Obiezione di
coscienza contro la belva razzista
L’obiezione di coscienza non è mai una decisione che si possa assumere senza una
profonda
consapevolezza della posta in palio e senza la piena coscienza di essere
disposti ad assumerne tutti i
rischi e le conseguenze. Lo abbiamo considerato attentamente quando come
religiosi, religiose e
preti abbiamo deciso di firmare una dichiarazione di obiezione il giorno dopo la
promulgazione del
«Pacchetto Sicurezza».
L’obiezione in realtà è l’ultima spiaggia di fronte a una legge che si
scontra con la coscienza che,
per definizione teologica, è la voce di Dio in noi. La posta in palio in
questo caso non è di poco
conto perché i poveri sono immagine di Dio, in loro è incisa
indelebilmente una dignità che non può
essere in nessun caso ignorata, sfregiata, offesa. Il 17 ottobre con tante e
tanti, pur provenendo da
percorsi culturali differenti, continueremo ad affermare: Onoriamo i
poveri che è il titolo di
quell’appello. Perché per annunciare ai poveri la liberazione siamo
stati chiamati e mandati e per
noi nessuna persona può meritare il marchio infamante di clandestino e nessuna
gazzetta ufficiale
potrà mai cancellare il diritto di cittadinanza di ogni uomo e ogni donna in
seno all’umanità.
Nessuna legge potrà impedirci di continuare a soccorrere, accogliere,
ospitare, curare. Nessuna
intimazione potrà cucirci la bocca. «La nostra disobbedienza non riguarda
soltanto il nostro
comportamento individuale, - si legge nella dichiarazione di obiezione - ma
faremo quanto è in
nostro potere, perché un numero sempre crescente di cittadini metta in atto
pratiche di accoglienza,
di solidarietà e anche di disobbedienza pubblica, perché nel tempo più breve
possibile questa legge
venga radicalmente cambiata».
Il razzismo è una belva accovacciata alla porta della coscienza come alle
porte delle città. Basta
poco per risvegliarla e renderla famelica e sanguinaria. Una legge che
respinge, non distingue, non
tiene in alcun conto della sofferenza altrui e che si abbatte contro chi
appartiene ad altri popoli,
lancia l’urlo improvviso che sveglia la bestia. Anzi ne legittima e ne
incoraggia l’azione. Prima del
Pacchetto Sicurezza gli stranieri impoveriti dalle nostre politiche erano da
soccorrere e il razzismo
era clandestino. Oggi i poveri sono clandestini e il razzismo riceve onore di
cittadinanza. Estraneo
alla Costituzione e alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il razzismo
in tutte le sue forme
non può essere sostenuto e proposto nemmeno sotto le mentite spoglie di una
norma che invoca
maggiore sicurezza. In quel meraviglioso testo che è la «Lettera ai giudici» don
Lorenzo Milani
riferendosi ai suoi ragazzi afferma: «Essi dovranno tenere in tale onore le
leggi degli uomini da
osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando
invece vedranno che
non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno
battersi perché siano cambiate».
È ciò che solennemente promettiamo di fare
don Tonio Dell'Olio l'Unità 15 ottobre
2009
Una sofferenza in
più
L'affossamento della legge sull'omofobia la dice lunga sulla concezione dei
diritti civili e delle
libertà pubbliche della maggioranza. Proprio mentre le aggressioni contro i gay
si moltiplicano, il
rifiuto di inserire tra le aggravanti "fatti commessi per finalità inerenti
all'orientamento o alla
discriminazione sessuale della persona offesa" non può che rafforzare l'odio.
Incoraggia quanti credono che il semplice fatto di essere omosessuali
meriti una punizione. Una
buona notizia, scrive ironicamente Miriam Mafai, per tutti i "normali" che
percorrono le strade del
paese alla ricerca di vittime colpevoli di una presunta "diversità". Una
pessima notizia, ho voglia di
aggiungere - l'ironia è un'ottima arma per combattere le ingiustizie, ma arriva
un momento in cui
l'indignazione è tale che l'ironia non è più sufficiente - , per coloro che si
battono per il rispetto di
tutti gli esseri umani, indipendentemente dalle differenze di sesso,
nazionalità, etnia, religione e
orientamento sessuale. Perché siamo tutti uguali e degni di rispetto, nonostante
le differenze che ci
caratterizzano, che sono infinite, e che non potranno mai essere cancellate dal
conformismo e
dall'ipocrisia che regnano oggi in Italia.
Tanto più che gli argomenti utilizzati per rifiutare questa legge, nonostante
l'apparente sottigliezza,
sono estremamente confusi, per non dire fallaci. Invece di cercare di arginare
con serietà e rigore
l'odio e il fanatismo che circondano oggi gli omosessuali, ci si nasconde dietro
i sofismi e si
manipola l'opinione pubblica. «E se un pedofilo che ha già scontato la sua pena
esce dal carcere e lo
pestano perché omosessuale anche lui beneficerà di questa legge?» dichiara in
aula l'onorevole
Santelli (Pdl). Non c'è bisogno di un'opposizione esplicita per affossare una
legge. Basta insinuare il
dubbio, mescolare le carte, associare tra loro concetti differenti e
contraddittori. Perché proteggere
dall'ira del popolo i delinquenti sessuali che minacciano le nostre città? Si
può veramente
condannare chi "pesta" un pedofilo o un omosessuale? Sembra che alcune persone
non facciano più
alcuna differenza tra l'omosessualità e la pedofilia.
