Il nuovo pudore che
la politica non sa capire
Il caldo si sa, dà un po’ alla testa, ma non può essere solo il caldo la causa
dell’ondata di denunce,
insulti e aggressioni rivolte a persone che, a detta dei denuncianti,
«offendono» il pudore e la
sensibilità della gente. Ma chi sono questi svergognati e quali sono i
vituperati atti osceni oggetto
del contendere? Sono coppie dello stesso sesso che si tengono per mano e che si
scambiano un
bacio in pubblico.
E che per questo vengono denigrate, umiliate e in alcuni casi picchiate (come
pochi giorni fa a
Pesaro). Sono donne che prendono il sole in topless, come nel caso di una
giovane denunciata sulla
spiaggia di Anzio perché «turbava» i figli della vicina di ombrellone. Sono
docenti di educazione
sessuale denunciati perché spiegano il sesso a ragazzi già adolescenti chiamando
le cose col proprio
nome anziché ricorrere alla metafore delle api, come è successo qualche mese fa
a Treviso. Sono
persino mamme che allattano i propri figli in pubblico. Potrebbero sembrare casi
sporadici e come
tali ignorati senza troppi allarmismi.
Ma è un fenomeno in corso già da alcuni anni su cui varrebbe
la pena riflettere. Anche l’estate
scorsa sono state numerose le aggressioni ai gay che camminavano per mano,
considerati
«vergognosi» e oltraggiosi, così come si sono avuti episodi di mamme alle quali
è stato impedito di
allattare in pubblico, come una mamma allontanata da un ristorante di Madonna di
Campiglio, o
un’altra redarguita dal proprietario di uno stabilimento balneare della riviera
romagnola perché
avrebbe dovuto allattare chiusa in cabina. Questi comportamenti non possono
essere attribuiti alla
tradizione cattolica o a qualche fattore culturale immutato e immutabile del
nostro Paese, perché
venti anni fa di donne in topless al mare se ne vedevano a decine, e a
nessuno veniva in mente di
gridare allo scandalo e chiamare la polizia. Magari qualcuno poteva storcere il
naso e pensare «non
ci sono più i bravi giovani di una volta», ma c’era la consapevolezza di una
società che cambiava, di
nuove regole di convivenza civile alle quali occorreva adeguarsi.
E soprattutto cominciava a farsi strada, allora, un
concetto di libertà e di diritti civili e individuali che oggi a quanto pare sta
diventando sempre più condizionato, limitato non tanto dal rispetto della legge,
come dovrebbe
essere, ma dalle sensibilità personali. Il limite della libertà di un individuo
oggi non sembra essere
più il rispetto della legge e della libertà degli altri, ma della loro
sensibilità, del loro concetto di
buono e cattivo, di ciò che a loro piace o dà fastidio. E questa è una deriva
molto insidiosa.
Ma come siamo arrivati a questa sensibilità pubblica così esasperata, che
finisce talvolta per
sfociare in atti di intolleranza e aggressività? Siamo arrivati fin qui
non perché la gente sia diventata
all’improvviso più cattiva o più bigotta, ma perché è stata lasciata sempre più
sola ad affrontare
cambiamenti sociali importanti, condizioni di convivenza mutevoli, bisogni e
valori emergenti.
Siamo arrivati fin qui perché la politica ha perso lungimiranza e coraggio ed è
sempre più latitante
sui temi che riguardano la crescita e l’evoluzione della nostra società, che
riguardano la vita, i
sentimenti, le idee, e i valori dei cittadini.
Riesce magari a varare una manovra o a introdurre od eliminare
una nuova tassa, ma si dimentica che la crescita di un Paese non è fatta
solo di manovre correttive, tassi di interesse e conti pubblici.
La crescita di un Paese è anche e soprattutto una crescita culturale e
sociale. Trent’anni fa la politica
aveva saputo, assai più di oggi, occuparsi dei temi legati ai grandi cambiamenti
sociali allora in atto:
il divorzio, l’aborto, il ruolo delle donne nella società e la parità di
diritti. I partiti non si tiravano
indietro di fronte alle grandi battaglie civili, e si prendevano la briga
innanzitutto di informare e
formare opinione, di impegnarsi in un’attività divulgativa che bene o male
aiutava i cittadini a
capire i cambiamenti in atto e orientarsi. E poi si preoccupavano di agire e
legiferare avendo a
riferimento un’idea della società che pensavano di costruire nel lungo periodo.
Oggi la politica
sembra invece aver abdicato a questo ruolo. Le grandi questioni sociali e
civili che hanno scosso le
nostre comunità negli ultimi anni sono diventate «temi sensibili», rischiosi,
difficili, e i politici
hanno preferito evitarli oppure assecondare e cavalcare le paure e i dubbi ad
essi collegati per
cercare consenso facile, anziché aprire dibattiti seri ed informati.
Un atteggiamento miope e opportunista che ha saputo solo
acuire disagi e attriti, facendoci trovare
oggi di fronte ad un Paese paralizzato su questioni di grande rilevanza come
quella del testamento
biologico, dell’omofobia, o del ruolo e del rispetto delle donne, che continuano
ancora oggi a subire
violenze inaudite - come ci dimostra la cronaca, che quasi ogni giorno ci offre
storie di mogli ed ex
fidanzate perseguitate, picchiate e uccise. In questo vuoto politico ogni
malumore, ogni
frustrazione, ogni paura rischia di prendere la strada della chiusura,
dell’intolleranza, della
diffidenza, della protezione fai da te.
L’atteggiamento della politica verso tali questioni è tanto
più miope se si pensa che certi temi
comunque ritornano. E ritorneranno, infatti, quest’autunno, con il voto alla
Camera della legge sul
biotestamento e, probabilmente, con un nuovo voto sulla legge contro l’omofobia.
Qualcuno si sta
già chiedendo se questi voti spaccheranno la maggioranza e se e come
contribuiranno a definire
nuove geografie politiche. Speriamo però che, almeno questa volta, la politica
sappia prendersi le
proprie responsabilità e cogliere l’occasione per avviare un dibattito serio,
informato, lungimirante e
non demagogico su questi temi, che pensi al futuro della nostra società e
non solo a contare voti e
disegnare alleanze di carta.
Irene Tagli La Stampa 12 agosto 2010