Il paese degli uomini veri
Siamo nel paese degli «uomini veri», definizione rimbalzata dal truce giustiziere del Pigneto, quello con il Che tatuato sul braccio, al presidente del consiglio, quello che ricusa il giudice e intanto si fa una leggina ad hoc per sfuggirgli di mano. La cultura del machismo italico è stata declinata nel termine di «greasy wops», ovvero «viscidi guappi», da un politico gallese costretto poi alle dimissioni. Il riferimento era agli europei di calcio, alla nazionale che dovrà «mostrare gli attributi» secondo il coach.
Non l’abilità del passo o l’intelligenza del gioco, ma, tra
gli applausi, l’appartenenza al genere che ha più di una palla da giocare.
Uomini veri. Una cultura che pervade l’Italia e passa come vincente, che crea
consenso di massa in nome della «tolleranza zero» contro immigrati, zingari e
mendicanti.
Bene all’uso dell’esercito per le strade, bene alla vacanza passata in caserma,
come suggerisce il ministro della difesa ai giovani perché imparino l’arte del
sorpasso, sulle autostrade e nella scalata sociale del «fai da te». Bene all’uso
privato delle armi, alle ronde territoriali, al reato di clandestinità e a
quello dell’intralcio pubblico di corpi elemosinanti mentre c’è da fare lo
shopping in santa pace.
Non solo i politici né solo la destra si beano di questa «linea della fermezza».
Il famoso «dialogo» tra maggioranza e opposizione è incardinato sulla
condivisione della «governabilità» che spazza
via decenni di conquiste civili ed è pronto a sacrificare principi
costituzionali ed etici. La politica muscolare tracima dal Palazzo e si fa
esempio per tutti. La maggioranza degli italiani, dicono sondaggi ed elezioni
(siciliane), approvano, chiedono che i militari siano dislocati nei centri
storici ma meglio alle frontiere, suggeriscono che invece di carcerare per 18
mesi i sopravvissuti dei naufragi (bambini compresi) a spese dello stato sarebbe
meglio ributtarli amare, umanamente
su imbarcazioni della marina militare.
L’Italia ha scoperto dentro di sé la vocazione alla ferocia, giustificata
dall’«allarme sociale» e dal problema «sicurezza», sostenuti dalla politica di
ogni colore in risposta all’anti-politica della folla.
Per cui non va contrastata la pulsione al linciaggio, ma anticipata con la forza
pubblica che slitta sempre di più nell’illegalità.
Perché dunque stupirsi, come fanno alcuni supporter di Veltroni, dell’improvviso
cambio di profilo di Berlusconi da «statista» a falsario, da candidato al
Quirinale a golpista dell’ordine giudiziario. Perché non si sono scandalizzati
prima? Non hanno urlato contro l’aggressione per legge contro i più deboli? La
logica del Cavaliere non fa una grinza: prima i processi contro i «clandestini»,
poi
quello contro di me. Il «vero volto del Cavaliere» è sempre stato visibile,
elogiato per la sua intima sintonia con il popolo, al quale poco importa se
Berlusconi ha fatto fortuna con i fondi neri televisivi, giù le mani da
Retequattro.
Nessuno seguirà l’indignazione del Pd contro l’ennesima legge ad personam
di Berlusconi per l’affare Mills, anche questo è un gesto atletico da «uomini
veri», quelli che non guardano in faccia nessuno, neppure i giudici. Il guasto
dell’Italia è più profondo, e la responsabilità è diffusa, complice
un’opposizione che continua a coccolare l’avversario, anche se non lo ama più
come una volta, afona di fronte alla disintegrazione della sensibilità
collettiva, «moderna» nell’essere la più decrepita forma di pensiero politico e
culturale dell’occidente. E questo mentre l’America ha preferito il candidato
più «femminile» tra i due sfidanti alla presidenza, questo mentre vanno in crisi
imister universo della finanza e il sistema di saccheggio delle risorse. Il
nucleare è il nostro obiettivo, simbolicamente fallico di fronte all’aereo
volteggiare dell’energia eolica. C’è pure passata la voglia ieri di gridare
Forza Italia.
Mariuccia Ciotta Il manifesto 18/06/08