"QUESTA CHIESA TRA PAURA E PROFEZIA".
LA MEMORIA RIMOSSA DI PADRE MICHELE PELLEGRINO
20 anni dalla
morte (1986), 35 dalla pubblicazione della lettera pastorale "Camminare insieme"
(1971) e 25 dall'intervista a Il Regno intitolata "Questa chiesa fra
paura e profezia" (1981). Sono questi i "punti luce" che ancora
splendono della testimonianza di padre Michele Pellegrino, cardinale e
arcivescovo di Torino negli anni felici del rinnovamento conciliare.
Anniversari passati, per ora, sotto totale silenzio da parte del mondo
ecclesiale. Contro il tentativo di rimozione di una delle voci più profetiche
della Chiesa contemporanea, Adista ha deciso di ripubblicare i passaggi più
dirompenti dell'intervista, i cui temi hanno acceso un serio dibattito
ecclesiale, spentosi via via che i settori conservatori della gerarchia
ecclesiastica attuavano il lento spegnimento del Concilio.
Pellegrino si era dimesso da arcivescovo di Torino nel novembre 1976, un po'
prima di aver raggiunto il limite canonico dei 75 anni, adducendo ragioni di
salute, cui si accompagnavano però pressioni e critiche da parte dei settori più
conservatori della Curia.
Del resto, Pellegrino fu un vescovo del tutto atipico nel panorama
ecclesiastico: era stato fatto arcivescovo di Torino, nel 1965, e poi cardinale,
due anni dopo, da papa Paolo VI: la sua fu una nomina improvvisa, sorprendente
perché lontanissima - questa sì - dalle logiche del carrierismo ecclesiastico
oggi deprecate da Ratzinger. Pellegrino era infatti uno studioso - docente di
letteratura cristiana all'Università di Torino – totalmente avulso dal mondo
ecclesiastico e dalla sua nomenklatura. Una distanza sottolineata anche dal
fatto che, durante tutto il suo servizio alla Chiesa di Torino, aveva sempre
rifiutato di farsi chiamare "eminenza", preferendo l'appellativo di "padre".
L'intervista concessa al Regno si colloca in un momento cruciale della vita
della Chiesa post-conciliare, tra la morte di papa Paolo VI, un papa che
Pellegrino aveva molto ammirato (ma di cui aveva anche denunciato certi aspetti
involutivi rispetto alle grandi prospettive seguite alla stagione immediatamente
successiva al Concilio), e i primi anni di pontificato di Karol Wojtyla che,
dopo aver suscitato in molti attese e speranze, si stava però caratterizzando in
senso autoritario, e, anche attraverso una forte personalismo ed un
rafforzamento del potere curiale, iniziava a lavorare per la sterilizzazione del
Concilio.
E infatti, nell'intervista, Pellegrino parlava apertamente di un "grave
immobilismo" della Chiesa, di una sua "involuzione" rispetto alla stagione
conciliare, criticava alcune nomine curiali che, sosteneva, "non sono state
fatte per garantire l'attuazione del Concilio", parlava di un "impasse" nel
dibattito teologico e della Chiesa la cui responsabilità stava anche nel poco
coraggio dei vescovi nei confronti dell'autorità vaticana ("Se ogni vescovo
prima di ritenere voce di Dio la voce delle congregazioni romane, ci riflettesse
e non cedesse... Ho puntato i piedi anch'io...").
Pellegrino si soffermava poi sulla necessità di riconoscere alle donne il
ministero ordinato ("Una volta riconosciuto che le donne sono capaci di
ministeri, non si vede perché si debba proibire loro di esercitarli"), e apriva
senza esitazione ai preti sposati: di fronte al dilemma di "mantenere ad ogni
costo la legge del celibato nel rigore attuale e quindi rinunciare alla piena
evangelizzazione o favorire l'evangelizzazione piena che richiede l'eucaristia e
modificare quindi la legge ecclesiastica", Pellegrino riteneva necessario
"scegliere questa seconda strada".
Assolutamente profetico il passaggio dell'intervista in cui Pellegrino
evidenziava i pericoli di una sovraesposizione mediatica del pontificato
wojtylano: "Mi è capitato di attraversare la piazza San Pietro. Tanta gente...
