"In quel periodo
non ci fu la condanna aperta del nazismo"
intervista a Renzo Gattegna, a cura di Paola Coppola
«In quel periodo non ci fu una presa di posizione della Chiesa di aperta
condanna del nazismo, di
opposizione al genocidio degli ebrei. L´intervento di Gianfranco Fini conteneva
una frase di
constatazione che è difficile contestare».
Renzo Gattegna, presidente dell´Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, si dice
d´accordo con le
parole usate dal presidente della Camera nel suo intervento.
Fini ha criticato la società italiana dell´epoca che non ebbe la forza di
reagire e ha tirato in
ballo anche la Chiesa cattolica. Perché le sue parole sollevano polemiche e
fanno discutere?
«Credo che queste polemiche siano inutili, siano il frutto di posizioni
aprioristiche. Queste posizioni
non servono. Quello che serve piuttosto è un approfondimento di carattere
storico sul ruolo avuto
dalla Chiesa. Devono ancora essere aperti degli archivi da cui possono emergere
ulteriori elementi
di verità: se si riuscisse a portare avanti gli studi sugli archivi si potrebbe
forse arrivare ad avere una
memoria condivisa. La ricerca storica deve essere approfondita, senza
preconcetti e senza tesi
precostituite».
Chi critica le parole del presidente della Camera sostiene che invece ci fu
una condanna da
parte della Chiesa e una reazione alla promulgazione delle leggi razziali. Quale
è la sua
opinione?
«La reazione all´antisemitismo avvenne a livello individuale. C´è stata un´opera
di salvataggio degli
ebrei da parte di singoli cattolici e le iniziative di alcune istituzioni, ma
quello che non è mai stato
pubblicato finora è un´esplicita e ufficiale condanna del nazismo e del
genocidio da parte della
Chiesa di allora».
la Repubblica 17 dicembre 2008
Leggi razziali,
Fini denuncia il silenzio della Chiesa
"Padre Santo! Come figlia del popolo ebraico, che per grazia di Dio è da 11 anni
figlia della Chiesa
Cattolica, ardisco esprimere al Padre della cristianità ciò che preoccupa
milioni di tedeschi...".
"Per anni i capi del nazionalsocialismo hanno predicato l´odio contro gli ebrei.
Ora che hanno
ottenuto il potere e hanno armato i loro seguaci il seme dell´odio si schiude".
Così l´incipit di una
lettera che Edith Stein inviò al papa nel '33 per denunciare le violenze che in
Germania venivano
consumate contro gli ebrei e chiedere una parola di denuncia da parte del
Vaticano. Quella parola
non venne. E la stessa Edith Stein "figlia del popolo ebraico" ma convertita al
cattolicesimo dopo
pochi anni finirà i suoi giorni in un campo di sterminio nazista.
La Chiesa non parlò quando in Germania cominciò la persecuzione contro gli
ebrei e non parlò
nemmeno quando, nel 1938, in Italia, vennero promulgate le leggi con le quali si
cacciavano i
bambini e i professori ebrei dalle nostre scuole e dalle Università, si vietava
agli ebrei di esercitare i
loro commerci e le loro professioni, persino di possedere e ascoltare la radio.
Solo nel 1944, dopo la
feroce razzia nel Ghetto e la deportazione degli ebrei romani nei campi di
sterminio in Germania,
solo allora il Vaticano si adoperò per offrire assistenza e rifugio ai
superstiti.
Questa è storia nota. E non varrebbe la pena di ricordarla se ieri non fosse
stato, imprevedibilmente,
Gianfranco Fini a denunciare, non solo la indifferenza e passività della
maggioranza degli italiani di
fronte alla vergogna di quelle leggi, ma anche il silenzio del Vaticano.
Non è la prima volta che Fini
affronta il problema delle leggi razziali che già, a suo tempo, a Gerusalemme,
aveva definito come
«il male assoluto». Poi, nella denuncia della natura del fascismo, Fini era
andato oltre. E, qualche
mese fa, intervenendo alla festa dei giovani del suo partito, a Roma, aveva
ricordato che il fascismo
era stato dittatura, violenza, abolizione di tutte le libertà democratiche. E
aveva invitato i giovani di
An a riconoscersi limpidamente nei valori dell´antifascismo e della nostra
Costituzione.
