La Chiesa immobile

 

C’era da aspettarselo che il viaggio del Papa in Africa incontrasse la mina vagante degli strumenti con cui far fronte al flagello dell’Aids. Le parole di Benedetto XVI che l’Aids non si risolve con la pubblicità e la distribuzione dei preservativi, e che al contrario questi aggravano il problema, hanno innescato una polemica internazionale senza precedenti. Con i governi di Francia e di Germania che guidano l’indignazione.

Da Parigi, il ministero degli Esteri ha espresso grandissima preoccupazione per le conseguenze che le parole del Papa possono avere sulla lotta contro l’Aids; mentre da Berlino, il ministro che si occupa di salute, cooperazione e sviluppo osserva caustico che «i preservativi salvano la vita, tanto in Europa come in altri continenti». Poco ci manca che i due governi convochino i rispettivi nunzi apostolici della Santa Sede per avanzare formale protesta!

A ben guardare, la posizione del Papa sulla questione ha le sue buone ragioni, quando ricorda a tutto il mondo che il condom non è la soluzione del problema dell’Aids. La Chiesa prende le distanze da quanti pensano che la diffusione dei preservativi sia la via migliore per far fronte a questo dramma umano e sociale. Si tratta di una soluzione tecnica o meccanica di un problema che ha radici ben più profonde, che si contrasta dunque soprattutto con l’educazione a una sessualità responsabile, con politiche di sostegno della famiglia e del matrimonio, con la ricerca di cure efficaci accessibili al maggior numero di persone e con l’assistenza umana e spirituale dei malati. Non si tratta solo di richiami ideali, ma di direttive che ispirano il modo in cui la Chiesa lotta (non soltanto nel continente nero) contro un’epidemia come l’Aids.

Oltre a ciò, il pensiero dell’entourage del Papa sul tema sembra almeno implicitamente accennare a un altro aspetto critico. Il fatto cioè che quello del profilattico è un metodo molto occidentale per evitare di contrarre l’Hiv, che può quindi non essere adeguato a società e contesti che per cultura o tradizione non ne comprendono o ne ostacolano l’uso. Si tratta di una riserva avanzata anche da vari ricercatori (sia di matrice cattolica che laica), che quindi almeno indirettamente condividono l’idea di Benedetto XVI che il preservativo non serve a prevenire l’Aids in Africa.

Non stupisce dunque che il Pontefice ribadisca ancora una volta il pensiero che da sempre la Chiesa coltiva in tema di sessualità, con le sue chiusure sull’uso del condom, con i suoi richiami ai principi etici fondamentali. In questo caso si tratta di posizioni ancora riconducibili all’enciclica Humanae Vitae, emanata 40 anni fa da Paolo VI e in tempi più recenti ribadite da Giovanni Paolo II. Il pensiero di Ratzinger quindi si colloca nel solco di una tradizione consolidata, che egli condivide con i suoi predecessori. Tuttavia, ciò che sorprende da un lato è questa immobilità di pensiero della Chiesa che si trascina nel tempo, e dall’altro il fatto che essa sia stata riproposta in modo esplicito nel momento stesso in cui il Pontefice ha iniziato il suo viaggio in Africa.

La morale cristiana richiede certamente una forte fedeltà ai principi, ai valori «irrinunciabili». Tuttavia prevede anche che il richiamo ai valori ultimi sia mediato in rapporto alle situazioni concrete di vita, anche orientandosi in determinate circostanze a scegliere il male minore, soprattutto quando si è di fronte a fenomeni (come quello dell’Aids) carichi di conseguenze molto gravi non soltanto per chi ha contratto la malattia, ma anche per i figli e le generazioni future che non hanno responsabilità alcuna. Oltre a ciò, l’azione preventiva (fatta di educazione, politiche per la famiglia, ecc.) che la Chiesa propone per combattere l’Aids è senza dubbio fondamentale, ma ha tempi così lunghi di attuazione e incontra difficoltà tali da lasciare irrisolti molti problemi sul tappeto.