Ma ho visto gente come al luna park, atmosfera di sagra... Tutto questo
bisognerebbe evitarlo".
Addirittura, in anticipo sullo scandalo dello Ior e del Banco Ambrosiano, il
cardinale invocava maggiore trasparenza nelle finanze vaticane: "Si facciano dei
bilanci - chiedeva - e si pubblichino".
L'intervista provocò una sequela di proteste, di lettere anonime, di insulti, di
risentimenti nella gerarchia. Poco dopo averla rilasciata padre Pellegrino fu
colpito da ictus. Morì qualche anno dopo, nel 1986, ridotto al silenzio da una
lunga malattia e da una Chiesa sorda ai suoi richiami.
(…)
Dai tempi di papa Giovanni (l'ondata di primavera) e di Paolo VI (le grandi
scelte conciliari) il clima è mutato nella chiesa. C'è un qualche cosa di
strano, un miscuglio di slancio missionario e di ripiegamenti. Ma dove va questa
chiesa?
Parlo per impressione. Alcuni fatti, che risalgono agli ultimi anni di Paolo VI,
ma non per sua volontà, ci fanno pensare a un movimento di involuzione. Ci sono
certi passi indietro nell'applicazione della riforma liturgica ad esempio...
Proprio nei documenti ufficiali.
Si riferisce al documento sull'eucarestia di Giovanni Paolo II?
Ma già prima... C'è stato un documento pubblicato senza interpellare noi membri
della Congregazione del culto divino. E io ho protestato. Prenda ad esempio
quanto è stato detto a riguardo della materia dell'eucarestia: che il segno deve
avere la sua evidenza. Che cioè il pane deve apparire pane. Ed ora si ritorna
alla prescrizione che bisogna usare l'ostia del farmacista... Questo è un passo
indietro notevole. Anche certe preclusioni alle donne. Una volta riconosciuto
che le donne sono capaci di ministeri, non si vede perché si debba proibire loro
di esercitarli. Toccherà ai responsabili delle comunità agire con intelligenza e
prudenza...
D'accordo! L'involuzione c'è. Va bene che sono fuori gioco, ma me ne preoccupo.
Certi interventi del centralismo curiale dovrebbero attenuarsi se non
scomparire. C'è stato per la verità qualche fatto nuovo e interessante che non
va sottovalutato. Bisognerà vedere il seguito per capire la portata. Mi
riferisco alla riunione dei cardinali del novembre '79. È stato un fatto
indubbiamente nuovo: una specie di concistoro, che non si teneva da quattro
secoli. I cardinali sono stati informati su realtà prima tenute all'oscuro.
Sulla situazione finanziaria della Santa Sede ad esempio, sia pure in termini
alquanto generici. E su altre cose. Fatto molto importante: il papa è
intervenuto tre volte a parlare con noi. È intervenuto nella conversazione con
molta semplicità e c'è stato anche chi, dopo aver sentito il suo parere, ha
espresso un parere diverso su alcuni problemi. Non c'è stata da parte del papa
nessuna reazione. Si è parlato così... come tra colleghi. Potrebbe essere il
sintomo di ulteriori sviluppi.
Ma ci sono sintomi preoccupanti. Certi dicasteri romani sembrano aver rafforzato
il loro potere.
Sì, sì. Bisogna riconoscere che certe nomine recenti (non faccio nomi) hanno
sorpreso. E non sono state fatte per garantire l'attuazione del Concilio.
Come le pare che si viva la collegialità, cioè il rapporto papa-vescovi?
La collegialità non ha ancora trovato esecuzione e non è facile che trovi
esecuzione. Sì, sono stati fatti dei passi. I sinodi dei vescovi ad esempio, sia
pure con i loro limiti, hanno segnato dei punti a favore di una collaborazione
maggiore tra vescovi e papa senza essere atti propriamente di collegialità.
Senza dubbio. Ma le chiese locali trovano difficoltà a prendere coscienza della
dottrina conciliare e impegnarsi fino in fondo per attuarla.
E la conferenza episcopale italiana?
Non ha intervistato il cardinale Cè?
Mi dicono che non si pronuncia. Non vede come i nostri teologi sono
imbarazzati...
E pensare che bisogna riconoscere l'apporto dei teologi, riconoscere il loro
ruolo e lavorare insieme. C'è molto da fare. Temo che siamo in una impasse.
