«Perché lavoro con le embrionali»


Curiosamente, ma non troppo, il nuovo Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, come già il suo
predecessore, apre la sua era parlando di staminali e dichiarando di volere rimuovere il divieto,
imposto da G.W.Bush, al finanziamento pubblico della ricerca sulle cellule staminali embrionali
umane. Divieto che ha sempre fatto largamente sorridere per la sua ipocrisia: non si impediva
affatto la ricerca sulle embrionali, bastava che fosse svolta con fondi privati. I quali, per la fortuna
dei colleghi americani, sono negli Usa numerosi e provenienti dalle altrettanto numerose donazioni,
fondazioni e istituti.
Quindi, negli anni della "proibizione", è successo quello che normalmente succede nella ricerca
statunitense: tutto è continuato. Si è studiato, ricercato e se ne sono pubblicati i risultati, anche
quelli «vietati con fondi pubblici» ma ottenuti con fondi privati (in istituti come Harvard, ad
esempio) messi a disposizione del mondo intero. Alimentando così tutte le idee che hanno
consolidato gli Usa, insieme ai giapponesi, come protagonisti dei più straordinari sviluppi recenti.
Quindi, quale valore morale avrebbe questo divieto? E quale coerenza? Un Paese veramente
"contro" avrebbe semplicemente bandito quel tipo di ricerca su tutto il territorio nazionale. Difficile
però immaginarsi un'America disponibile a correre il rischio di restare indietro o addirittura fuori da
una ricerca considerata scientificamente di valore e carica di prospettive.
In Italia è andata peggio. La legge 40 vieta di derivare staminali embrionali dalle blastocisti, anche
da quelle destinate al congelamento distruttivo (che è già una contraddizione: il "non fare" non è
comportamento neutrale). Non vieta, però, di lavorare, fra difficoltà inutilmente create, con cellule
ottenute da altri colleghi nel mondo con il sostegno etico e finanziario del loro governo o dei loro
cittadini. Queste cellule sono presenti, quindi, nei nostri laboratori, importate nell'ambito di
collaborazioni di ricerca e utilizzate per capire e, forse un domani, per curare.
Chi si oppone alla ricerca dovrebbe, per coerenza, rispondere con chiarezza a due seguenti quesiti:
1) Tutti dovremmo rinunciare a qualsiasi eventuale futuro trattamento di cura "impuro", che abbia
legami anche in minima parte con studi su queste cellule?
2) Tutti i ricercatori dovrebbero essere soggiogati da un codice di comportamento che impedisca
loro di consultare riviste scientifiche, frequentare congressi o partecipare a network di ricerca
internazionali, attraverso i quali rischiano di sviluppare idee sulla base dei risultati delle ricerche
(altrui) sulle embrionali?
Per far ciò bisognerebbe anche attrezzarsi per "tracciare" qualsiasi percorso di ricerca mondiale,
passata, presente e futura, che certifichi che quella nazionale non sia "contaminata" da studi,
pensieri o azioni passate attraverso le ricerche bandite.
Tutto ciò è assurdo, impossibile da mettere in pratica, e dunque, come al solito, prevale l'ipocrisia.
Ma la vera novità del momento viene dalle reazioni delle gerarchie vaticane alla proposta del
neopresiderite Obama. Invece di utilizzare argomenti etici o religiosi, rivendicarne la fondatezza e
chiedere comportamenti conseguenti a tutti coloro che vi si identificano, si taglia corto definendo
«inutili» le ricerche sulle embrionali e proponendo il solito «confronto» tra embrionali e adulte, che
è come confrontare pere e furgoni.
È inevitabile chiedersi come sia possibile dar credito a dichiarazioni così assurde, non verificate e
non verificabili. Perché usare l'argomentazione falsamente scientifica, sfruttando una posizione da
"guida morale" (e dunque non discutibile) per deformare il piano della discussione, significa
interferire improvvidamente in un campo di "non competenza" (intesa come conoscenza
scientifica).
Questo, in uno stato laico, non può essere civilmente accettabile. Neanche da chi è cattolico.
Pensare inoltre di potere far credere di conoscere a priori le idee ancora da sviluppare e l'esito degli
esperimenti ancora da svolgere significa pensare di poter far credere di essere investiti della
capacità di leggere nel futuro con la sfera di cristallo.


Da qui altri dubbi, tanto semplici quanto logici. Se davvero queste ricerche sono inutili, perché tanti
ricercatori nel mondo ci lavorano? Tempo da perdere? O forse (come piace ad alcuni demagoghi)
sono tutti mercenari di ditte farmaceutiche e pensano a "facili guadagni"? E le perplessità di questa
logica da contorsionista non fanno che aumentare se ci si immagina un'industria farmaceutica che
investe nell'«inutile». Per questo, da studiosa sulle cellule staminali, la mia posizione è diversa. Se
si rimane sul piano scientifico, le staminali embrionali, per la loro caratteristica di pluripotenza sono
interessantissime per capire come si formano le cellule specializzate del nostro organismo e come
degenerano nelle diverse malattie. Ci sono già studi che dimostrano come le embrionali umane
siano in grado di dare beneficio dopo trapianto nel topolino lesionato che mima malattie
degenerative. Per alcuni modelli di malattia si tratta di enormi benefici. Non significa garanzia di
cura nell'uomo, ma un primo passo. Certo che è deludente vedere la discussione intrappolata nelle
maglie di una comunicazione costretta a inventarsi una realtà che non esiste, pur di sostenere
argomenti che si vogliono imporre a chi non li può condividere perché ha una visione scientifica del
problema. E forse, proprio per queste modalità di comunicazione, si è divisi anche dentro la Chiesa,
quella che coinvolge tutti i fedeli.
Le mie opinioni le ho espresse altre volte e oggi scelgo di essere ancora più diretta del solito: sono
cristiana
e lavoro sulle cellule staminali embrionali che ho a disposizione, oltre che sulle staminali
adulte e su molte altre ricerche che non coinvolgono le staminali. Credo di essere nel giusto quando
elaboro ricerche condotte su cellule che «embrione non sono» e ottenute da blastocisti «che persona
non è». Potranno aiutarci a capire e, speriamo, a contribuire a diminuire le sofferenze altrui. Ho
anche la speranza che esista un Dio ben più grande di qualsiasi immaginazione terrena e che non ha
bisogno di dogmi per imporsi. Un Dio che lascia liberi gli uomini e le donne di pensare, sperare,
amare, gioire, e credere nei modi, nei tempi e nelle forme più diverse. Persone impegnate con la
propria coscienza e la propria diversa tensione etica a contribuire ad accrescere, per chi crede, quel
dono ricevuto. Un Dio che magari nutre anche un certo amore per la Scienza. Perché, forse, un Dio
che vuole tenerci all'oscuro e nella sofferenza, non esiste.

Elena Cattaneo       Il Sole-24 Ore   16 novembre 2008