Bisogna essere onesti:
Benedetto XVI ha dimostrato un'inedita abilità comunicativa nel muoversi in un
terreno a dir poco accidentato e concludere in modo positivo una visita che
partiva con lo sfavore di tutti i pronostici. Ma soprattutto ha saputo vincere
la scommessa più difficile, quella di attenuare i toni dottrinari per toccare
corde più intime. I commenti elogiativi della stampa turca, pressoché unanime,
testimoniano di un riavvicinamento e di un dialogo recuperato, dopo la grande
tensione seguita al discorso di Ratisbona.
Se si deve dargliene atto, d'altra parte non è nemmeno il caso di incensare
troppo chi, in effetti, ha anzitutto rimediato ai propri errori. Piuttosto, vale
la pena di osservare che questo capolavoro diplomatico non è potuto avvenire se
non a costo di ripensamenti (contraddizioni?) tanto plateali quanto inevitabili.
Per la visita in Turchia il Vaticano ha messo in atto una vera e propria strategia di comunicazione differenziata. Doveva essere una visita pastorale e non politica. E in larga parte lo è stata, dall'omaggio reso al mausoleo di Ataturk, padre della Turchia moderna, che è stato il primo, doveroso impegno ufficiale, fino alla storica visita alla Moschea Blu, passando per il santuario mariano di Efeso e per l'incontro col patriarca ortodosso Bartolomeo I.
Ma è inevitabile che le dichiarazioni del papa abbiano anche una valenza
politica. Ce l'hanno, a volte, anche quando non parla di politica. A maggior
ragione se Benedetto XVI spezza una lancia in favore dell'ingresso della Turchia
nell'Unione Europea, con buona pace di quella vecchia storia delle radici
cristiane dell'Europa.
Lo stesso messaggio è stato lanciato nel pomeriggio di martedì, primo giorno
della visita, da padre Lombardi, direttore della sala stampa vaticana,
affermando che "la Santa Sede non ha né il potere né il compito politico
specifico di intervenire" sulla questione dell'ingresso della Turchia
nell'Unione Europea; ma "vede positivamente e incoraggia il cammino di dialogo,
avvicinamento e inserimento in Europa sulla base di valori e principi comuni".
Radici cristiane dell'Europa? Quando mai. Del resto, tra Cristianesimo e Islam non esiste incompatibilità, perché i fedeli dell'una religione come dell'altra credono nell'unico Dio, sebbene ciascuno secondo la propria tradizione - ha dichiarato Benedetto XVI. Encomiabile slancio relativistico ma, appunto, quell'acerrima battaglia contro il relativismo, che fine ha fatto? Roba superata, a quanto pare.
È stato un evento certamente non privo di una specifica rilevanza storica, e
più avanti, forse ci troveremo a ragionare dell'importanza che questa visita
pontificia potrebbe aver rivestito per l'entrata nella Turchia nell'Unione
Europea e del contributo portato al dialogo interculturale; e magari persino del
fatto che l'incidente di Ratisbona abbia comunque potuto rappresentare una via
per aprire il dialogo.
Intanto, gli esiti raggiunti dovrebbero farci davvero piacere, perché della pari
dignità e della compatibilità tra religioni e culture noi siamo da sempre
convinti assertori, come anche della necessità di riconoscere i molteplici
influssi che formano l'anima composita dell'Europa.
Ora parrebbe che se ne sia convinto anche Benedetto XVI (ma che immane fatica
deve aver fatto). Accogliamo dunque il miracolo con prudente compiacimento. Deve
essere proprio vero: Dio esiste ed è buono!
Pier Paolo Caserta Aprile Online 3/12/2006