Alcuni lo dicono a tu per tu.
Manca il coraggio di parlare...
Sì, ma questo non da oggi.
Come spiega questa paura?
Mah... Forse una malintesa umiltà, un certo spirito di obbedienza... Forse...
Chi lo sa... Fatto sta che quella "parresia" a cui mi richiamo spesso, è molto
rara nella chiesa d'oggi. D'altra parte c'è chi ne abusa in modo tale da
preoccupare l'autorità. Ma non si rimedia fermandosi. La chiesa deve camminare.
E camminare secondo il concilio.
Il teologo Sartori parla di scisma nella chiesa, nato dalla contrapposizione tra
"ufficiale" e "reale". Insegnamento ufficiale, dottrina ufficiale da una parte,
presa di posizione, comportamenti reali dall'altra.
Scisma? Mi pare troppo. Però è una situazione di grave immobilismo e quindi di
mancata risposta ai segni dei tempi.
Segni dei tempi: ma chi ne parla ancora?
Nel '66, se ricordo bene, all'università Gregoriana ho fatto una conferenza su
questo tema.
Mi ponevo la domanda: che cosa sarebbe avvenuto se nel 1849 l'opera del Rosmini
"Le cinque piaghe della santa chiesa" anziché essere messa all'indice fosse
stata proposta come testo da studiare nei seminari... Si dice: i tempi non sono
maturi! Per me è una massima estremamente equivoca. I tempi sono gli uomini che
li fanno maturare. Porto due esempi: se nel '21 non ci fosse stata la volontà
ferrea, implacabile, di padre Gemelli, l'Università Cattolica forse sarebbe
ancora da fare. I tempi non erano maturi... dicevano allora. Se nel '59 non ci
fosse stato Giovanni XXIII il Concilio non si sarebbe fatto perché i tempi non
erano maturi. E così molte innovazioni, anche le più urgenti, vengono soffocate
da questa idea che i tempi non sono maturi.
Ci sono grossi problemi che attendono una risposta: il sacerdozio, la
sessualità, il posto della donna nella chiesa, l'ecumenismo...
Penso che dovremmo chiamare in causa la missione dei teologi. Non è la gerarchia
che deve affrontare i problemi da un punto di vista biblico, teologico... La
gerarchia deve potersi servire del lavoro di ricerca condotto dai teologi. Penso
che in Italia lavorino, ma si sentono trascurati. Ho presente un incontro con un
teologo di grande valore. Mi ha confidato la sua tristezza nel sentirsi così
isolato dal-l'episcopato. Mi ha fatto veramente pena.
Si ha quasi paura di suscitare problemi. Anzi il motto sembra essere: calmiamo
le acque!
Penso che si tratti di paura dipendente da poca fede. Cioè non si ha abbastanza
fede nello Spirito che guida la chiesa, che spinge anche a scelte audaci, a
rischi calcolati, sottolineo "calcolati". E allora si procede sotto il segno
della paura. O meglio non si procede affatto, per paura. Credo sia mancanza di
fede. Ma forse c'è anche un'altra ragione. I maggiori responsabili della
Chiesanon hanno abbastanza gli occhi aperti sul mondo. A cominciare dai
dicasteri romani. E forse anche certi vescovi. Vivono in un mondo artificiale,
circondati da pochi, senza avere il polso di ciò che pensa la gente. Non per
seguire la moda dei tempi. Tutt' altro. Ma per capire quali sono le esigenze
profonde. Credo che non sia tanto il prete ad essere oggi isolato (i preti sono
ormai inseriti nella vita di tutti i giorni), ma siano isolati i maggiori
responsabili. Forse anche perché soffocati da esigenze di organizzazione, di
amministrazione e allora viene a mancare il contatto con le persone, la realtà
quotidiana.
Lei è uno studioso dei Padri della chiesa. Può fare un paragone: chiese locali
dei primi tempi e Roma? Chiese locali di adesso e Roma?
Non si tratta di prendere quei tempi come normativi. Credo sia impensabile
ritornare all'idea di Sant'Agostino: basta che le chiese siano unite nel
battesimo e nell'eucarestia e poi ogni chiesa locale si comporta come crede. C'è
stata una evoluzione.
