto XVI come ragione importante per la beatificazione di Pio XII: il
silenzio. Di fronte al dilagare delle leggi razziali in Europa e all’evidente
gravità di quelle leggi prima ancora che arresti e deportazioni svelassero il
progetto di distruzione completa di un popolo, Pio XII, capo della più vasta e
potente organizzazione religiosa di un mondo che allora era centrato
sull’Europa, ha ritenuto di tacere, di tacere anche quando, con l’occupazione
tedesca di due terzi della penisola, Roma inclusa, dopo l’armistizio e il
tentativo italiano di uscire dalla guerra, forze armate tedesche e fasciste
erano attive, e aggressive, e vendicative nel tentativo di catturare quanti più
ebrei, individui e famiglie fosse possibile, intimando la pena di morte a chi
avesse aiutato i ricercati e compensando ogni delazione italiana (ce ne sono
state a migliaia) con lire cinquemila.
La principale ragione per apprezzare come utile e virtuoso quel silenzio è che
in tal modo il Papa ha reso possibile una vasta rete di aiuto e sostegno in
Vaticano, in chiese e in conventi italiani per salvare, ospitare, nascondere
moltissimi italiani ricercati per razzismo e per ragioni politiche. Si è
trattato della più estesa e attiva rete di rifugio e di soccorso, ben
documentata dalla Storia e di cui migliaia di sopravvissuti, in Italia e nel
mondo, hanno dato atto e gratitudine al Vaticano. Ci sono però due grandi
obiezioni, una nel mondo dei fatti, l’altra a livello dei principi.
I fatti ci dicono che l’Italia ha avuto un ruolo molto grande nell’orrore
delle persecuzioni razziali che hanno insanguinato e marcato come
indimenticabile vergogna tutta l’Europa.
L’Italia cristiana, cattolica, legata con un Concordato alla Chiesa di
Roma. È importante ricordare tutto ciò, oggi, alla vigilia del 16 ottobre.
Quella notte del 1943 mille e diciassette cittadini ebrei romani - dai neonati
ai vecchi ai malati - sono stati arrestati nelle loro case del Ghetto di Roma da
unità militari tedesche munite di nomi e indirizzi da parte dei fascisti
italiani. Tutti i rastrellati sono stati tenuti prigionieri per giorni presso il
Collegio militare di Roma sotto la sorveglianza di militi fascisti, e poi
deportati ad Aushwitz da dove quasi nessuno è tornato. Dunque ciò che è accaduto
a Roma il 16 ottobre non è stato il blitz di un terribile istante ma una lunga,
meticolosa operazione nazista e fascista durata per giorni nel silenzio di Roma.
L’Italia era l’altra grande potenza che ha invaso e occupato, insieme ai
tedeschi. Il ruolo che l’auto-narrazione italiana si è attribuito dopo il
disastro e la sconfitta fascista, è quello di uno Stato buono, sgangherato e
debole dove i soldati combattevano con le scarpe di cartone. Era vero,
nell’esperienza disperata dei soldati di allora, ma persino mentre il disastro
italiano si compiva, l’Italia dalla Francia ai Balcani alla Russia, era l’altro
grande Paese invasore, oppressore, occupante. Non tutti i diplomatici e i
generali italiani ubbidivano, anzi ci sono state clamorose dissociazioni di
fatto (che vuol dire cauta ma ferma disobbedienza) dalle leggi razziali.
Ma l’Italia era l’altro persecutore, le
leggi razziali erano state firmate dal re italiano, unico caso in Europa.
Ma il re Savoia era imparentato con metà delle monarchie europee del tempo,
l’esercito sabaudo era collegato con l’attivismo nazista antisemita attraverso
gerarchi, ufficiali, agenti della milizia fascista, che facevano comunque del
loro meglio per terrorizzare le popolazioni locali e spingere al peggio i
“Gaulatier” e i governi fantoccio. Erano impegnati a terrorizzare tutte le
popolazioni, a sostenere tutti i fascismi locali più sanguinosi, ad accumulare,
contro l’Italia, un odio che dura ancora. Ma sopratutto erano attivissimi nella
collaborazione all’immensa rete di delitti che oggi chiamiamo
Shoah.
Il diario di un uomo giusto come Giorgio Perlasca che, da solo, in Ungheria, ha
salvato migliaia di cittadini ebrei dalla deportazione fingendosi diplomatico
spagnolo testimonia del frenetico lavoro della persecuzione in regioni e Paesi
di un’Europa cristiana e in gran parte cattolica. O comunque
sensibilissima all’autorità della Chiesa cattolica, che riguardava anche una
parte non irrilevante di soldati e ufficiali tedeschi. E che certo condizionava
il fascismo.
E qui entra in campo la questione di principio. Ciò che è accaduto in Italia,
sopratutto l’assenza quasi totale di voci italiane contro le leggi razziali,
allo stesso tempo spaventose e folli (folli in modo evidente, a cominciare dalle
enunciazioni di principio, dai presunti fondamenti storici e logici, dal titolo
stesso di “leggi in difesa della razza”) è reso più inspiegabile e difficile da
giustificare a causa del comportamento del Parlamento filo-fascista bulgaro.
Quel Parlamento, sotto la guida del presidente Dimitar Peshev (cito da libro di
Gabriele Nissim «L’uomo che fermò Hitler», Mondadori), rifiutò e respinse le
leggi razziali preparate sull’odioso modello italiano. E impedì in tutto il
Paese occupato “dai camerati tedeschi” qualsiasi atto contro i cittadini bulgari
ebrei. Dunque dire di no da parte di chi aveva autorità era pericoloso ma
possibile. Imbarazza la memoria italiana anche il ben noto gesto del re di
Danimarca che, pur privo di forza militare e di qualunque strumento di
resistenza, si oppose, senza cedere mai, all’imposizione della stella gialla
come identificazione dei suoi cittadini ebrei.
Sono leggende, ormai, brandelli di un onore perduto. Sono tentativi di recupero
di un minimo rispetto per un’Europa colta e orgogliosa della sua identità in cui
è dilagato il peggior delitto della Storia. Ma quel delitto è dilagato nel
silenzio. Ed è stato - poche volte - fermato dal coraggio, raro, drammatico, ma,
come si vede, efficace di rompere il silenzio. Tutto dimostra che i nazisti
avevano bisogno del silenzio e contavano sulla cancellazione della memoria.
C’è un rapporto fra il silenzio che ha consentito a una organizzazione non
sospetta e intatta (a causa del silenzio) come la Chiesa cattolica e la salvezza
di migliaia di ebrei? Certo, c’è. Ma è lo stesso silenzio che ha
consentito la deportazione e lo sterminio di milioni di ebrei d’Europa.
Era possibile parlare? Rispondono alcune voci che, in alcuni luoghi, hanno
cambiato la Storia. Era pericoloso? Lo era. Ma era anche un ostacolo grave e
imbarazzante, se è vero che le radici d’Europa sono - dunque erano - cristiane e
cattoliche.
Infine: si ricorda un esempio, nella lunga storia cattolica di martiri e
santi, di qualcuno portato all’onore degli altari per avere taciuto? Uno solo?
Furio Colombo L’Unità 15 10 08