''Deus Caritas Est'', l'enciclica che spiazza
Vaticano. Amore come Dono. Ratzinger ricorda come il dovere della Chiesa sia la carità e l'insegnamento di Gesù, ma non la politica
 


La prima enciclica di papa Benedetto XVI provoca nel commentatore laico più di una difficoltà. Anzitutto per il linguaggio semplice ma dai contenuti raffinati, ricercati, coltissimi. E poi per il senso profondo di questa “Deus Caritas Est”, che fin dal titolo rivela qualcosa della sua più intima natura. Non più gli altisonanti, spesso criptici titoli delle encicliche dei suoi predecessori (come quelle più eminentemente sociali, dalla Rerum Novarum alla sollicitudo rei socialis), ma un’affermazione elementare, da vecchio parroco che risponde alla domanda di uno scolaretto: Dio è amore.

Il documento papale - diciamolo subito - oltre a essere di agile lettura e persino bello da un punto di vista letterario, lascia trasparire una “persona” Ratzinger molto diversa dalle (il più delle volte giustificate) caricature del kardinal-Panzer. L’enciclica fonda la sua costruzione sull’Amore come strumento per “dimorare in Dio”, come scriveva Giovanni. A partire, senza reticenze, dall’amore tra uomo e donna, l’eros dei greci. Eros che diviene, nei secoli, “Agape”, assume cioè una dimensione donativa. Il cristianesimo ha avuto in sé tendenze di rifiuto del sesso - come ammette il papa - ma in realtà vuole dire, nel suo più profondo messaggio, che “La sfida dell'eros può dirsi superata quando nell'uomo corpo e anima si ritrovano in perfetta armonia. Allora l'amore diventa, si, «estasi», però estasi non nel senso di un momento di ebbrezza passeggera, ma come esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio”. Si parte dall’eros, insomma, ma il vero amore si trasforma ben presto in Agape: “nell'avvicinarsi poi all'altra persona si porrà sempre meno domande su di sé, cercherà sempre più la felicità dell'altro, si donerà e desidererà «esserci per» l'altro”. Allora, poiché Amore equivale a Dono, la forma più radicale del connubio mistico tra Eros e Agape è rappresentata da Gesù, che “donandosi per rialzare e salvare l'uomo, esprime l'amore nella forma più sublime”. E l’uomo, amando gli altri con questa spinta donativa, e partecipando dell’Eucarestia, diviene partecipe della donazione divina, “diventando tutti un solo corpo” con Dio.

Questa prima parte, che potrà interessare meno il lettore abituato a dibattere di politica, di società, di cose più urgenti di una discettazione sull’Agape, è in realtà un magistrale bastione sul quale Ratzinger innalza poi la parte più importante del suo documento, quella che arriva al sodo: cioè alla Carità. Se nella prima parte è il grande teologo che parla, citando i padri della Chiesa come Agostino e Tertulliano e contrapponendo le loro riflessioni più mistiche, umane e tormentate (e, pare di capire, così vicine alla sensibilità dell’”uomo” Ratzinger”) a Nietzsche e alla sua critica del cristianesimo privo di eros, nella seconda è il capo della Chiesa a far sentire la sua voce. A partire dalla struttura stessa dell’Ecclesia, nata e cementata dall’Amore: “L'amore del prossimo radicato nell'amore di Dio – scrive Benedetto XVI - oltre che compito per ogni singolo fedele, lo è anche per l'intera comunità ecclesiale, che nella sua attività caritativa deve rispecchiare l'amore trinitario. La coscienza di tale compito ha avuto rilevanza costitutiva nella Chiesa fin dai suoi inizi e ben presto si è manifestata anche la necessità di una certa organizzazione quale presupposto per un suo più efficace adempimento. Così nella struttura fondamentale della Chiesa emerse la «diaconìa» come servizio dell'amore verso il prossimo”. Compito della Chiesa, ricorda Ratzinger, non è solo quello di insegnare i dogmi divini (Kerygma) e di celebrare i sacramenti (Liturgia), ma anche e soprattutto quello della carità (Diakonia). Tuttavia, ricorda il papa, alla Chiesa è stato imputato di essere conservatrice proprio nel concetto di carità che “finirebbe per agire come sistema di conservazione dello status quo.” Per questo il marxismo aveva indicato nella rivoluzione mondiale e nella sua preparazione la panacea per la problematica sociale : “un sogno – scrive il papa - che nel frattempo è svanito”.

La Chiesa, e qui Ratzinger quasi replica a chi lo accusa di eccessive intromissioni negli stati laici, non può né deve occuparsi di politica: “La creazione di un giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica, quindi non può essere incarico immediato della Chiesa. La dottrina sociale cattolica non vuole conferire alla Chiesa un potere sullo Stato, ma semplicemente purificare ed illuminare la ragione, offrendo il proprio contributo alla formazione delle coscienze, affinché le vere esigenze della giustizia possano essere percepite, riconosciute e poi anche realizzate”.
Dunque, la Chiesa offre solo un contributo, introduce, nella visione ratzingeriana, una leva potente a quel meccanismo di governo e di legislazione degli stati che tende a farsi meccanico, quasi inumano: l’Amore. “Non c'è nessun ordinamento statale che, per quanto giusto, possa rendere superfluo il servizio dell'amore. Lo Stato che vuole provvedere a tutto diventa in definitiva un'istanza burocratica che non può assicurare il contributo essenziale di cui l'uomo sofferente - ogni uomo - ha bisogno: l'amorevole dedizione personale. Chi vuole sbarazzarsi dell'amore - ammonisce Benedetto XVI - si dispone a sbarazzarsi dell'uomo in quanto uomo”.

E qui si passa alla più stretta attualità: la globalizzazione, ritenuta parte di un sistema capitalistico che il papa certo non condivide, ha però un aspetto positivo: “la sollecitudine per il prossimo, superando i confini delle comunità nazionali, tende ad allargare i suoi orizzonti al mondo intero. Le strutture dello Stato e le associazioni umanitarie assecondano in vari modi la solidarietà espressa dalla società civile: si sono così formate molteplici organizzazioni con scopi caritativi e filantropici”. Tra queste, naturalmente, c’è la Chiesa Cattolica, che non deve confondersi completamente in questo mare di solidarietà. “Il programma del cristiano - il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù - è "un cuore che vede". Questo cuore vede dove c'è bisogno di amore e agisce in modo conseguente”. E soprattutto, ricorda Ratzinger, l’amore non va confuso col proselitismo: “L'amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l'amore”.

La fine dell’enciclica è dedicata alla preghiera, strumento necessario per “attingere in Dio la luce e la forza dell'amore che vince ogni oscurità ed egoismo presenti nel mondo”. Un documento a suo modo rivoluzionario nel suo apparentemente semplice richiamo alle radici stesse del cristianesimo. Toni quasi roncalliani, per un’enciclica che spiazza. Tolte le ideologie, tolti i dogmi stessi, il proselitismo, gli interessi terreni, la politica, quello che rimane della Chiesa è proprio l’Amore. Un punto di ripartenza forse, certamente un passaggio decisivo nella storia del cristianesimo contemporaneo.
 

Paolo Giorgi       AprileOnLine.Info n.88 del 26/01/2006