Però la chiesa locale di allora aveva molta più consapevolezza d'essere chiesa,
sempre in stretta comunione con Roma. Non dimentichiamo l'importanza che avevano
i concili particolari. Da una parte, queste chiese erano ben consapevoli della
loro responsabilità, dall'altra erano consapevoli di essere chiesa in comunione
di fede, di carità con la chiesa di Roma. Nel passato, la necessità di
consolidare il papato e di opporsi alle mire degli imperatori ha fatto sì che la
chiesa locale si sentisse sempre più diminuita nella sua responsabilità. E
questo soprattutto in Italia per la vicinanza con la Santa Sede. Sono fatti
storici che si spiegano. Bisogna riflettere sul passato e trarre conseguenze in
rapporto alla realtà di oggi.
Sembra a molti che questa chiesa di papa Wojtyla voglia imporsi come potenza.
Non mi pare. Possiamo rammaricarci - io l'ho fatto - che il papa sia anche
riconosciuto sovrano e che nei suoi viaggi gli si riservino accoglienze di capo
di Stato. Però nella sostanza si vede che è una chiesa che si pone a servizio
del-l'uomo. All'elemento folcloristico non do molta importanza. La chiesa è
disposta a servire in qualsiasi modo. Se c'è il plauso, va bene.
Vanno bene quindi le visite del papa alle varie chiese. Ma queste hanno chiesto
al papa di prendere in considerazione alcuni grossi problemi, come ad esempio
l'ammissione al sacerdozio di uomini sposati. L'hanno fatto la chiesa brasiliana
e la chiesa africana. Il papa ha risposto no.
Esprimo l'auspicio, faccio voti, chiedo al santo padre di venire incontro alle
necessità concrete delle varie chiese. Di fronte a questo dilemma: o mantenere
ad ogni costo la legge del celibato nel rigore attuale e quindi rinunciare alla
piena evangelizzazione o favorire l'evangelizzazione piena che richiede
l'eucaristia e modificare quindi la legge ecclesiastica. Credo che bisogna
scegliere questa seconda strada.
Lo chiede apertamente al papa?
Apertamente e senza paura.
Recentemente è uscito il documento sulla riduzione allo stato laicale dei preti.
Un disastro.
Invoco l'autore della "Dives in misericordia" di usare misericordia verso questi
confratelli. Penso a tanti che, se viene applicato con rigore questo documento,
diventeranno nemici della chiesa, mentre possono essere collaboratori efficaci e
validi. Sono cose che mi preoccupano... Vedo una mancanza di percezione dei
segni dei tempi. Ritengo che bisogna riconoscere in pieno il valore del celibato
evangelico, ma il modo di realizzare questo valore evangelico è cambiato nei
secoli. E può cambiare. Siamo in ritardo.
E i ministeri alle donne?
Non mi pronuncio sul ministero sacerdotale delle donne. Non sono teologo. Ma ho
fatte le mie dimostrazioni per l'esclusione delle donne dai ministeri istituiti
non ordinati. Il teologo liturgista Vagaggini mi assicura che, nei primi tempi
della chiesa, le diaconesse erano ordinate mediante l'impo-sizione delle mani.
Non capisco perché non si potrebbe fare questo anche adesso. E valorizzare la
donne nell'attività pastorale. Ma come siamo indietro... (…)
E l'ecumenismo?
Si cammina così adagio... Fedeltà e chiarezza. Certo... Non mettiamo veli sulle
differenze. Che ci sono. Ma discutiamo partendo da come siamo. Facciamolo con
stima e carità reciproca. E con la fede che è lo Spirito che ci muove. Ci sono
difficoltà con i valdesi, ma sono stati perseguitati fino a un secolo fa.
Per i quali c'era difficoltà a capire l'attuale pontificato.
Certo non mi meraviglio. Anche se va tenuto conto di questo entusiasmo spontaneo
della gente
Ma c'è chi dice che alla lunga questo far leva sull'en-tusiasmo può nuocere.
Ci sono indubbiamente certe manifestazioni che deludono. Ma siccome non mi hanno
mai persuaso, non sono deluso. Mi è capitato di attraversare la piazza San
Pietro. Tanta gente... Ma ho visto gente come al luna park, atmosfera di
sagra... Tutto questo bisognerebbe evitarlo. Io l'ho detto a chi di dovere.
