ONU e IRAQ: una storia vergognosa

 

 La Ricolonizzazione dell’Iraq

I politici si sono nascosti dietro il paravento del Consiglio di sicurezza per rendere pos­sibile, nel 2003, una guerra illegale. Molti oggi nutrono dei seri dubbi sul fatto che i go­vernanti americani e britannici abbiano pro­vocato con la forza delle armi la caduta del regime iracheno facendo credere al mondo intero che si stava applicando il diritto inter­nazionale per risolvere pacificamente il con­flitto e proteggere il popolo di quel Paese. Inoltre, allorché la guerra ha avuto termine, l’opinione pubblica mondiale si è messa con­tro coloro che l’avevano voluta e non aveva­no elaborato nessuna strategia per la pace.

Il loro obiettivo è stato principalmente quello di stringere l’Iraq in una morsa e poi giustificare l’occupazione del Paese creando confusione e ricorrendo all’inganno. Nume­rosi funzionari iracheni sono stati licenziati senza la più piccola prova di colpevolezza. solamente perché appartenevano al partito Baath. Poi sono state promulgate, per decre­to, le leggi dell’Autorità provvisoria (Cpa): esse avevano per scopo quello di ricolonizza­re economicamente il Paese e di creare una sua dipendenza, così come è accaduto, ad esempio, nel settore agricolo dal quale sono state eliminate le sementi irachene per lascia­re il posto agli Ogm importati dagli Usa.

In che modo il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha reagito a tali violazioni del diritto internazionale? Per più di dieci anni, esso ha approvato tutto ciò che facevano due dei sei membri permanenti (Usa e la Gran Breta­gna), ogni loro scelta politica finalizzata pri­ma a isolare l’Iraq e quindi a cambiarne il re­gime interno. I dibattiti che si sono succeduti, poi, hanno mostrato che i vari membri del Consiglio avevano piena coscienza della crisi umanitaria in atto in quel Paese, ma nello stesso tempo mancava loro la volontà di prendere le misure necessarie per porre rime­dio a tale drammatica situazione.

Tutti i membri del Consiglio sapevano che il legame tra il disarmo dell’Iraq e le sanzioni economiche prese contro quel Paese, signifi­cava semplicemente che la popolazione do­veva pagare un prezzo elevato per la politica dei suoi governanti in termini di sopravviven­za e di qualità della vita. Bisogna sapere che le restrizioni imposte dal Consiglio di sicu­rezza deliberando il programma “petrolio per cibo”, avrebbero portato un serio pregiudizio alle possibilità di sopravvivenza di moltissi­mi iracheni. Essi sapevano che il rifiuto del Consiglio di autorizzare il versamento del de­naro ricevuto alla Banca centrale irachena che serviva al finanziamento della formazione del personale, delle infrastrutture tecniche e dell’istruzione, avrebbe costretto i gover­nanti iracheni a procurarsi del denaro in mo­do illegale. Così come sapevano che l’istitu­zione di due zone interdette al volo aereo al­l’interno del Paese, non sarebbe servito - co­me invece sostenevano - a proteggere i grup­pi etnici e religiosi dagli interventi repressivi del governo, ma bensì a destabilizzare sem­plicemente l’Iraq. Infatti i governanti ameri­cani e britannici, dopo l’operazione del di­cembre ’98, utilizzarono lo spazio aereo co­me luogo di esercitazione per i loro bombar­dieri e i loro aerei da combattimento, I sei membri del Consiglio di sicurezza quindi sa­pevano che le popolazioni civili venivano massacrate, ma non discussero mai sulla le­galità delle zone interdette al volo, quando ciò avrebbe potuto mettere in causa le azioni unilaterali di due membri che avevano impo­sto tale scelta senza alcun mandato dell’Onu.

 

Coscienza morale e Obbedienza passiva

Il segretariato delle Nazioni Unite si è in­chinato davanti agli Usa e alla Gran Bretagna quando avevano deciso di imporre un regime di sanzioni economiche che avrebbe portato a una vera e propria tragedia umanitaria. Così come lo stesso segretariato non dirà mai nulla quando Washington e Londra romperanno con la comunità internazionale per iniziare l’invasione illegale dell’Iraq. Quando poi i principi fondamentali delle Nazioni Unite di­venteranno oggetto di un acceso dibattito, Ko­fi Annan non reagirà per niente. Poco prima, Henri Blix, primo ispettore dell’Onu in Iraq, stava stendendo un rapporto sui progressi ot­tenuti dall’indagine sulla presenza o meno delle armi di distruzioni di massa irachene, e aveva domandato una dilazione del suo man­dato per terminare il suo lavoro, Il segretaria­to dell’Onu avrebbe potuto cogliere questa occasione per criticare i progetti di guerra americani e britannici, ma preferì astenersi dal farlo, tanto che nel marzo del 2003 ritirò dall’Iraq i suoi ispettori. Le gravi violazioni del diritto internazionale da parte dei membri del Consiglio di sicurezza e il disprezzo ostentato rispetto a una istituzione internazionale che prima di tutto era stata creata per im­pedire le guerre, rappresentava una sfida per tutti coloro che credevano nell’Onu: quella di mostrare pubblicamente che la cosa più im­portante era quella di avere una coscienza morale piuttosto che obbedire passivamente.

