Il Papa che preferisce dimenticare la Shoah


Una cosa deve essere chiara: negare che un crimine sia avvenuto significa commetterlo di nuovo.
Ed è quello che fa sua eccellenza monsignor Richard Williamson, vescovo lefebvriano ora
pienamente cattolico grazie alla clemenza di Benedetto XVI, col negare l'esistenza delle camere a
gas e ridurre il numero degli ebrei uccisi a un massimo di 300.000. In questo articolo provo a
indagare due cose: 1) il motivo che porta un seguace dell'ebreo Gesù, immagino anche
particolarmente devoto all'ebrea sua madre Myriam, a negare la Shoah; 2) il motivo che porta un
papa, vicario dell'ebreo Gesù, a riammettere alla piena comunione ecclesiale un prelato di cui si
conosce la negazione della Shoah.

Monsignor Williamson non ha scoperto nuovi documenti in base a cui dimostra che la ricostruzione
storica della Shoah è grandemente inesatta. Egli semplicemente sceglie di prestare fede, di contro ai
numerosissimi storici che attestano la Shoah, ai pochissimi che la negano. Se già la ricerca storica
dipende dalle ipotesi di lavoro del singolo studioso, a maggior ragione la scelta di sposare una o
l'altra tesi storiografica da parte di chi storico non è, dipende dalle precomprensioni personali. Ora
la domanda è: qual è la precomprensione che porta il "nuovo" vescovo cattolico, di contro a una
montagna di documenti e di testimoni, a prestare fede alla tesi negazionista? Non ho usato a caso la
parola "fede", perché di questo si tratta.
Infatti è una particolare interpretazione della fede cristiana a muovere la mente di monsignor
Williamson: la medesima che fu all'origine dell'antisemitismo che portò alla Shoah. Questo nuovo
vescovo che noi cattolici abbiamo ricevuto in dono dal Papa è la prova provata che un certo
cristianesimo ha molto a che fare con quel pensiero assassino che si concretizzò nella Endlösung
decisa da Hitler il 20 gennaio 1942 nella conferenza di Wannsee. A proposito dell'antisemitismo
nazista ha scritto monsignor Pier Francesco Fumagalli, per anni segretario della Commissione della
Santa Sede per i rapporti religiosi con l'ebraismo: «Simili concezioni neo-pagane erano favorite da
un ambiente generale nel quale già da secoli circolavano stereotipi antiebraici di carattere cristiano,
che permisero la crescita di un antisemitismo diffuso, solo apparentemente moderato».
Il per nulla
moderato monsignor Williamson è un elemento chimico molto utile al laboratorio della storia, è una
specie di fossile vivente, un reperto personificato delle radici cristiane dell'antisemitismo, di cui
Giovanni Paolo II ha chiesto perdono, ma a quanto pare con poco successo presso il suo successore.
 

Vengo al secondo punto: come mai Benedetto XVI, nel decidere di riammettere alla piena
comunione ecclesiale i lefebvriani, è passato sopra alle opinioni criminali (nel senso tecnico di
costituire un crimine perseguibile dalla legge) di monsignor Williamson? Di sicuro non ha
fondamento la distinzione della Sala Stampa vaticana tra livello dottrinale e opinioni politiche
personali, perché il Vaticano guarda sempre con attenzione alle opinioni politiche personali: furono
esattamente le opinioni politiche personali a generare la repressione contro la teologia della
liberazione. In realtà le opinioni politiche di monsignor Williamson non sono state ritenute un
ostacolo. C'era qualcosa di più importante della negazione della Shoah, della memoria di sei milioni
di morti. Di sicuro erano pure previste le reazioni scandalizzate, gli inevitabili contraccolpi per il
dialogo col mondo ebraico, ma si è proseguito lo stesso. Perché Benedetto XVI ha agito così? A mio
avviso la risposta è una sola: per l'interesse della Chiesa. Il Papa ha ritenuto il bene della struttura ecclesiastica superiore al rispetto della verità e della memoria dei morti. È il tipico peccato degli uomini di potere, che per dare forza al proprio stato o partito o azienda sono disposti a calpestare la verità.
Questo è avvenuto: una fredda, gelida, lezione di che cosa significa "servire la Chiesa",
ritenendo il bene della Chiesa superiore a tutto, persino alla memoria dei morti
. La storia della
Chiesa conosce molte pagine di questo stesso tetro colore. Concludo ricordando che nel 1998 il
Vaticano pubblicò un documento intitolato «Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah».
Accettando monsignor Williamson come vescovo cattolico, Benedetto XVI ne ha scritto un altro,
con un titolo diverso: «Noi dimentichiamo». Desidero dire ai fratelli ebrei che molti cristiani non
leggeranno mai quel documento, e continueranno a ripetere con Giovanni Paolo II: Noi ricordiamo!


Vito Mancuso   la Repubblica  26 gennaio 2009