Resta da chiedersi come mai alcuni stati europei (e da ultimo anche l’Unione Europea) abbiano reagito con tale veemenza a queste prime parole del Papa in terra d’Africa. Da tempo c’è un clima di fibrillazione nei rapporti tra la Santa Sede e alcune nazioni d’Europa, per la discordante valutazione di fatti e eventi che hanno implicazioni globali. Il no di Benedetto XVI ai preservativi non è stato contestato dal «laicista» Zapatero, ma da due governi che - pur di matrici diverse - sono attenti al ruolo del Papa nel mondo; uno quello francese che ha ormai sposato l’idea della laicità positiva, l’altro, quello tedesco, che riflette una nazione impregnata di valori cristiani. Entrambi sembrano chiedere al Pontefice di essere più attento alle implicazioni politiche delle sue prese di posizione, per evitare che si interrompano processi che - pur limitati - contribuiscono ad attenuare i mali del mondo. In questo contesto, è curioso rilevare la totale assenza di reazione del governo e dei leader politici italiani, forse per eccesso di furbizia o di equilibrio.

Franco Garelli   La Stampa 19/ 3/ 09

 

 

Il papa e l'aids


“Di fronte alla sofferenza o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all'abuso di
potere, un cristiano non può restare in silenzio.” Arrivando martedì 17 marzo a Yaoundé (Camerun)
per il suo primo viaggio in Africa, Benedetto XVI ha fatto delle affermazioni giuste. Subito il papa
ha osservato appunto che “l'Africa soffre in modo sproporzionato”. Peccato che precedentemente
abbia pronunciato, sull'aereo che lo portava in quel continente devastato dall'aids e da mille altre
calamità, parole diverse che rovinano questa parola.
Per la prima volta dall'inizio del suo pontificato, quattro anni fa, Benedetto XVI ha esplicitamente
parlato dell'aids. “Non si può risolvere il problema dell'aids con la distribuzione di preservativi, ha
dichiarato ai giornalisti il vescovo di Roma. Al contrario, ciò aumenta il problema.” Nessuno ha mai
preteso che il preservativo fosse “la” soluzione per lottare contro l'aids. Ma affermare che aggrava
la pandemia è gravissimo e irresponsabile. Il suo predecessore Giovanni Paolo II non era mai
arrivato a tanto.
Ricordiamo qui alcune cifre. Secondo il rapporto annuale dell'ONU sull'aids, 33 milioni di persone
nel mondo vivevano nel 2007 con l'HIV, di cui 22 milioni (contro 20,4 milioni nel 2001) per la sola
Africa subsahariana. Su questi 22 milioni, si contano 12 milioni di donne di più di 15 anni e un
milione e ottocentomila bambini. Sui 2 milioni di persone che sono morte di aids nel 2007, i tre
quarti abitavano l'Africa subsahariana.
Dalla comparsa della malattia, il Vaticano si è sempre attenuto ad un unico credo, quello
dell'astinenza.
Promuovendo una “umanizzazione della sessualità”, Benedetto XVI ha chiamato ad
una maggiore responsabilizzazione, senza dubbio vedendo nel preservativo un mezzo per
sottrarvisi. Questa parola è una fuga davanti alla realtà, quando la stragrande maggioranza degli
organismi umanitari, anche cattolici, che lottano contro l'aids fanno del preservativo uno degli
strumenti privilegiati della prevenzione. Le affermazioni del papa indeboliscono il loro lavoro.
Invece di far evolvere la posizione della Chiesa, il papa la irrigidisce. Questo episodio mostra uno
spirito di chiusura non giustificato da un legittimo attaccamento ai dogmi e alla parola della Chiesa.

