Il papa e Bush uniti negli errori

In aprile Benedetto XVI festeggiò i suoi 81 anni con George W. Bush alla Casa Bianca. Curioso: il
Papa, ambasciatore di pace e verità, che brinda con un presidente di guerra che, anche agli occhi di
molti americani, con le bugie e la propaganda ha trascinato una grande democrazia in una guerra
brutale, senza apparenti strategie per uscirne.
Secondo un sondaggio recente, l’80 per cento degli americani è convinto che gli Stati Uniti sono
«sulla strada sbagliata». Di qui lo slogan di questa campagna elettorale per la Casa Bianca:
«Cambiamento». E il Papa? A parte una tardiva ammissione di colpa per gli innumerevoli casi di
pedofilia tra il clero cattolico, non ha praticamente detto una sola parola di cambiamento nella
chiesa e nella società.
George W. Bush e Joseph Ratzinger sono diversi per carattere, istruzione e modo di parlare come
possono esserlo un cowboy del Texas e un prelato romano. Bush non ha mai mascherato il suo
atteggiamento anti-intellettuale. La sua conoscenza della storia è limitata tanto quanto la sua
conoscenza della geografia, della lingue straniere e della filosofia. Una raccolta delle sue famigerate
gaffe linguistiche e logiche («Bushism») ha prodotto molte risate. La sua visione del mondo è
racchiusa nel modello manicheo dell’opposizione tra bene («noi») e male («loro»). All’opposto,
Benedetto XVI ha goduto di un’eccellente istruzione classica e ha imparato alcune lingue straniere.
Il suo pensiero è sottile, il linguaggio raffinato, le azioni prudenti. Per un quarto di secolo ha
osservato attentamente le cose del mondo dalle finestre del Vaticano. Nel decidere si lascia guidare
dalle usanze centenarie della Curia romana, il corpo amministrativo della Chiesa cattolica romana.
I due però hanno anche molto in comune. Entrambi amano le apparizioni pompose, siano esse su un
aereo o davanti alle masse in piazza San Pietro. In occasione della visita del Papa, il Presidente
tentò di competere con il cerimoniale imperiale del pontefice romano ricorrendo a una guardia
d’onore e una salva con 21 cannoni. Sia il Presidente sia il Papa condividono un atteggiamento
conservatore, soprattutto quando si tratta di controllo delle nascite, morale familiare, esibita
devozione cristiana. Nel caso del presidente, questo atteggiamento sembra piuttosto
fondamentalista; nel caso del Papa, sovraccarico di tradizione. Ovviamente, entrambi ritenevano
che tutta questa ostentazione di fondamenta morali condivise avrebbe fatto guadagnare punti con il
pubblico americano.
Nel suo recente viaggio di commiato nelle capitali europee, era evidente che il Presidente, che ha
incontrato solo fiacca indifferenza anziché dimostrazioni ostili, è stato cancellato come un’anatra
zoppa. Imperterrito, ha ripetuto il suo discorso sulla lotta per la libertà e la democrazia, per la
«sicurezza» e la pace. In questo modo ha mostrato la sua personale versione di infallibilità, che lo
rende incapace di imparare alcunché e gli impedisce di cogliere una qualunque occasione per
ammettere la sua colpa di fronte all’immenso disastro che le sue azioni hanno creato nel mondo.
Il Papa, invece, non è un’anatra zoppa. E anche se lui, secondo una più recente dottrina romana, ha
ancora una certa «infallibilità nelle questioni di fede e morale», è però capace di imparare. Dopo
tutto ha concesso a me, suo critico, un’amichevole conversazione di quattro ore nella residenza
estiva di Castel Gandolfo, nel corso della quale ha mostrato una sorprendente capacità di fare passi
avanti nelle sue riflessioni. E nel viaggio in Turchia del 2006 ha corretto - con una visita fuori
programma a una moschea e una chiara espressione di alta considerazione per l’Islam - le
controverse osservazioni sull’Islam come religione di violenza, fatte qualche mese prima in
Germania, all’Università di Ratisbona.
Il Papa è in carica da soli tre anni. Non potrebbe imparare, mi chiedo, dai fallimenti del presidente
Bush? Alla sua grande intelligenza e alla sua sensibilità storica non possono sfuggire i segnali
ammonitori per il futuro del suo pontificato.
 

Ne segnalo cinque:
1. Con la reintroduzione del tradizionale rito latino nella Messa, abolito dal Concilio Vaticano II e
da Paolo VI in favore di una liturgia più accessibile nella lingua vernacolare, si è attirato molte
critiche nell’episcopato e tra i pastori.
2. Nell’incontro con il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, a Istanbul, il Papa non
ha dato segni di compromesso sui diritti legali romani medievali sulle chiese ortodosse e così non
ha fatto nemmeno un passo avanti verso la riunificazione tra Est e Ovest.
3. Con le apparizioni pubbliche in sontuose vesti liturgiche nello stile di Leone X, che voleva
gustare il pontificato in tutti i suoi agi e che porta la responsabilità principale per il «no» di Roma
alle richieste di riforma di Lutero, Benedetto XVI ha confermato l’idea di molti protestanti che il
Papa non conosce in profondità la Riforma.
4. Mantenendo rigidamente la legge medievale del celibato per il clero occidentale, porta la
principale responsabilità del declino del sacerdozio cattolico in molti Paesi e del crollo delle
tradizionali strutture della cura pastorale nelle sempre più numerose comunità rimaste senza prete.
5. Insistendo sulla perniciosa enciclica Humanae vitae contro qualunque forma di controllo delle
nascite, il Papa condivide la responsabilità della sovrappopolazione, soprattutto nei Paesi più
poveri, e dell’ulteriore diffusione dell’Aids.
 

Quella che il giornalista Jacob Weisberg chiama «la tragedia di Bush» non dovrebbe indurre
Benedetto XVI a pensare più attentamente alle sue azioni? Mal consigliato dai neoconservatori e
tenacemente appoggiato da media compiacenti, Bush voleva portare il suo Paese in una «nuova era
americana». Ora finisce la sua carriera da fallito, a stento rispettato dal suo stesso partito.
«Sapienti sat» - «questo basta a chi capisce» - solevano dire gli antichi romani. Chi conosce la
situazione della Chiesa non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.

Hans Küng       La Stampa   22 luglio 2008