Olocausto, il terribile silenzio di Dio
27 gennaio. Oggi è il ''Giorno internazionale della Memoria''. Serve a non dimenticare gli orrori di fascismo e nazismo. E a ricordare l'unicità della Shoah
 

In Germania: Bergen-Belsen, Buchenwald, Dachau. In Austria: Mauthausen. In Polonia: Treblinka, Plaszow, Auschwitz. In Italia: la Risiera di San Saba.
Ereditati dalla storia e dalla cinematografia, dalla filosofia e dalla letteratura e perfino dalla teologia – che dopo la loro realizzazione è arrivata al drammatico enigma: “Dove era Dio, se c’era, nei giorni dello sterminio nazista?” – i lager hanno fecondato di se la storia della intera civiltà umana dopo gli anni bui della Seconda guerra mondiale.
Tra negazionismo e riflessione critica, tra monito costante e desiderio di dimenticare, anche oggi viene celebrata la “giornata internazionale della Memoria”, riconosciuta e voluta dall’Onu come occasione per non concedere all’oblio quella drammatica pagina della storia del Novecento che comunemente viene definita “olocausto”.
Olocausto, però, è una parola che non convince gli ebrei. Troppo intimo il rapporto fra vittima e carnefice che essa sottende, troppo volontario l’atto con cui il credente si concede alla divinità crudele: olocausto è il sacrificio di Isacco da parte di Abramo, cioè la cosciente negazione dell’uomo di fronte al Dio carnefice che tutto chiede. Per questo, Shoah è la denominazione con cui gli ebrei sono soliti indicare il sacrificio a cui furono costretti i 6 milioni di figli di Sion da parte dei nazisti. “Catastrofe” e “distruzione” sono il suo significato, termini che pongono persecutori e perseguitati su un piano asimmetrico di non appartenenza, dove è cancellato ogni vincolo spirituale che lega i due soggetti e che caratterizza invece l’olocausto.
Cominciata ufficialmente e simbolicamente in Germania il 9 novembre 1938 con la distruzione notturna di sinagoghe e locali appartenenti a famiglie ebraiche, la celebre “notte dei cristalli” (Kristallnacht), la persecuzione nazista verso gli ebrei trova ragion d’essere negli anni precedenti. Fin dal 1933, il Fhurer non nasconde il proprio progetto di arianizzazione della Germania e poi dell’intera Europa conquistata dall’espansione di Berlino, che raggiunge il suo apice omicida con la costruzione dei campi di concentramento negli ultimi anni della guerra mondiale. E’ la “soluzione finale” della Judenfrage, la risposta al problema della presenza ebraica nel vecchio continente attraverso la liquidazione pianificata ed industriale della razza ebraica.
Sorgono così i lager e vengono fatti partire i treni, i ghetti d’Europa, soprattutto dell’Est – conquistata dal nazionalsocialismo per ottenere quello spazio vitale in cui far proliferare la Grande Germania – , cominciano a spopolarsi per rispondere al piano nazista. “La coscienza è una invenzione ebraica”, diceva Hitler quasi per esortare l’intero apparato burocratico della morte a proseguire energicamente il suo compito, abbandonando qualsiasi scrupolo morale e umano. Anche l’Italia si allinea a Berlino: il 1938 segna infatti l'accodarsi di Mussolini al piano di sterminio, attraverso l’ emanazione delle leggi razziali. Soltanto il 27 gennaio del 1945 l’Armata rossa dell'Unione Sovietica rompe i cancelli del più grande lager europeo: Auschwitz. E' la fine dell’incubo.
“Arbeit macht frei” ("Il lavoro fa liberi") è scritto beffardamente all’ingresso del campo di Auschwitz, a poca distanza da Birkenau dove i corpi attraversavano i camini diventando cenere nell’etere. Ma il delirio di una umanità esclusivamente ariana, inseguito nelle menti distorte dei tanti Martin Bormann o Rudolf Hess, dei vari Joseph Goebbles o Hermann Goering, non si è ripercosso soltanto sugli ebrei. Nei lager furono infatti deportati, perseguitati e uccisi tra i 200-800 mila Rom e Sinti, anche loro colpevoli di inquinare la purezza germanica e anche loro trasformati in una "Zigeunerfrage", cioè un problema etnico da risolvere. Insieme a loro e agli ebrei, un'altra umanità ha trovato la morte nello sterminio dei campi: 2-3 milioni di disabili psichici o fisici (il programma di T4), 100-250 mila Wikipedia (omosessuali), 18 mila Testimoni di Geova, 3,5-6 milioni di slavi, 1 milione e mezzo di prigionieri politici e 2,5-4 milioni di prigionieri di guerra. Ognuno sacrificato in nome della razza pura o dell’opposizione al piano nazista, e molti di loro ancora sconosciuti e senza nome, ricercati anche oggi dalle famiglie e dalla certosina attività di ricerca del Yad Veshem di Gerusalemme, il Museo ebraico dedicato alla Shoah e impegnato nella ricostruzione dell’elenco dei morti.
La filosofia del restante Novecento non è stata più la stessa dopo la scoperta dei lager, la cultura illuminista scioccata dai corpi ridotti a scheletro è stata infatti condotta davanti all’interrogativo ancora irrisolto: “Come è potuto accadere tutto questo?”.
La più saggia risposta, forse, è contenuta nelle pagine di Hanna Arendt e porta il semplice appellativo di “banalità del male”. Di fronte al boia nazista Adolf Eichmann, processato e impiccato a Gerusalemme negli anni Sessanta, il quale si difendeva dicendo “Ho soltanto eseguito degli ordini”, alla Arendt non rimaneva che concludere: Eichmann è in fondo ognuno di noi, il buon padre di famiglia e il buon vicino di casa, che però è stato ridotto ad “other directed” (diretto da altri) incapace di rispondere delle sue azioni e in completa sospensione della propria scelta morale. Insomma, un uomo assolutamente banale. Tra lo scandalo di gran parte della comunità ebraica, la filosofa amata da Heidegger consegnava il suo monito alla storia: proprio perché banale, l’olocausto è sempre in agguato, sotto ogni regime e sotto ogni bandiera.

Marzia Bonacci   AprileOnLine.Info n.89 del 27/01/2006