Giunge dopo la revoca della scomunica dei vescovi integralisti e la condanna, in Brasile – con
l'appoggio del Vaticano – della madre di una bambina che ha abortito dopo essere stata stuprata e la
cui vita era in pericolo. Molti fedeli in tutto il mondo sempre meno riescono a capire.

in “Le Monde” del 19 marzo 2009

 

 

Aids: Benedetto XVI rafforza la posizione della Chiesa contro il preservativo

Acclamato da migliaia di persone lungo tutto il suo percorso dall'aeroporto di Yaoundé (Camerun),
dove è arrivato martedì 17 marzo, alla nunziatura apostolica, il papa non ha sicuramente fatto
attenzione agli immensi manifesti pubblicitari, che, qua e là, vantavano i meriti del preservativo
nella lotta contro l'aids.
Una realtà africana che contraddice le affermazioni fatte qualche ora prima da Benedetto XVI,
sull'aereo che lo portava in un continente devastato dalla pandemia. “Non si può risolvere il
problema dell'aids con la distribuzione di preservativi. Al contrario, ciò aumenta il problema”, ha
dichiarato, affrontando per la prima volta nel suo pontificato questo tema in maniera così esplicita,
ancora più di petto del suo predecessore Giovanni Paolo II.
“Avrebbe dovuto limitarsi a dire che il preservativo non è una soluzione, che è poi la posizione
tradizionale della Chiesa. Oggi, affermare che ciò aggrava il problema è un errore”, ritiene un
vaticanista italiano. Oltre all'astinenza, il papa ha parlato a favore di una “umanizzazione della
sessualità” e “un comportamento più giusto”. Ha anche espresso apprezzamento per il lavoro di
accompagnamento svolto dalle istituzioni religiose presso i malati.
Di fronte alle devastazioni della pandemia, certi, anche all'interno della Chiesa, si auguravano che
questo viaggio africano fosse l'occasione per il Vaticano di cambiare la sua posizione. “Oggi la
Chiesa potrebbe ammettere che il preservativo è un minor male”, sperava, prima della partenza del
papa, un religioso francese, regolarmente presente in Africa. Un'associazione camerunense di aiuto
ai malati di aids ha immediatamente espresso il suo “imbarazzo” dopo le affermazioni di Benedetto
XVI. L'Africa subsahariana conta 22 milioni di persone infettate dal virus dell'aids, secondo
l'organizzazione Unaids; e tre quarti dei decessi legati alla malattia avvengono in questa regione del
mondo.
Ponendo il suo primo viaggio in Africa sotto il segno “della fede e della morale”, il papa ha già
detto che non avrebbe proposto “programmi politici o economici”. Benedetto XVI è stato accolto
dal presidente della Repubblica, Paul Biya, che ha trovato in questa visita una tribuna politica
opportuna, mostrandosi su ritratti giganti in “perfetta comunione” con il papa
. Quest'ultimo ha
riassunto in una frase i mali dell'Africa, che, secondo lui, soffre in maniera “sproporzionata”: “Di
fronte alla sofferenza o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all'abuso di
potere, un cristiano non può restare in silenzio”. “Le persone chiedono riconciliazione, giustizia e
pace, ha assicurato il papa, riprendendo i temi del prossimo sinodo dedicato all'Africa, in ottobre. È
ciò che la Chiesa offre loro. Non nuove forme di oppressione politica o economica, non
l'imposizione di un modello culturale che ignora il diritto dei bambini non nati, non le rivalità
amare tra etnie o tra religioni, ma (...) la pace e la gioia del Regno di Dio.”
Come fa in ognuno dei suoi spostamenti, è previsto che il papa si rivolga ai vescovi locali,
mercoledì alla fine della mattinata, per passare in rassegna con loro le specificità della Chiesa del
posto: concorrenza con le “sette” e i movimenti esoterici, modo di vivere e formazione dei preti,
liturgia... e per mettere in evidenza il ruolo “missionario” ed evangelizzatore della Chiesa.
In una allusione al celibato dei preti, che in Africa qua e là non è sempre rispettato, Benedetto XVI
ricorda che il pastore è prima di tutto “un uomo di preghiera” e che deve attenersi “agli impegni
assunti alla sua ordinazione”. Parlando della liturgia, particolarmente vivace e festosa in Africa, il
papa chiama ad una “dignità delle celebrazioni” per una migliore “comunione con Dio”.

Stéphanie Le Bars    in “Le Monde” del 19 marzo 2009