Un'affermazione che aveva provocato allora, comprensibilmente, più di un
malessere e di un
dissenso. Non so quanto riassorbito fino ad oggi. Oggi Fini ha il coraggio di
compiere un passo
ulteriore, e punta l´indice anche contro i silenzi di Pio XII, toccando così un
nervo scoperto della
Chiesa, vista la polemica sulla beatificazione di quel pontefice. Non a caso la
sua dichiarazione ha
suscitato la protesta di molti politici cattolici.
Quello che è stato l´allievo prediletto di Giorgio Almirante e poi per tanti
anni il segretario prima
del Msi e poi di An va, insomma, cambiando pelle. Sotto i nostri occhi si va
spogliando della
vecchia cultura, dei vecchi tabù, della vecchia storia del suo partito. Per
proporre, alla vigilia della
formazione del nuovo Partito della Libertà (e della sua adesione al Partito
Popolare Europeo), la
cultura di una destra che non vuole avere più nulla a che fare con i furori dei
naziskin o di Le Pen, o
con il negazionismo di David Irving o Faurisson. Dunque una nuova destra,
una nuova cultura di
destra, che si propone di liquidare i cascami del passato, la memoria di Salò,
la nostalgia di
Mussolini, della sua politica coloniale e razziale. E che cerca e tenterà di
darsi nuove basi culturali e
ideali.
Il discorso di ieri di Fini appare come il presupposto o il preannuncio di
questa ricerca. Che può
anche essere velleitaria e nascondere ambizioni politiche non ancora
esplicitate. E che può aprire, in
corso d´opera, problemi e contraddizioni in An e giustificare più di un sospetto
nello schieramento
che si accinge a convergere, nei prossimi mesi, in un solo partito. Ma in
questo percorso il
presidente della Camera, indossando panni sempre più istituzionali, rendendosi
autonomo dal suo
passato e dall´ombra del Cavaliere, tenta di aprire nuove prospettive nel
cammino della destra e
della politica italiana.
Miriam Mafai la Repubblica 17 dicembre 2008
Fini, una vera revisione
Nel settembre 2002, quando l'on. Fini chiese perdono «in quanto italiano» per le
leggi razziali, vi furono polemiche e obiezioni: chiamata di correità indebita
rispetto alle colpe fasciste, sembrò a molti. Questo giornale valutò
positivamente l'affacciarsi d'un ragionamento sulle responsabilità collettive
che era sempre stato messo in sordina nella coscienza pubblica.
Molta acqua è passata da allora sotto i ponti, e le nuove dichiarazioni di Fini
nel 70° anniversario di quelle leggi, che vengono dopo altre impegnative
posizioni in tema di antifascismo, vanno valutate e discusse col rilievo che
meritano. Molto al di là del breve cenno sull'atteggiamento della Chiesa, che
sembra avere monopolizzato l'attenzione dei media e l'ansia dichiaratoria di un
clericalismo bipartisan. «L'ideologia fascista non spiega da sola l'infamia. C'è
da chiedersi perché - suona il testo di Fini - la società italiana si sia
adeguata, nel suo insieme, alla legislazione antiebraica e perché, salvo talune
luminose eccezioni, non siano state registrate manifestazioni particolari di
resistenza. Nemmeno da parte della Chiesa cattolica». È una domanda più che
lecita, che va al di là della «Chiesa» in quanto tale, che era istituzione
complessa, divisa tra prudenza silente e slancio solidale.
Il discorso di Fini si sostanzia di richiami storici non banali, sulla
legislazione razziale in colonia, sull'esasperazione nazionalistica del regime
già prima del 1938, sul controllo totale dell'informazione e ancor più
dell'educazione e dell'istruzione esercitato per un quindicennio, sulla
propensione al conformismo che ne derivava (è citato perfino il Moravia degli
Indifferenti sull'«inerzia morale della società borghese italiana di fronte
all'essenza della persona umana»). Ma la cosa più importante va individuata nel
ripudio dello «stereotipo autoassolutorio e consolatorio degli italiani brava
gente». Qui si tocca, per la prima volta, il fulcro della raffigurazione storica
dell'Italia moderata. Fatta salva, e ribadita, «la inequivocabile
responsabilità politica e ideologica del fascismo», questo è il punto veramente
nuovo di una revisione storica e culturale che potrebbe segnare una svolta nel
modo di pensare e rappresentare il passato da parte della destra italiana.
Il condizionale è più che mai d'obbligo, quando si discute delle posizioni
di Fini, sempre più risoluto nella ricerca individuale dei contorni di una
destra moderna, autoritaria ma costituzionale, ma al tempo stesso sempre più
isolato nel suo partito e ancor più in quello in cui andrà a confluire.
