Il papa che rifiuta il mondo moderno
L´annuncio che la seconda enciclica del Papa, dopo quella sull´amore e sulla "caritas",
sarebbe stata dedicata alla speranza aveva suscitato in me una viva
aspettazione. Il cammino di Benedetto XVI verso la pienezza del suo magistero
era stato fin qui piuttosto incerto, la sua decantata teologia soggetta a
mutamenti a volte repentini, la sua vocazione pastorale crescente anche se non
paragonabile a quella, tanto più drammaturgica e spettacolare, del suo
predecessore.
Nei mesi più recenti era emersa una tonalità critica nei confronti della grande
revisione conciliare e in un certo senso modernista del Vaticano II, dove
dottori e pastori della Chiesa in vesti episcopali avevano aperto alla
modernità, all´ecumenismo e perfino ai laici non credenti mettendosi in ascolto
per trasmettere il messaggio evangelico e per conciliarlo con le risposte del
pensiero laico, della morale laica e della razionalità.
Il Papa sembrava revocare in dubbio il messaggio conciliare e scavalcare a
ritroso almeno due dei pontificati precedenti, quello di papa Roncalli e quello
di papa Montini, tornando piuttosto alla Chiesa pacelliana e anche più indietro.
Sensazioni tuttavia, ancora incerte. Mitigate – debbo dirlo – dall´apprezzamento
sincero dell´opera di Pietro Scoppola, manifestato da Ratzinger in persona in
occasione della sua morte con parole inusitate di lode verso un cattolico la cui
posizione nei confronti del mondo moderno era di tutt´altro segno di quella
ormai prevalente nella Chiesa di Roma.
Perciò attendevo con interesse la seconda enciclica sperando che da essa si
potessero trarre maggiori lumi sul pensiero di papa Ratzinger. Così infatti è
stato. Anticipo qui il mio giudizio sul documento papale: Benedetto XVI ha
voltato le spalle al Concilio Vaticano II.
Lo deduco da una lettura attenta del testo che del resto è estremamente chiaro.
Per certi cattolici il pensiero di un laico non credente può forse non avere
rilievo alcuno o può esser tacciato di indebita interferenza. Respingo questa
seconda obiezione: i non credenti sono stati da sempre "terra di missione" per
la Chiesa; sarebbe dunque molto strano che gli si voglia chiuder la bocca quando
essi parlano a chi vuol parlare con loro.
Quanto alla prima obiezione, quella dell´irrilevanza, essa ha un carattere
soggettivo e non può esser presa in considerazione se non si munisca di
argomenti forti ed espliciti in aperto contraddittorio. Anche i non credenti
infatti hanno uno spazio pubblico, almeno altrettanto legittimo di quello
reclamato e utilizzato amplissimamente dalla gerarchia ecclesiastica. Spazio
pubblico significa discussione pubblica, rinvio di argomenti dagli uni agli
altri, confronto paritario. Perciò facciamolo questo confronto. La "Spe Salvi"
ce ne fornisce una buona occasione.
* * *
Prima
osservazione. L´enciclica porta un sottotitolo che indica i destinatari del
documento: «Ai vescovi ai presbiteri e ai diaconi e a tutti i fedeli laici sulla
speranza cristiana».
E´ strano che un´enciclica elenchi fin dal titolo i suoi destinatari. Tra di
essi non sono indicati i seguaci delle altre confessioni cristiane, per non
parlare dei fedeli di altre religioni. Solo vescovi, sacerdoti, fedeli
cattolici.
Eppure si parla della speranza. Quella parola dovrebbe comunicare la massima
apertura verso tutti i punti cardinali dell´orizzonte spirituale. Il vertice
della cattolicità si chiude invece in difesa? Parla soltanto a chi è già
arruolato e a chi è già convinto? Dov´è lo spirito missionario? Seconda
osservazione. Le argomentazioni del documento pontificio sono certamente
interessanti e comprensibili dalla cultura europea, ma abbastanza estranee ai
cattolici di continenti e culture più lontane, all´Africa, all´Asia, all´America
Latina. Che Ratzinger fosse un Papa europeo lo si era capito subito. La "Spe
Salvi" ce ne dà conferma.
Ecco un´altra prova del suo voltar le spalle al messaggio ecumenico del Vaticano
II.
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Mi spiace
dirlo di un Papa celebrato soprattutto per la sua finezza teologica ma la sua
teologia, almeno per quanto riguarda il rapporto tra speranza-fede-certezza è in
realtà una tautologia. Arbitraria e quindi non utilizzabile come prova di quanto
l´autore vuole provare.
La speranza, dice papa Benedetto, contiene già la fede, la sostanza della fede è
la certezza di ciò che la verità rivelata ci insegna. Perciò la speranza è già
salvezza.
Questo passaggio costituisce il nucleo teologico della "Spe Salvi". Del resto è
lo stesso titolo dell´enciclica ad annunciarlo: sarete salvi a causa della
speranza, sarete salvi perché sperate. Cento pagine conta l´enciclica,
l´identificazione speranza - fede - verità rivelata - certezza - salvezza ne
occupa più o meno la metà. Qui sta forse la sapienza teologica di papa Benedetto
che ne dedica una cinquantina ad illustrare con citazioni argomentate, chiamando
in causa di volta in volta Paolo e Agostino, Ambrogio e Bernardo di Chiaravalle,
Massimo il Confessore, e l´edificante esperienza della schiava Bakhita, per
suffragare le due parole del titolo: "Spe Salvi", sperate e sarà vostro il regno
dei cieli.
