“L'impegno concreto
dei cristiani rende credibile il discorso della Chiesa sui diritti umani”
intervista a Paul Valadier, gesuita e dottore in teologia e filosofia,
professore al Centre Sèvres, a cura di Élodie Maurot
Come si è riconciliata la Chiesa con i diritti umani?
La storia terribile del XX secolo ci ha fatto prendere coscienza che l'uomo è
capace di calpestare
l'uomo, di dimenticare la sua dignità. Giovanni Paolo II, nel suo discorso
all'ONU nel 1979, ha mostrato come questa presa di coscienza si traduca nel
riconoscimento dei diritti. È un primo aspetto. Inoltre, molti cristiani,
cattolici e protestanti, si sono impegnati sul campo per difendere
concretamente gli uomini: nella resistenza, nella lotta contro l'ingiustizia,
contro la carestia... C'è un
humus non teorico molto importante.
In che cosa il Concilio Vaticano II ha costituito una rottura?
Innanzitutto, nella Gaudium et Spes, il concilio riconosce il lavoro dei
cristiani in tutte le sfere della
società. Poi, la dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa
abbandona l'idea che solo la verità ha
dei diritti, per affermare che sono le persone umane che ne hanno. È un
enorme cambiamento di
prospettiva filosofico e teologico, un mutamento molto importante nel pensiero
della Chiesa.
Esiste ancora un contenzioso tra la Chiesa e i diritti dell'uomo?
Ci sono sempre dei contenziosi, innanzitutto perché i diritti dell'uomo sono
formali. Quindi bisogna
sempre interrogarsi su ciò che vogliono dire. Diritto all'istruzione, alla
salute, che cosa significano
concretamente?
I problemi riguardano anche il loro fondamento: su che cosa si basano? Sulla
natura umana, ma si
può ancora parlare di natura umana oggi? Sulla ragione, ma che cos'è la ragione?
O, ancora, come suggerisce il filosofo Claude Lefort, non bisogna cercare nessun
fondamento? È un vero dibattito. Il pensiero dominante nella Chiesa è quello di
dire che l'uomo e la donna sono creati ad immagine di
Dio e che, dimenticarlo, significa rischiare il fallimento totale...
Infine, c' è un terzo terreno di contenzioso, particolarmente vivo negli Stati
Uniti, quello della
gerarchia dei diritti dell'uomo. Esiste una gerarchia nei diritti o sono tutti
da mettere sullo stesso
piano? Giovanni Paolo II e molti vescovi americani hanno scelto la prima opzione
e mettono al
primo posto il diritto alla vita. Non è sbagliato, perché la condizione di
tutti gli altri diritti è che si
viva! Ma definire un diritto prioritario rischia di condurre ad un'eclissi di
tutti gli altri: si è talmente
presi dal rifiuto dell'aborto, che si dimentica Guantanamo, la tortura, l'Iraq,
l'ingiustizia e la fame
nel mondo...
Visto ciò che è successo in passato, le autorità ecclesiali hanno le migliori
credenziali per farsi
portavoce dei diritti dell'uomo?
È molto importante che il magistero parli dei diritti dell'uomo e bisogna che lo
faccia. Ma la
condizione di credibilità del discorso di Giovanni Paolo II all'ONU, è monsignor
Oscar Romero,
assassinato per il suo impegno, sono tutti coloro che si sono battuti e che si
battono per i poveri: è
grazie all'impegno concreto di questi cristiani che il discorso della Chiesa
diventa credibile.
Benedetto XVI ripete spesso che una società senza Dio va verso la perdizione.
Ora, per i nostri
contemporanei, i diritti dell'uomo costituiscono proprio la condizione della
possibilità di una
società senza Dio. Non c'è in questo una profonda incomprensione?
L'uomo che non riconosce una trascendenza è destinato al fallimento? Credo
che sia una domanda
legittima. Ma da qui a dire che una società non può stare in piedi se non
riconosce Dio come
fondamento, c'è uno scarto considerevole! Tutti sanno che non è vero. Si può
anche mettere “Dio”
nelle nostre costituzioni, ciò non significa che la società sarà giusta! Resta
il problema, reale, della
definizione del fondamento dei diritti dell'uomo... Che, a questo riguardo,
certi responsabili
ecclesiastici facciano un discorso più ambiguo, lo concedo senz'altro, ed è
veramente increscioso.
Ma non dimentichiamo il XX secolo, le società che si sono fondate contro Dio, i
marxisti che hanno
giustificato le peggiori violazioni dei diritti dell'uomo... La Chiesa deve
certo far pulizia davanti alla
propria porta, ma nessuno è giustificato a dare lezioni all'altro in questo
ambito.
Ha la sensazione che l'impegno dei cattolici progredisca in questo campo?
L'impegno dei cattolici in favore dei diritti dell'uomo non è mai acquisito, non
foss'altro per il fatto
che la storia di questi diritti non è mai finita. Oggi, credo che la Chiesa viva
un periodo di
ripiegamento su se stessa. C'è una sorta di ritorno verso un “religioso puro” e
per certi cattolici i
diritti umani passano in secondo piano. Del resto, le autorità ecclesiali, che
esaltano più di tutto i
diritti dell'uomo, non li rispettano sempre all'interno della Chiesa... La
giustizia passa attraverso
regole chiare e, oggi, nella Chiesa, non lo sono sempre: si potrebbe, per
esempio, chiedere alla
Congregazione per la dottrina della fede quali siano le sue regole, che nessuno
conosce veramente.
Il diritto canonico riconosce ai fedeli un certo numero di diritti, ma il
problema è applicarli. Nella società, non sono i proclami teorici che contano,
ma ciò che i cittadini fanno dei loro diritti. È la stessa cosa nella Chiesa:
abbiamo a che fare con dei cattolici passivi o con dei cattolici che fanno
rispettare i propri diritti?
in “La Croix” del 6 dicembre 2008 ( settimanale
cattolico francese)