«Ribelliamoci come in Iran e in Birmania»
Tutto avviene nel silenzio. C’è un’idea
diffusa di impotenza, di rassegnazione. Alla politica si è sostituito
il potere. La gestione delle cose, gli affari privati. Tutto è ormai una
faccenda privata: di scambi, di soldi, di favori. Dove sono i cittadini, in
questo paese? Dove sono le donne? In tutto il mondo le donne sono in piazza.
Alla sbarra a Teheran, massacrate in Iran, prigioniere in Birmania. Volti
femminili che diventano icone della protesta. Qui, in questa nostra democrazia
in declino, di donne si parla per dire delle escort, delle ragazzine che
dal bagno attiguo alla camera da letto del tiranno telefonano a casa alla madre
per raccontare, contente, “mamma sapessi dove sono” e rallegrarsi insieme. E
fuori, e le altre? Silenzio. L’apatia ci accompagna…».
Il tempo del silenzio, ripete Nadia Urbinati, docente di Teoria politica
alla Columbia university. «Avrei voluto far qualcosa, in questi mesi estivi che
passo in Italia, ma mi si dice che si deve aspettare l’autunno. Non capisco come
mai. Non vedo che altro ci sia da aspettare. Le vittorie di Berlusconi appaiono
ormai la conseguenza e non la causa dell’indebolimento della presenza attiva dei
cittadini nella vita pubblica. Non c’è nulla da fare, sento dire. C’è, da parte
delle persone attorno a noi, una specie di accettazione. Il senso dell’inutilità
dell’agire collettivo. Non serve, si dice. Non produce effetti. Solo la
pubblicità produce effetti». «Ci hanno ingannati, in questi anni, illudendoci
che si potesse partecipare stando a casa: davanti allo schermo di una tv, in un
blog al computer. Soli davanti al video. È nato un pubblico che si cela al
pubblico. Impotente, rassegnato. Si è fatta strada un’idea
maggioritarista: quella che dice che chi vince ha ragione per definizione, in
quanto vincitore. Poiché vince non può aver torto. La verità sta con la
maggioranza. È un’idea che non prevede il dissenso.
Il dissenso infastidisce, non se ne comprende il valore né l’utilità, non si
tollera. La voce dell’opposizione è una voce che disturba. Berlusconi esprime
un’idea egemonica che gli sopravviverà. L’opposizione d’altra parte non fa
che riconoscere la forza dell’avversario (ho sentito giovani del Pd ammirare la
Lega per il radicamento sul territorio ignorando i contenuti di quel
radicamento). L’opposizione è assente. Manca un partito capace di
parlare con voce forte e chiara. Negli ultimi tre mesi l’Unità e la
Repubblica hanno avuto la capacità di far infuriare il tiranno, l’opposizione
no. Persa nella sua battaglia interna, persa nell’incapacità di parlare con le
parole della politica. Un vuoto che apre la strada ad un nuovo populismo
giustizialista. Ho sentito Prodi dire: Berlusconi è il vuoto. Putroppo no, non è
vuoto, è pieno di linguaggio e di azione. È l’opposizione a non avere
linguaggio ed azione da opporre, manca un partito che incalzi. Quel che
fa questo governo non è ridicolo, non è schifoso come ho sentito dire dai leader
negli ultimi giorni. È tragico. Le gabbie salariali sono la rottura di un
patto di solidarietà e giustizia tra i cittadini, un piede di porco capace di
smembrare il paese. Le ronde sono un pericolo gravissimo, oltre ad essere un
modo subdolo per distribuire finanziamenti pubblici. Sull’unità d’Italia? Nulla.
Se non ci fosse l’Europa a contenerci saremmo sull’orlo della guerra civile».
«Siamo orfani di politica. Il potere ha preso il suo posto: chi lo
detiene lo usa attraverso mezzi privati, conti in banca, soldi, scambi di
favori. Berlusconi durerà. Tutto questo non finirà con lui. Questo governo
non è Berlusconi, è la visione organica della società che lui rappresenta.
Abbiamo imparato a giustificare sempre tutto. Ci sarebbe bisogno di avere una
visione morale della politica, invece. Non c’è. Non abbiamo una cultura della
responsabilità morale: anche se non penalmente perseguibili certi atteggiamenti
sono moralmente turpi. Bisogna dirlo, ripeterlo, cercare ascolto, pretendere
risposta.
È stata una trasformazione molecolare. Dopo anni di partecipazione si è
spenta nella mente del cittadini la dimensione pubblica. La
democrazia si è fatta docile e apatica. Vista dall’estero l’Italia non
ha più nulla da dire, resta solo un esempio interessante da studiare sul declino
della democrazia. Penso alle donne, poi. Neda, San Suu Kyi, le donne nel mondo.
In Italia a parte qualche importante figura femminile isolata, niente. Sulle
prostitute e le minorenni di cui si circonda il Presidente le parlamentari del
Pd si sono schierate dieci giorni fa. Forse si teme di essere indicati come
bacchettoni, di trasformare la politica in morale. Fatto è che donne che
appartengono al privato (Veronica e Barbara Berlusconi) hanno avuto un ruolo
politico, quel ruolo che chi fa politica non trova. Le generazioni del
femminismo si sono scollate. Le ragazze che vanno a palazzo Grazioli dal
bagno del tiranno telefonano alla madre, contente. Le loro madri hanno la nostra
età. Cosa è successo tra quelle madri e queste figlie, tra noi e loro? Le grandi
personalità si sono ritirate a scrivere le memorie degli anni d’oro, quasi a
rivendicare un’autorità su e insieme un’estraneità da questo tempo. Io l’avevo
detto, io l’avevo scritto. Personalismi, una contro l’altra, non c’è più
la capacità di mettere in comune le esperienze, tessere una trama, rinunciare a
qualcosa di proprio per l’agire collettivo. Quello che dà fastidio, poi,
è questo continuo lamento, solo lamento. Tutti che chiedono rivendicano
protestano e si lagnano, tutti che pongono problemi e nessuno che offra
soluzioni. Anche attorno a noi, nella vita, è così. Lamentarsi è facile e non
costa nulla, invece proporre una soluzione significa assumere una
responsabilità, pagare il prezzo di una decisione..
Lamentarsi, risentirsi, portare rancore: anche queste sono forme private di
agire. La dimensione pubblica – quella di chi si attrezza ad unire le
forze e costruire gli strumenti per cambiare le cose, insieme – è svanita.
I giovani sono figli di questo tempo. Tutto per loro è privato, totalmente
privato. Bisogna ripartire da capo. Dalle cose essenziali. Lanciare un appello,
per esempio, alcune donne si preparano a farlo: lanciare appelli non è un modo
vecchio di agire. È nuovo, oggi. È di nuovo nuovo. Non essere docili,
ripartiamo da qui».
Concita De Gregorio L’Unità 12 agosto 2009