Dopo l’invasione illegale dell’Iraq, nel Consiglio di sicurezza sarebbe stato utile aprire un serio dibattito sul disprezzo dimo­strato dalle forze occupanti delle convenzio­ni militari create perché gli eserciti rispettas­sero le convenzioni dell’Aia e di Ginevra.

Ma la gestione del conflitto iracheno da parte del Consiglio entrerà nei libri di storia come un enorme scacco subito dalla comuni­tà internazionale. Gli storici dovrebbero con­centrare la propria attenzione sul fatto che in tutto il mondo, la voce del più alto organismo delle Nazioni Unite è stata sostenuta da quel­la dei popoli. Questa voce non ha infatti mai smesso di denunciare i governi statunitense e britannico per il loro brutale comportamento nei riguardi dell’Iraq, prima, durante e dopo la loro guerra illegale.

 

Problemi non risolti

Ciò che è successo ci ha messo di fronte a due questioni molto importanti: l’Iraq e la riforma dell’Onu. Lo stesso processo a Sad­dam Hussein fa parte di questi problemi. Egli deve indubbiamente pagare per i crimini commessi a danno del suo popolo. Ma lo stesso principio dovrebbe essere altrettanto valido per i crimini contro l’umanità com­messi da coloro che, disprezzando la soffe­renza umana che hanno causato, hanno im­posto le sanzioni economiche all’Iraq, han­no condotto una guerra segreta nelle zone del Paese interdette al volo aereo ed hanno maltrattato, mutilato, torturato, ucciso degli iracheni. Oltre a Saddam, quindi, altre per­sone dovrebbero comparire sul banco degli imputati.

Detto ciò, è possibile affermare che la si­tuazione di questo Paese rimane un problema non risolto sia per il movimento pacifista in­ternazionale sia per i cittadini e cittadine co­scienti delle loro responsabilità.

Ci sono alcuni problemi che vanno da lo­ro prioritariamente assunti: in primo luogo quello che riguarda le Nazioni Unite. Sono naufragate nel momento in cui sono state in­capaci di impedire le sanzioni economiche, una guerra illegale e le distruzioni causate dall’occupazione militare. Ciò vuol dire che il movimento della pace deve fare in modo che si accertino da subito tutte le responsabi­lità di ciò che è accaduto. Bisogna dire chia­ramente che tutto ciò che è stato fatto in nome della libertà, della democrazia e dei diritti dell’uomo non è altro che una caricatura di ciò che sono realmente la libertà, la democra­zia e i diritti umani. A medio termine, sempre il movimento della pace dovrà spingere per­ché si apra a ogni livello un reale dibattito sulla riforma dell’Onu al fine di contribuire a creare una istituzione internazionale immune da ogni abuso di potere. In secondo luogo, questo movimento internazionale non può più solo reagire alle sanzioni economiche in­giustificate o alle guerre illegali. Esso do­vrebbe farsi una profonda autocritica doman­dandosi sul perché la sua azione ha fallito. Oggi siamo minacciati da molteplici pericoli politici e socioeconomici. A medio termine, il movimento dovrà abbandonare ogni di­scussione sui conflitti scoppiati a causa di ambizioni personali per concentrarsi piutto­sto su una reazione maggiormente organizza­ta in occasioni delle varie crisi internazionali, facendo crescere un impegno comune e una strategia coordinata.  

 

 

Le negligenze del Consiglio di sicurezza in Iraq

Il saccheggio e l’incendio del Museo nazionale e della Biblioteca nazionale, i danni causati ai siti archeologici, le umiliazioni a cui furono sot­toposti i civili da parte delle truppe angloamericane non hanno suscita­to nessuna protesta del Consiglio di sicurezza. L’arresto di noti personag­gi politici per un periodo illimitato, così come l’inimmaginabile crudeltà con cui sono stati trattati diversi prigionieri ad Abu Ghraib ed a Camp Bncca, non lo hanno inquietato per nulla. Gli intensi bombardamenti su villaggi come Fallouja, Talafar e Al Quim non hanno tolto il sonno ai membri del Consiglio né li hanno convinti della necessità di convocare una riunione straordinaria dell’organismo. Non hanno protestato quan­do Paul Bremer, amministratore del Cpa e altri funzionali dello stesso, presentavano al forum economico mondiale ad Amman e alla riunione dello Omc a Ginevra l’Iraq come un Paese libero e sovrano. Il Consiglio di sicurezza ha invece giocato un ruolo importante quando ha messo in piedi l’amministrazione provvisoria e nello stesso tempo organizzato le elezioni sotto diretta pressione degli Usa.

 

 

 

Hans Von Sponeck

Dal 1998 al 2000 coordinatore delle Nazioni Unite in Iraq del programma “petrolio per cibo”. Docente di demografia e antropologia, ha lavorato per più di trent’anni per l’Onu