Si coglie, in questo modo di ragionare più induttivo che deduttivo, un riflesso
dell´ontologia di Anselmo da Aosta. Era gran tempo che il ragionamento
ontologico non aveva più molto spazio nella dottrina ecclesiale; la scolastica
l´aveva spodestato. E in effetti l´ontologia contiene un rischio per
l´architettura dottrinaria della Chiesa; l´ontologia si elabora nell´interno
d´un pensiero che riflette su se stesso.
La Chiesa è molto cauta a muoversi su un terreno così rischioso.
* * *
La Chiesa,
la sua dottrina elaborata a dir poco dall´800 dopo Cristo, non ha in molta
simpatia la privatezza individuale. Leggete ciò che dice questa enciclica quando
parla della preghiera, concepita come mezzo di ascesa verso Dio.
Dice che la preghiera è uno strumento prezioso, che pregare Dio, Gesù Cristo, la
Madonna, i Santi, i propri estinti, è un modo per elevare l´anima, crescere in
amore e in dedizione di sé. Ciascuno, naturalmente, è libero di pregare a
proprio modo, ma questa libertà ha un limite: la preghiera privata rischia di
diventare sterile estaticità.
Bisogna dunque passare alla preghiera liturgica da praticare anche
solitariamente ma meglio assai coralmente, nella propria comunità, nella propria
chiesa, guidata dai propri sacerdoti.
Il richiamo comunitario si affaccia più volte nelle pagine del documento papale.
E vi irrompe in modo decisivo quando si parla della salvezza e della vita
eterna.
Pensare alla salvezza della singola anima, di quella specifica anima
individuale, è un modo imperfetto e improprio di configurare la vita eterna.
Contiene in sé tracce di egoismo. La salvezza passa per l´amore verso gli altri
e soprattutto verso Dio. Quindi non può riguardare solo se stessi, il mio io si
salverà perché io spero che tutti si salvino. La salvezza quindi è un fatto
comunitario guidato dalla sposa di Cristo, cioè dalla Chiesa. La salvezza
privata non è un pensiero buono. Perché può prescindere dal Magistero?
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Pagine
importanti riguardano il Giudizio finale.
E´ chiaro che quello è un appuntamento essenziale nella dottrina e tanto più se
la speranza è il principio di tutto. La speranza è sinonimo di buona vita ed
anche di buona morte. Sinonimo di fede e di certezza. Di resurrezione dei corpi.
Quindi di conservazione dell´individualità e della memoria di sé. Non ci si
reincarna nel corpo d´un altro ma nel proprio.
Dice Agostino in una memorabile pagina delle sue "Confessioni" (ma questa
citazione non l´ho trovata nella "Spe Salvi"): «Tenterò di raggiungerti dove
puoi esser raggiunto e di aderirti dove aderirti è possibile, o mio Dio, mia
dolce sicurezza e mio bene. Rinuncerò anche alla mia memoria, alla memoria di
me, pur di avere la beatitudine di poter salire al tuo cospetto. Ma se rinuncio
alla mia memoria, come potrò avere memoria di te?».
Questa è la contraddizione essenziale tra la condizione umana e la gioia della
beatitudine che fonde l´anima giunta al cospetto del creatore. Ma per arrivare a
quel momento supremo c´è ancora il momento del Giudizio finale. Tutti saremo
salvati, come l´anima amorosa di tutti ardentemente spera? Ma allora dov´è la
giustizia?
La Giustizia, dice papa Benedetto, è un canone irrinunciabile. Dio non può
rinunciare alla Giustizia visto che essa è uno dei suoi principali attributi.
Dio giudicherà in base alla speranza che ha aperto l´anima alla fede. Chi non ha
sperato con ardore si sarà autoescluso. Ma Dio è anche misericordia e amore per
le sue creature, sicché ammette una sorta di prova d´appello ed è la sua grazia
a renderla possibile. Questo percorso è suggestivo. E´ il racconto di «cose che
non si vedono».
Proprio perché non si vedono è la speranza che accadranno a darcene certezza e
sostanza. Si chiama religione, sentimento religioso. E certo lo è, l´aura è
quella.
Ma attenti ad un racconto così dettagliato perché dalla religiosità si rischia
di travalicare facilmente nell´ideologia e da questa alla favola per bambini e
al "c´era una volta", nella quale è sempre la voce della mamma a legger quel
favoloso racconto che ci promette la vita oltremondana, conservando memoria di
noi almeno fino a quando «l´anima esploderà nella gioia suprema» dinanzi al Dio
onnipotente, causa e fine di tutto.
* * *
Dovrei forse dire una parola sull´ennesima condanna (stavolta senza appello) che nell´Enciclica il Papa lancia contro l´Illuminismo, il relativismo, il marxismo? Contro la scienza se priva di fede? Contro il moralismo che si affida all´autonomia della coscienza individuale? Insomma contro la modernità, considerata in blocco come un abisso dal quale ritrarsi finché si è in tempo? Non credo che su questi temi valga la pena di ribattere. L´abbiamo già fatto più volte e ripetersi in questo caso non giova.
Eugenio Scalfari Repubblica 2.12.07