Il papa cancelliere

Francamente non credevamo possibile che si potesse intimidire il papa. Né che qualcuno lo
immaginasse possibile. Da quando, grazie alla breccia di Porta Pia, il pontefice della Chiesa
cattolica non è più il sovrano di uno stato territoriale obbligato a fare politica con gli stessi
strumenti degli altri stati, la sua capacità di agire sulle cose del mondo ha acquistato una dimensione
nuova che non tollera confronti con quella che apparteneva all'antico Stato Pontificio.
«Quante
divisioni ha il papa?» chiedeva Stalin. È una domanda che ha avuto la risposta della storia. Ne sono
documento il crollo del muro di Berlino e i tanti altri crolli che hanno alzato nuvole di polvere in
mezzo a cui parte della vita politica - anche e soprattutto italiana - brancola ancora. E' singolare che
lo si debba ricordare oggi a chi fa risuonare dalla Città del Vaticano queste voci preoccupate. La
lingua in cui sono espresse appare quasi un reperto archeologico d'altri secoli: una voce aspramente
burocratica, da potenza a potenza. Ed è con la lingua d'altri secoli che forse in qualche ministero
statale qualcuno sarà tentato di rispondere. Vedremo. Se ciò accadesse assisteremmo al ritorno di
fantasmi che credevamo per sempre evaporati non solo dalla realtà ma anche dall'immaginario della
politica.
Sarebbe un tuffo nel passato remoto, come uno spettacolo in costume dove i figuranti provano a
recitare una specie di tragicommedia. Gli appelli che giungevano alle cancellerie europee, in special
modo alla Francia di Napoleone III dai portavoce di Pio IX - «quel di se stesso antico prigionier»,
come lo chiamò Giosuè Carducci - furono l'ultimo esercizio storicamente noto di ridar vita all'antico
Papa Re
. Ma erano già allora stonati e tradivano la tristezza di un difficile distacco dal mondo del
passato da parte di un papa che ascoltava cupe profezie di prossima fine del mondo dal suo
predicatore e a quel mondo che riteneva prossimo alla fine mandava raffiche di scomuniche.
Ogni tanto la voglia di vibrare scomuniche come strumento per dominare la lotta politica si è
riaffacciata ancora
. Ma la realtà storica si è imposta regalando ai pontefici che hanno saputo
approfittarne l'occasione di governare non i comportamenti di ministri e capi di stato, ma i
sentimenti delle masse, interpretandone i desideri e le speranze, recando benedizioni e aprendo le
braccia nel gesto della fraternità. Mai il papa è stato più potente di quando è stato disarmato e ha
bussato alle porte dei sovrani temporali come un "pellegrino apostolico"
.

Nell'epoca delle masse e della globalizzazione il papato ha scoperto quanto può essere efficace e persuasiva la parola di un
uomo vestito di bianco che reca parole di pace, che non ha bisogno di guardaspalle armati, che si
inginocchia e bacia la terra quando giunge in un nuovo paese.
Sono in molti oggi tra i politici di
professione e tra gli uomini di potere che si applicano nello studio e nell'imitazione di questo
modello, costretti come sono dai tempi a inventare forme di esercizio del potere che saldino
direttamente il capo alla folla. Ma il carisma che i secoli hanno conferito al linguaggio e ai rituali
pontifici opera in maniera ben più efficace e si rivela seducente ben al di là della cerchia dei fedeli
seguaci della Chiesa cattolica.

Naturalmente ci sono delle regole che governano l'efficacia del rituale: e una regola fondamentale è
quella di lasciare nell'ombra l'opera politica fatta di scelte concrete nel gioco delle potenze che il
papato non ha certo rinunciato a svolgere. Ora ciò che non cessa di meravigliare nel modo in cui si
svolge la comunicazione col mondo di Papa Ratzinger e della sua cerchia è una certa tendenza al
registro aspro, il frequente ricorso all'avvertimento severo, il privilegiare compagnie francamente
strane come quella del gruppo di seguaci di Monsignor Lefebvre. E la cosa stupisce soprattutto chi
conosce l'opera di teologo e di guida religiosa raccolta nei molti libri dell'attuale pontefice.
Tanta familiarità con la letteratura antica, coi testi dei Vangeli, con le pagine dei teologi antichi e
moderni stenta a trovare la via per un rapporto non burocratico coi problemi di guida della Chiesa.

Una Chiesa che oggi ancora una volta e forse più che mai sembra davanti al bivio tra i problemi del
mondo e quelli che riguardano solo la struttura di governo di un corpo ecclesiastico rigidamente
gerarchizzato e dotato di un pesante bagaglio di dottrina e di norme giuridiche. Il dossier che sotto il
nuovo pontefice si è venuto riempiendo reca molti esempi del prevalere di una volontà di rialzare le
muraglie che secoli fa Martin Lutero accusò il papato di avere eretto intorno al corpo ecclesiastico.

Il prezzo pagato è stato alto. E qui non teniamo conto di quello che è stato pagato all'interno della
comunità ecclesiale cattolica ma di quello che pagano e pagheranno i cittadini italiani da quando
una formazione politica assai composita ha deciso di muovere alla conquista del potere politico
stringendo un patto che le impone l'ossequio a tutte le direttive della Roma papale e del suo gruppo
dirigente attuale.
Forse è proprio questo orizzonte italiano che rischia oggi di fare un cattivo
servizio a una dirigenza ecclesiastica che guarda al mondo dall'osservatorio di Roma con le lenti
offuscate del passato: e arriva a scontrarsi con un parlamento di uno stato europeo, immagina una
campagna mediatica rivolta contro il Vaticano e infine trasforma la figura del papa in quella di un
cancelliere.

Adriano Prosperi      la Repubblica 18 aprile 2009