Ragionamenti e interrogativi di questa portata sul passato nazionale sono
impensabili nella cultura profonda di Berlusconi e del suo elettorato, come in
quella dell'apparato post-missino, entrambe paghe di una raffigurazione
favolistica della storia italiana in chiave di velata o esplicita nostalgia del
fascismo e di un anticomunismo postumo che è ideologia-chiavistello che apre
tutte le porte, tutto giustifica e legittima a posteriori.
Giampasquale Santomassimo Il manifesto 17/12/2008
"Silenzio della Chiesa
sulle leggi razziali"
Gianfranco Fini evoca la vergogna delle legge razziali e smonta la favola degli
italiani eternamente
«brava gente». Poi si chiede anche perché la Chiesa non si sia mobilitata di più
contro l´infame
discriminazione. E scoppia, inevitabile, la buriana delle polemiche. A
Montecitorio - presente Renzo
Gattegna dell´Unione delle comunità ebraiche italiane - il presidente della
Camera, nel settantesimo
anniversario della legislazione antiebraica, non tiene un discorso di
circostanza. Esorta a frugare
negli angoli bui del passato per contrastare l´antisemitismo di oggi.
«L´ideologia fascista non spiega da sola l´infamia delle leggi razziali»,
dichiara. Resta la domanda
del perché la società italiana si sia adeguata nel suo insieme e «perché, salvo
talune luminose
eccezioni, non siano state registrate manifestazioni particolari di resistenza».
E qui cade il j´accuse
del presidente della Camera. Non ci fu particolare resistenza, soggiunge,
«nemmeno, mi duole dirlo,
da parte della Chiesa cattolica».
«Una verità storica, palmare, un giudizio storico condiviso anche dagli storici
della Chiesa», dirà
qualche ora dopo Walter Veltroni, rammentando che l´orrore delle leggi razziali
«avrebbe meritato
una rivolta, che in realtà non ci fu». Il leader Pd è netto: «Il mio pensiero
coincide con ciò che ha
detto Fini». Ma intanto non si è fatta attendere la levata di scudi dei
parlamentari cattolici. Maurizio
Lupi, ciellino Pdl, vicepresidente della Camera, accusa Fini di essersi
«adeguato a luoghi comuni,
che si sono imposti in questi anni». La Chiesa, ribadisce, «ha sempre con forza
le leggi razziali,
cercando di aiutare gli ebrei perseguitati anche a rischio della vita di
numerosi sacerdoti, suore e
laici». Si scatena Luca Volontè Udc: «Dare credito a un falso storico è una
scelta ideologica e
opportunistica».
Mario Baccini, dei Cristiani popolari, incalza: se Fini volesse accusare la
Chiesa di aver contribuito
alla barbarie del razzismo, «mistificherebbe la storia». La Chiesa, sottolinea,
ha sempre difeso gli
innocenti. Categorico il teodem Enzo Carra, del Pd: «Gli storici, in
maggioranza, non la pensano
come Fini. Le responsabilità di singoli non possono coinvolgere i milioni di
cattolici, che in Italia e
anche in Germania, si opposero a quelle leggi».
Milioni, in realtà, in quella vicenda non si mobilitarono. Né fra i credenti né
fra i tiepidi. Il
repubblicano Nucara ricorda che papa Wojtyla volle scusarsi con il popolo
ebraico per
l'antigiudaismo cristiano e perché troppo pochi si levarono contro
l´antisemitismo: «Fini ha detto
parole coraggiose e veritiere».
Fabio Evangelisti, dell´ Idv, va più in là: «Fini non sbaglia quando dice che da
parte di Pio XI, non
ci fu nessun atto politico formale volto a condannare apertamente lo scempio
delle leggi razziali». E
questo, senza disconoscere ciò che la Chiesa fece per salvare tanti ebrei.
Schiva il dibattito
Pierferdinando Casini, leader dell´Udc: «Non polemizzo con i miei successori».
Secco il commento di padre Sale, lo storico della rivista Civiltà Cattolica:
«Fini è sconcertante, non
conosce la storia della contrapposizione tra Pio XI e Mussolini». Ecumenica e
prudente la presa di
distanza del presidente del Senato Renato Schifani. Vi furono errori all´epoca,
ma anche «luminose
testimonianze» di solidarietà. In serata Fini ribadisce: «Ridirei ciò che ho
detto, mi sono
documentato sui testi della Chiesa nel 2000».
Marco Politi la
Repubblica 17 dicembre 2008