Tutto ciò, paradossalmente, nel nome del rigore e
dell'uguaglianza di fronte alla legge.
«L'inserimento tra le circostanze aggravanti comuni previste dall'art. 61 del
codice penale della
circostanza di aver commesso il fatto per finalità inerenti all'orientamento
sessuale comprende
qualunque orientamento, ivi compreso incesto, pedofilia, zoofilia, sadismo,
necrofilia…» si legge
nel testo riassuntivo della seduta del 13 ottobre elaborato per rifiutare
l'esame della proposta di
legge. Testo che prosegue sottolineando non solo l'indeterminatezza concettuale
dell'espressione
«orientamento sessuale», ma anche il fatto che non si possa in alcun caso
comparare le
discriminazioni per orientamento sessuale alle discriminazioni legate alle
differenze razziali o
religiose. Nel secondo caso, infatti, conclude il testo, «si fa sempre
riferimento a circostanze
oggettive circa le condizioni della persona offesa». Ma di cosa si sta parlando
esattamente? Nel
nome di quale chiarezza si osa assimilare l'omosessualità, la pedofilia, la
zoofilia e la necrofilia? Per
quale misterioso motivo la scelta religiosa - e non l'orientamento sessuale -
dovrebbe rinviare
immediatamente a una circostanza oggettiva?
Albert Camus diceva che, a partire dal momento in cui si utilizzano male le
parole, si introduce nel mondo una sofferenza supplementare.
È quello che sta accadendo in questo momento in Italia. E
non solo in Italia, purtroppo. Perché le recenti polemiche suscitate in Francia
dalle dichiarazioni di
Marine Le Pen, leader del Front National, contro il ministro della
Cultura Frédéric Mitterand vanno
nella stessa direzione. Deformando alcune frasi dell'ultimo romanzo di
Mitterrand, Mauvaise vie,
Marine Le Pen ha accusato il ministro di fare l'elogio del turismo sessuale e
della pedofilia,
costringendolo a difendersi su Tf1, al telegiornale serale, di fronte al popolo
francese. «Condanno
fermamente il turismo sessuale che è una vergogna», dichiara allora il ministro.
«Condanno
fermamente la pedofilia che non ho mai praticato». In che mondo viviamo?
Perché doversi ancora
giustificare per la propria omosessualità? Com'è possibile che all'inizio del
Ventunesimo secolo ci
sono ancora persone che (per ignoranza o per malafede) confondono omosessualità,
turismo
sessuale e pedofilia? In Francia, le reazioni della gente sono state
immediate. Le parole di Frédéric
Mitterrand hanno messo a tacere le polemiche, isolando poco a poco tutti coloro
che, partendo per
una crociata in difesa del Bene, non esitano a umiliare, a ghettizzare e a
stigmatizzare i "differenti".
Quando arriverà il momento in cui, anche in Italia, si smetterà di tollerare
ipocritamente il male
fatto e subito in nome del Bene? L'ostilità di alcuni italiani verso gli
omosessuali è profonda.
L'ignoranza non basta per spiegare quello che accade. L'omosessualità suscita
disapprovazione e
avversione. Che sia nel nome della natura, della morale, della religione o del
diritto, in fondo, poco
importa. Perché in ogni caso ciò che si vuole ribadire è sempre la stessa cosa:
l'ordine e la
separazione. Un ordine simbolico, spiegano in molti, che si appoggia da
sempre su una serie di
dicotomie radicali: la differenza ontologica tra l'anima e il corpo, l'uomo e la
donna, l'eterosessualità
e l'omosessualità, la natura e la cultura, la normalità e l'anormalità. Queste
dicotomie hanno
permesso per secoli al pensiero di strutturarsi in modo dicotomico, e di
legittimare l'instaurazione di
una gerarchia di valori immutabili e eterni cui tutti dovrebbero conformarsi. Ma
come sapere ancora
cosa è bene e cosa è male quando nel nome del bene alcune persone non esitano a
strumentalizzare
la "differenza" e a trasformare in capri espiatori tutti coloro che non
corrispondono alla "norma" o
alla "normalità"? Come si può semplicemente insinuare che un uomo che ama un
altro uomo o una
donna che ama un'altra donna siano colpevoli di un amore contro natura? Come si
può anche solo
sollevare il dubbio che non siano poi così differenti da coloro che,
approfittando della fragilità delle
persone più giovani, violano l'integrità fisica e psichica dei minori?
Michela Marzano la Repubblica 15
ottobre 2009