"Un monito
condivisibile ma su Pio XII ascolti il dissenso"
intervista a Sergio Minerbi a cura di Alberto Stabile
Con una serie di manifestazioni che andranno avanti per dieci giorni, Israele
ricorda la Notte dei
Cristalli. Ed inevitabilmente rimbalzano a Gerusalemme le parole di Benedetto
XVI, il suo appello
contro ogni forma di discriminazione e antisemitismo, il suo invito alla
preghiera per le vittime di
allora, la solidarietà espressa verso il mondo ebraico. Tutto questo, appena 24
ore dopo aver elevato
a «dono di Dio», la figura di Pio XII, che il mondo ebraico, incluse le autorità
israeliane, ha criticato
per il «silenzio» tenuto durante la Shoah. Che ne pensa Sergio Minerbi, docente
di relazioni
internazionali all'Università di Haifa ed ex ambasciatore israeliano presso la
Comunità Europea?
«Quello di ieri del Papa è stato un monito condivisibile. Personalmente sono più
propenso nei
confronti di Benedetto XVI più di quanto non fossi nei confronti del suo
predecessore e mi spiego.
Quando Giovanni Paolo II si recò ad Auschwitz, disse che in quel luogo erano
morti 6 milioni di
polacchi. Anche Benedetto XVI disse la stessa cosa, poi tornato a Roma si
corresse e spiegò che ad
Auschwitz erano morti 6 milioni di ebrei. A prescindere dall'errore nel numero
delle vittime
assassinate, Benedetto XVI ha fermato il tentativo di «cristianizzazione» della
Shoah a cui il suo
predecessore voleva arrivare, appropriandosi del simbolo stesso della Shoah.
Questo processo
cominciò già con Pio XII, che affermò che la Chiesa non fu collaboratrice del
Nazismo, bensì una
sua vittima».
Come si conciliano le posizioni espresse dal Papa con la sua strenua difesa
dell'operato del suo
predecessore?
«Benedetto XVI sa benissimo che cosa è successo durante la Seconda Guerra
Mondiale. Due cose
dette nelle scorse settimane mi fanno pensare che forse non sarà lui a fare la
beatificazione di Pio
XII. La prima cosa è che ha affermato di volersi prendere un periodo di
riflessione e la seconda è
che ci vorranno almeno 5 o 6 anni finché sarà possibile aprire gli archivi.
Quindi ritengo che voglia
lasciare la patata bollente al suo successore».
Questo appello è suscettibile di alleviare la tensione fra Vaticano e Stato
d'Israele?
«La tensione fra la Santa Sede e Israele è salita per ragioni artificiali ed è
stata montata da un certo
numero di persone, fra cui non ultimo il segretario di Stato, il cardinale
Bertone, che già il 5 giugno
2007 aveva affermato che le accuse a Pio XII risalgono al 1946-1948, "quando gli
ebrei stavano
formando il loro Stato". Non ci sono fatti obiettivi e divergenze possono
esserci anche fra Stati
amici. La cosa importante nei rapporti fra S. Sede ed Israele è che siano
risolte le controversie sulle
esenzioni fiscali delle istituzioni ecclesiastiche attive nel paese con piena
soddisfazione della
Chiesa. Israele ha generosamente concesso uno statuto, che tuttavia non ha quasi
mai rispettato.
Altri screzi seri non ce ne sono».
La difesa di Papa Pacelli da parte di Benedetto XVI è convincente?
«Si tratta di una difesa d'ufficio, non poteva farne a meno».
Ma non ritiene che sarebbe opportuno lasciare alla Chiesa gli affari della
Chiesa, senza
intromettersi in questioni di santità?
«La Chiesa ha pieno diritto di fare santo chi vuole e sono affari suoi.
Tuttavia, durante questo
processo, ha il dovere di ascoltare i dissensi. Se durante un passato
processo di beatificazione è stato
convocato un testimone da Israele, che aveva delle cose buone da raccontare, ora
non possono
ignorare i pareri dei non - cattolici, solo perché sono sfavorevoli».
in “la Repubblica” del 10 novembre 2008