Queste manifestazioni non sono bene organizzate. Hanno poca intelligenza quei
parroci, quegli insegnanti che conducono i ragazzi a sentire i discorsi del
papa. Così difficili... Questo va detto e criticato.
E l'orientamento del papa?
Ci sono motivi di preoccupazione. Eccome.
Ha avuto il coraggio di farli presente?
Sì, sì. Li ho già fatti presenti. Non posso dire di più. Li ho fatti presenti
anche a Paolo VI ed ora a Giovanni Paolo II. È mio dovere.
Lo dovrebbero fare anche altri, non le pare?
Certo. Bisogna parlare. Bisogna dire al papa come si vede la situazione. Con
onestà e chiarezza. Come vescovi siamo i collaboratori del papa, come cardinali
siamo il "senatus" della Santa Sede. È nostro compito. Non è un lusso. È un
dovere. Come ho sempre desiderato che mi si parlasse chiaro, così credo di dover
parlare chiaro al papa. Lo si aiuta.
Si ripropone l'immagine di una chiesa "ufficiale", trionfalistica, burocratica,
distante dalla vita e una chiesa di base, che, al limite, delle questioni
teologiche non sa che farsene...
Non dimentichi che oggi si prega, si prega, eccome... Si vive la comunione, si
opera per la giustizia. La chiesa è questa. Questa vita pulsante della chiesa di
base ignora questi problemi di cui noi parliamo. Meglio che li ignori. E vive
fedele al Vangelo. Questo fa sperare bene per il domani
È vero: si discute troppo di problemi che riguardano la vita interna della
Chiesa e si tralasciano i problemi del mondo.
Forse ci dimentichiamo che la chiesa è per il mondo, è per gli uomini. È
comunità di fede, di carità. Lei che incontra tanta gente, teologi, vescovi,
studiosi, dica che insistano nell'assumersi le loro responsabilità, che parlino
con franchezza: che non desistano, che non si perdano d'animo...
Ma lei lo sa che i teologi sono sorvegliati e che cardinali e vescovi hanno
paura?
È triste. È triste. Povera chiesa! Come siamo lontani dal sì, sì, no, no del
Vangelo. Nel mio prossimo libro parlo delle "veline" che arrivano sui tavoli dei
vescovi.
Ma cosa sono?
Viene imposto ai vescovi di non far parlare nelle loro diocesi certi teologi. Ma
perché non deve decidere il singolo vescovo? Per me è un'autentica ingerenza da
parte di Roma. Capisco che un vescovo non ritenga opportuno che un tal teologo
parli nella sua diocesi, ma che questo avvenga per imposizione dall'alto, questo
proprio no. Nella chiesa non c'è abbastanza rispetto della libertà. Capisco che
si abbia paura dei disordini, di danni alla chiesa, ma credo che questo timore
agisca in senso negativo e molto sproporzionato alla realtà. Non c'è libertà nel
parlare e nello scrivere. Se i vescovi si assumessero le loro responsabilità, la
curia romana andrebbe un po' più adagio. Prima di dirmi "in virtù di santa
obbedienza", discutiamo... Se ogni vescovo, prima di ritenere voce di Dio la
voce delle congregazioni romane, ci riflettesse e non cedesse... Ho puntato i
piedi anch'io...
E se ci fosse un sinodo permanente o qualcosa di più collegiale?
Non mi sono mai posto il problema di organizzazioni di questo genere. Certo
occorre che l'episcopato partecipi di più. L'integrazione di sette vescovi oltre
ai cardinali è un "giochetto". Non adagiarsi sullo "status quo". Ipotizzare
altre soluzioni.
Ci saranno altre convocazioni di cardinali ?
Penso di sì. Mi pare che siano state auspicate nel novembre '79.
I cardinali potrebbero esaminare l'attuale pontificato...
Non sarebbe male. Questa volta abbiamo parlato con chiarezza.
Non avete battuto le mani tutti...
No. Assolutamente no. Io mi sono schierato contro il progetto di fare
un'Accademia per favorire le scienze. E poi nei confronti delle finanze del
Vaticano. Si facciano dei bilanci e si pubblichino. (…)
dall'intervista a “ Il Regno” intitolata "Questa chiesa fra paura e profezia" (1981)
Adista documenti n.46 2006