Il Papa bianco, il Messia nero

Sono tutti bianchi in Vaticano i volti e i corpi che accolgono il Presidente nero. Bianco il Papa,
bianchi gli alti prelati, bianchi i «gentiluomini di Sua Santità» abbigliati da grande occasione.
Ancora una volta, è quello stacco di colore della pelle a dare la cifra del carattere storico
dell’incontro. Al di qua delle convergenze politiche e delle differenze biopolitiche che il colloquio
sancirà, da una parte c’è il Papa bianco, leader carismatico di una Chiesa che fa della tradizione la
sua forza. Dall’altra il Messia nero, leader carismatico di un mondo che ha scelto il cambiamento.
Il confronto in presa diretta è a questo livello di densità simbolica. E in presa diretta si capisce che
nei giorni scorsi la Casa bianca abbia voluto dare alla visita in Vaticano un’importanza e una
solennità superiore al summit dell’Aquila: se al G8 si contratta potere, qui si gioca autorità. Barack
Obama sorride, saluta, stringe le mani, commenta i doni, senza mai perdere quell’eleganza
disinvolta e amichevole che è il tratto più stupefacente del suo stile. E ancora una volta supera
l’esame a pieni voti e con la lode: «grande carisma», sarà la sintesi ufficiale dell’impressione
ricevuta dal Papa e dalle gerarchie.
L’esito del colloquio, quaranta minuti a porte chiuse, è affidato a un comunicato che conferma
anticipazioni e aspettative della vigilia. Erano state annunciate convergenze geopolitiche e
divergenze bioetiche e così è, ma il dialogo, l’apertura e la capacità di rubricare i dissensi
sciogliendoli invece che incistandoli danno a Obama il solito vantaggio, e imprimono all’incontro
del dodicesimo presidente americano con il quinto papa della storia il timbro dello scatto in avanti.

Per primo sul nodo dolente dell’aborto, dove la distanza di partenza è grande eppure la conclusione
del Vaticano è soddisfatta, perché «Obama si è impegnato a ridurre il numero degli aborti». Come
chiunque, viene da dire, giacché non è da qui che passa il discrimine fra pro-choice e antiabortisti.

Ma il presidente americano è ben attento, e giustamente, a non rubricare l’aborto sotto la voce
«diritti», è pronto invece a difendere come un diritto l’obiezione di coscienza dei medici cattolici, e
d’altra parte è fermo - si veda l’intervista pubblicata dall’Avvenire il 2 luglio - nel ricordare al Papa
che «diritto alla vita» significa anche e in primo luogo lotta per una vita vivibile, guerra alla fame e
alla povertà, riconoscimento delle minoranze - a cominciare dalla comunità gay, «più volte ferita
dalle prese di posizione della Chiesa»
. Sono i terreni classici di una mediazione possibile fra laici e
cattolici, rilanciata all’alba di un tempo che si lascia alle spalle gli scontri di civiltà e le guerre
culturali all’interno dell’Occidente prima che fra l’Occidente e il resto del mondo.
Come tutti gli eventi solenni dei primi mesi della presidenza Obama, anche l’incontro con
Benedetto XVI sigla questo inizio di un tempo nuovo e questo scarto dal tempo precedente.
Rispetto alla presidenza Bush, il rapporto fra la Casa Bianca e il Vaticano si prospetta capovolto:
incassate le buone intenzioni sulla riduzione degli aborti, le distanze si allungano sulle questioni
bioetiche - ricerca sulle staminali, statuto dell’embrione etc - su cui massima era stata la vicinanza
fra i teocon di Bush e il Vaticano: la lettura della Dignitas personae, il decalogo dei «no» bioetici
che Ratzinger infila fra gli altri doni all’ospite, non basterà a far cambiare idea a Obama sulla
ricerca scientifica né sulla procreazione assistita.
E si accorciano invece, le distanze, su tutto
quell’arco di questioni economiche e politiche su cui massimo era stato lo scontro fra il Vaticano e
l’amministrazione americana precedente: rapporti fra mercato e politica, aiuto ai paesi poveri,
questione africana, Medioriente, dialogo interculturale e interreligioso, migrazioni, disarmo
nucleare. Anche qui, l’incontro di ieri segna un punto al di là delle intese sui singoli punti, e questa
volta il merito va anche Benedetto XVI e alla sua enciclica, emessa con perfetto tempismo alla
vigilia del G8 per dichiarare chiusa anche da parte vaticana l’era della religione del mercato, della
fine della politica, della speculazione finanziaria, della crescita del primo mondo a spese dei
dimenticati della terra.
Il presidente americano trarrà dall’incontro col Papa i suoi vantaggi in politica interna: i rapporti
con la comunità dei cattolici ne usciranno rafforzati, gli attacchi dell’episcopato tradizionalista
depotenziati. Ma la posta in gioco non era solo questa. Per il primo presidente afroamericano degli
Usa, per il leader globale di pelle meticcia che al Cairo ha parlato al mondo islamico citando le
scritture dei tre monoteismi, si trattava di confrontarsi con la massima autorità religiosa del mondo
giocando l’autorità di una politica laica che non si nutre di crociate fra fedi diverse. Un messia nero
può essere carismatico quanto un papa bianco.

Ida Dominijanni      il manifesto 11 luglio 2009