«La privacy? Alibi del disegno eversivo»

Intervista a Stefano Rodota
L’ex garante «Il Parlamento è immobile, la stampa sarà imbavagliata e la magistratura è già intimidita»



"Mi accusavano di essere troppo pessimista e invece ecco qui, e bisogna usare le parole giuste: siamo davanti a un cambiamento di regime". La pacatezza del professor Stefano Rodotà non nasconde la durezza dei concetti. «La libertà di espressione è un elemento fondativo delle democrazie e se viene toccata c’è oggettivamente un cambiamento di regime. Anche perché non è il solo pilastro che scricchiola». Rodotà è al sit in del popolo viola in piazza Montecitorio e indica con la mano il portone della Camera. «Il Parlamento è ormai chiuso, come ha ammesso lo stesso Fini, la magistratura intimidita, l’Università come fucina di sapere critico è sotto attacco. C’è un’insofferenza verso tutti i controlli, si vuole zittire l’opinione pubblica. Neppure ai tempi di Craxi...».

Perché torna a quel periodo? «Anche allora c’era questa insofferenza, ma non si arrivò mai all’ attacco frontale contro tutte le istituzioni di garanzia».

Lei che è stato Garante dovrebbe essere il più sensibile alla privacy violata dalle intercettazioni...  «E infatti già molti anni fa con altri giuristi abbiamo scritto una proposta di legge per porre riparo agli eccessi nella pubblicazione, in particolare per quanto riguarda persone estranee alle indagini o aspetti non inerenti, come le abitudini sessuali. Per evitare questi rischi basta che i magistrati convochino le parti per eliminare tutto ciò che non è rilevante per le indagini. Si fa la ripulitura e le intercettazioni “dubbie” devono essere inserite in un archivio riservato, coperte dal segreto e sotto la responsabilità del magistrato. Mentre ciò che è rilevante, una volta conosciuto dalle parti è pubblicabile. Così si tutela la privacy e il diritto all’informazione».

E allora perché non viene fatto? «Perché l’argomento della privacy è solo un pretesto per forzare la mano sull’informazione, un argomento usato in perfetta malafede. Si dovrebbe fare uno stralcio per le norme che tutelano la privacy, e passerebbero all’unanimità. E invece sono partiti dalle intercettazioni per arrivare al divieto di pubblicazione di tutti gli atti di indagine, ma ormai lo scarto tra l’obiettivo dichiarato e quello reale è sotto gli occhi di tutti...con questa legge avremmo conosciuto gli atti della strage di Ustica, avvenuta nel 1980, solo nel 2000. Per non parlare del caso Scajola e dei furbetti delle banche».

Alcuni manifestanti lo fermano: “Perché in piazza non c’è il Pd?” «Non dovete chiederlo a me, dal 1994 non ho più avuto nulla a che fare. Ma non mi sono ritirato a vita privata, sono un militante».

Come valuta il lavoro delle opposizioni su questo tema? «È stato un buon lavoro, una vera opposizione parlamentare. Però insomma, nel passato non solo il Pci ma anche la Dc e l’Msi quando c’era una battaglia parlamentare campale la sostenevano con iniziative nel Paese, anche in piazza. È anche un modo per dare una mano a chi sta in Parlamento, per farlo sentire meno solo. E invece tutto questo non è avvenuto».

Non c’è adeguata consapevolezza dei rischi per la democrazia? «Questa legge è coerente con un disegno eversivo di attacco ai poteri di garanzia. Se si vuole fermare non si può andare in vacanza. Vogliono coprire la nuova ondata di corruzione, diversa rispetto ai tempi di Tangentopoli: questa è concimata istituzionalmente, a partire dalle ordinanze di protezione civile costruite per agire fuori dai controlli».

Crede che nel Paese ci siano le energie per una reazione? «Certamente sì, e lo dimostrano le 540mila firme raccolte in un mese sul referendum per l’acqua. Altrimenti non avrei promosso un appello...».

Pensa che il ddl sia incostituzionale? «C’è una palese violazione dell’articolo 21 della Costituzione, e anche dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come dimostra il caso dei due cronisti francesi condannati dalla magistratura e “assolti” dalla Corte perché anche atti segreti possono essere pubblicati se coinvolgono figure pubbliche e rispondono all’interesse generale alla conoscenza. Credo che la Corte europea, se interpellata, farà vergognare i nostri parlamentari».

Come valuta la retromarcia del Pdl sul carcere per i giornalisti? «È solo una finzione, perché restano il divieto di pubblicazione e le maxi multe per gli editori, una sorta di “censura di mercato”, che spingerà gli editori a condizionare i giornalisti per evitare sanzioni».

Le divisioni nel Pdl porteranno ad altre correzioni del ddl? «Dico che non bisogna arretrare di un millimetro. Più cresce la mobilitazione, più tutti saranno obbligati a un supplemento di riflessione».

 

Andrea Carugati    l’Unità 22.5.10