Il nuovo paradigma: la guerra infinita

 

Il sociologo francese Alain Touraine  che ama molto il Brasile e ha adottato l’America Latina come patria del cuore sostiene in un suo recente libro “Un nuovo paradigma: per capire il mondo di oggi” (Vozes 2006) una tesi intrigante che ci permette di intendere, in qualche modo, la violenza, in realtà, la guerra terrorista che sta a avvenendo tra palestinesi israeliani nel Libano. La tesi che propone è che dopo la caduta del muro di Berlino e dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 è cominciata rapidamente la disintegrazione delle società, dominate dalla paura e impotenti davanti al terrorismo. Staremmo assistendo al passaggio dalla logica della società verso una logica della guerra.

 La potenza egemone, gli Usa, ha deciso di risolvere i problemi non più per via diplomatica e con il dialogo, ma per mezzo d’interventi e attraverso la guerra, portata, se necessario, in qualsiasi parte del mondo. Questa strategia possiede una sua logica. Si iscrive dentro l’attuale dinamica di della globalizzazione economico-finanziaria. Questa non vuol sapere di nessun controllo o regolamentazione sociale e politica. Esige campo aperto per fare la guerra dei mercati. Ha separato totalmente l’economia dalla società,  vede gli stati-nazione come ostacolo, cerca di ridurre lo Stato, di diffamare la classe politica e mettere sotto i piedi gli organismi di rappresentanza mondiale come l’ONU.

 Questa dissoluzione delle frontiere ha portato con sé la frammentazione di quello che costituisce la società. Peggio ancora. Ha annullato il valore della base politica e etica per il sogno di una comunità mondiale, tanto cara ai terzomondisti, tale che si prendesse cura degli interessi collettivi dell’umanità come un tutto, e che avesse un minimo di potere centrale per intervenire nei conflitti e dinamizzare i meccanismi della convivenza, della pace e della preservazione della vita.

 Questa desocializzazione è conseguenza della globalizzazione economico-finanziaria che incarna il capitalismo più estremo con la cultura che lo accompagna. Questa implica la segmentazione della società, con la perdita della visione del tutto, l’esacerbazione della competitività a detrimento della cooperazione necessaria, l’impero delle grandi società private con scarsissimo senso di responsabilità socioambientale e l’esaltazione dell’individuo estraneo al bene comune.

 Il mondo sta in franca retrocessione. L’attuale società non si spiega più, come voleva la sociologia classica, attraverso fattori sociali, ma attraverso forze  impersonali e non sociali come la paura collettiva, il fondamentalismo, il terrorismo, la balcanizzazione  di vaste regioni della terra e le guerre sempre più terroristiche, dato che le vittime appartengono alla popolazione civile.

 Questo scenario mondiale drammatico spiega perché nessuna istanza politica mondiale possiede capacità riconosciuta e forza morale sufficiente per porre fine al conflitto israelo-palestinese, che sta trasformando il Libano in una rovina. Assistiamo impotenti alla tribolazione della desolazione di infinite vittime innocenti, di migliaia di rifugiati e dell’irrazionale distruzione di tutte le infrastrutture di un paese che ha appena finito di ricostruirsi dalla guerra precedente.  Questo è terrorismo.

 Se, impotenti, non sappiamo che fare, procuriamo almeno di capire la logica di questa violenza. Essa è frutto di un tipo di mondo, che nelle ultime decadi abbiamo deciso noi di costruire, basato sul puro sfruttamento delle risorse della terra, nella produzione e nel consumo illimitati, nella mancanza di dialogo, mancanza di tolleranza e rispetto per le differenze. Un mondo così ci può portare soltanto alla desocializzazione e alla guerra senza fine.

  

Leonardo Boff  teologo brasiliano,        ADITAL, 27 luglio 2006.