Padre Pio, perdona la manicure
Non me ne voglia Padre Pio e anzi, all'occasione, mi tenga una mano sulla testa. Ma la
riesumazione e ostensione delle sue spoglie nel quarantesimo anniversario della morte suscitano più
di una perplessità. Non ho nulla da eccepire sul culto dei santi che, prescindendo da miracolistici
abusi, ritengo un punto di forza della Chiesa cattolica (e di quella ortodossa). Rendere merito a chi
si è mostrato integro nella fede, prenderlo come modello e invocarne la protezione, incardina il
sentimento religioso nel vissuto quotidiano dei credenti, e insieme lo trascende nel concetto
sovratemporale della «comunione dei santi». E fin dalle origini il cristianesimo ha edificato le sue
chiese sulle spoglie dei testimoni più alti del Vangelo.
Ma che senso ha frugare tra i loro resti, scrutare dentro lo sfacelo delle membra che hanno perso il
bene prezioso della vita e non hanno ancora assunto il corpo luminoso promesso dalla resurrezione?
È passato per fortuna il tempo in cui se ne traevano reliquie, diventate oggetto di superstizione e
moltiplicate fraudolentemente per farne commercio. E sembrerebbe insensato desumere dal loro
stato di conservazione, non dalla memoria delle loro opere, un sigillo di santità. Un atteggiamento
di cui sembra farsi eco il vescovo di Manfredonia, quando illustra i dati offerti dalla macabra
ricognizione: l'assenza di fetore e, fatti salvi il mento e la barba nel volto decomposto, le mani che
sembravano appena «trattate da una manicure». Da far rivoltare nel sepolcro il santo cappuccino,
dare fiato alla sua proverbiale ruvidezza.
La devozione popolare che porta a San Giovanni Rotondo milioni di fedeli, come ogni altro analogo
pellegrinaggio merita rispetto perché attesta un autentico bisogno del sacro, la speranza di un
superiore conforto. Non vanificati dalle derive feticistiche che portano ad anteporre il santo di turno
allo stesso Gesù. E neppure dall'imbarazzante traffico di fronzoli e immaginette che ramifica
intorno ai santuari. Ma ci si aspetta che le autorità religiose non indulgano all'inquinamento, e tanto
meno lo incoraggino. Non devono cedere al facile apprezzamento del numero e dello spettacolo. Il
«depositum fidei» esige sempre parole di verità, più importanti - absit iniuria - delle unghie o della
barba di Padre Pio.
Lorenzo Mondo La Stampa 27 aprile 2008