Il papa di ieri, oggi e domani

Pochi mesi sono passati dalla nomina, ma già si può dire che il nuovo papa ha superato la prova, per lo meno quella dell'opinione pubblica. Lo dicono i dati statistici, anche se le preferenze sono ancora leggermente a favore del più conosciuto Giovanni Paolo II. Le presenze estive a piazza San Pietro nel 2005 hanno superato quelle del 2004, anche se questo dato è significativo più del turismo che del pontificato. Più difficile è comprendere quali saranno le linee del nuovo pontificato. Quale la sua teologia, il suo rapporto con le varie anime del cattolicesimo, il suo ecumenismo? E' difficile dirlo, per vari motivi. Prima di tutto perché Ratzinger cerca continuamente il raccordo con Wojtyla, più ancora della continuità con il suo pensiero precedente. Poi perché i testi sono sempre filtrati, mediati, disponibili a diverse letture non sempre omogenee. Un pontificato conservatore o moderatamente rivoluzionario? E in che senso?

Il sinodo dei vescovi che si è chiuso da pochi giorni ha dato al mondo un'impressione di decisa conservazione. Le varie questioni scottanti che sono state toccate sono state risolte tutte nel senso del «no»: così per la comunione ai divorziati risposati, così per il celibato dei preti, così per le innovazioni nella liturgia. Ma alcuni sottolineano che l'averle toccate e discusse solennemente rappresenta già una novità. Può darsi; ma non è dato sapere quale sarebbe su tali questioni e altre simili il parere dal papa.

Per comprenderlo bisogna ancora rifarsi soprattutto al Ratzinger di prima dell'elezione al pontificato.

Comunque i documenti più recenti confermano, anche se con la necessaria moderazione, le impostazioni precedenti.

Penso soprattutto al recente scambio di lettere fra il papa e il presidente del Senato Pera.

Per comprendere il Ratzinger di ieri e di oggi - probabilmente anche di domani - alcuni osservatori attenti, penso al volume di Giancarlo Zizola, BenedettoXVI. Un successore al crocevia, fanno riferimento alla sua formazione teologica «agostiniana». Il riferimento a Sant'Agostino, dal giovane Ratzinger studiato a fondo al livello universitario, significherebbe pessimismo sul mondo, un mondo piuttosto lontano dalla «città di Dio» che cerca non tanto di abbracciarlo quanto di convertirlo. Con risultati scarsi: la lontananza permane.

Se è così, si spiegherebbe l'atteggiamento di Ratzinger: la chiesa è lontana da un mondo che le è fondamentalmente ostile e ne rifiuta le leggi e gli orientamenti. Leggi e orientamenti che la chiesa vorrebbe fare osservare da tutti, non soltanto dai suoi fedeli. Sono, infatti, leggi razionali: la fede abbraccia la ragione, la giustifica e la controlla, anche se non può più imporla, come cercava di fare nel passato. Una posizione che, se ha le sue radici in Agostino, è stata poi sviluppata e ampliata nel corso dei secoli, fino ad oggi.

Ed è convissuta con posizioni più «ottimistiche», più aperte alla bontà del mondo e anche di chi è al di fuori della chiesa. Se si vuole cercare un insigne rappresentante di questa posizione diversa da quella di Ratzinger viene subito in mente papa Giovanni XXIII con il suo famoso discorso in apertura del Concilio Vaticano II. Quando il papa volle smentire tutti «quei profeti di sventura che non vedono nei tempi moderni che prevaricazioni e rovine e vanno dicendo che la nostra età, in confronto con quelle passate, è andata peggiorando». Fra Roncalli e Ratzinger, dunque, una notevole diversità non tanto di dottrine quanto di mentalità.

Quel pessimismo di fondo, più o meno agostiniano, farebbe comprendere sia alcune simpatie più o meno implicite, sia alcuni possibili pericoli.

Le simpatie ovviamente si rivolgono a quei settori della cultura e della politica che riconoscono che il mondo va male e che solo la religione potrebbe essere in grado di sanarne le piaghe. Si pensa subito alla cultura dei teocons, come oggi si suol dire. Gruppi e persone, credenti o meno, convinte che «solo la fede religiosa ci può salvare».

Ma questa fede salvatrice della società spinge inevitabilmente la religione verso quella che si è soliti chiamare «religione civile». La religione, dunque, sostiene la società, ne sana le ferite e la salva dalla sua corruzione. La religione in funzione sia di superpolizia sia di supermagistratura.

A questo punto è necessario chiedersi quanto questa religione civile assomigli alla fede evangelica nel Cristo crocefisso certamente non per sostenere e salvare il regime ebraico e romano in Palestina.

Una riflessione che dovrà proseguire. Aspettiamo, intanto, la prima enciclica di Benedetto XVI.

 

FILIPPO GENTILONI  il manifesto 10/11/05