«Laicità positiva» ma per chi?


«La laicità non è in contrasto la con la fede», ha detto il papa nell'aereo che lo portava a Parigi. Bene,
finalmente un papa che riconosce il valore per tutti i francesi della legge del 1905, esecrata da
tutti i suoi predecessori a partire da Pio X. Ma appena arrivato a Parigi, nei saloni dell'Eliseo, ha
dichiarato di apprezzare l'espressione usata dal suo illustre ospite nel suo controverso discorso nella
Basilica di San Giovanni in Laterano il 20 dicembre 2007, di «laicità positiva». Per cui si potrebbe
pensare che anche per lui, la laicità tout court, quella in cui vivono felicemente tutti i cittadini
francesi da oltre un secolo, sia invece in contrasto con la fede e quindi «negativa». Ma essendo
questo papa persona intelligente e profondo conoscitore dell'«esprit français», si potrebbe anche
pensare che abbia voluto invece rendere un omaggio alla «positività» della laicità francese. Ha detto
infatti testualmente: «Sul problema dei rapporti tra la sfera politica e la sfera religiosa, il Cristo
stesso aveva già offerto il principio di una giusta soluzione quando rispose a una domanda che gli
veniva posta: "Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio" (Mc 12,17). La
Chiesa in Francia gode attualmente di un regime di libertà. La diffidenza del passato si è
trasformata a poco a poco in un dialogo sereno e positivo, che si consolida sempre di più». Poi ha
aggiunto: «In questo momento storico in cui le culture si intrecciano, è diventata necessaria una
nuova riflessione sul vero senso e l'importanza della laicità». Benissimo, ma allora perché non
iniziare da una riscoperta di quella che è stata, alla fine dell'800 e all'inizio del '900, la nascita del
concetto stesso di laicità?

La laicità francese infatti si basa sulla distinzione, rigorosa ma non rigida, dei piani e dei concetti.
Ad esempio, quando si parla di spazio pubblico va precisato che esso si compone di due piani
distinti che non vanno confusi: quello politico-istituzionale proprio dello Stato e delle sue istituzioni
- a cominciare dal Parlamento dove gli eletti del popolo, e soltanto loro, sono chiamati a fare le
leggi - e quello della società civile in cui tutti, singoli e associazioni, possono esprimersi
liberamente a patto di non turbare l'ordine pubblico. Ora, in Francia, dal 1905, tutte le chiese,
comprese le parrocchie cattoliche, sono considerate giuridicamente come «associazioni cultuali» e
in quanto tali sono parte integrante della società civile e quindi dello spazio pubblico («Dal punto di
vista dello Stato laico, le chiese non sono delle istituzioni, sono delle associazioni», scrive al riguardo
Jean Baubérot nel suo ultimo libro, La laïcité expliquée à M. Sarkozy). Per cui quando si
dice che la legge del 1905 ha relegato le religioni nella sfera privata, escludendole dallo spazio
pubblico, si dice una cosa non vera. Come spiega molto bene Catherine Kintzler, esponente di
spicco della laicità francese, nel suo recente «Qu'est-ce que la laicité?»: «La Repubblica laica pone
a fondamento della città il principio di laicità che impone la rigorosa astensione dei pubblici poteri
(rispetto a qualunque credenza o non credenza), e proprio da questo principio di astensione (da
non confondere con sottrazione!) a livello politico-istituzionale deriva il fatto che «nella sfera della
società civile tale astensione non è richiesta e che tutte le posizioni, purché non siano contrarie al
diritto comune, sono lecite»
. Lo Stato in quanto tale non ha da essere né pluralista né tollerante, ma
soltanto neutro, ed è proprio grazie a questa neutralità (da non confondere con indifferenza) che la
società civile può essere pienamente pluralista e tollerante. La laicità quindi non va confusa con la
tolleranza o il pluralismo; sono cose diverse che si verificano nei due piani distinti dello spazio
pubblico.
In un suo articolo apparso su Le Nouvel Observateur il 26 febbraio scorso, intitolato «La
laicità non è la tolleranza», Jean Daniel cita questo «stupendo pensiero di un grande filosofo
protestante, Paul Ricceur»: «Se davvero le religioni devono sopravvivere, esse dovranno adempiere
a molte esigenze. Dovranno in primo luogo rinunciare a ogni specie di potere che non sia quello di
una parola disarmata; dovranno inoltre fare prevalere la compassione sulla rigidità dottrinale... ». La
differenza tra laicismo e laicità non sta, come spesso si dice, nel fatto che il primo sarebbe
un'ideologia e la seconda solo un metodo, bensì nel fatto che il primo vorrebbe cacciare via le
religioni anche dalla società civile mentre la seconda è quella che vi permette invece la loro piena
espressione.


Se invece, con la «laicità positiva», si intende far rientrare le religioni nel piano politico-
istituzionale di modo che esse possano «ispirare» direttamente l'elaborazione e la formulazione
delle leggi, si ricade semplicemente in una nuova forma di clericalismo che, come il vecchio, è
l'antitesi della laicità.
Lo ha detto molto bene il pastore Daniele Garrone, decano della Facoltà
valdese di teologia, nel suo intervento al Parlamento europeo di Bruxelles, il 28 agosto scorso,
nell'ambito del convegno «Laicità e religioni» promosso dal Partito radicale transnazionale: «Penso
cioè che la teologia cristiana, proprio a partire dal centro della sua confessione di fede, la cristologia
e la teologia della croce, dovrebbe rivendicare la laicità, la neutralità religiosa della sfera pubblica,
il separatismo, in vista di una testimonianza autentica perché non legata ad alcun vincolo imposto
ad alcuno né ad alcun privilegio. Nella nostra comprensione, proprio Cristo come rivelazione di Dio
e come unica mediazione implica la laicità della piazza su cui il suo nome è annunciato e
l'esclusione di ogni mediazione e tutela clericale».


Queste infatti sono le regole della democrazia che peraltro collimano perfettamente con i principi
della laicità. Alle chiese, tutte, non spetta il compito di fare o di influenzare le leggi ma di predicare
l'Evangelo: allo Stato non devono chiedere null'altro che garantire loro la piena libertà di esercitare
il proprio culto e di testimoniare pubblicamente la loro fede. Che è esattamente quello che afferma
il primo articolo della legge francese del 1905. Nell'ambito della società civile, le chiese, tutte,
possono dire quel che vogliono. Se poi non sono capaci di farsi ascoltare nella piazza pubblica,
reale o virtuale, in cui circola di tutto, questa è affar loro ma non possono pretendere dai pubblici
poteri di avere un palco più alto e altoparlanti più potenti degli altri.
La laicità alla francese è stata
inventata per permettere a tutti, religioni comprese, il vivere insieme nonostante le differenze. Di
questo, in fondo, il papa sembra avere preso atto, e ha preso sottilmente le distanze dal presidente
francese, affermando a Lourdes, davanti ai vescovi francesi, di non auspicare una revisione della
legge del 1905, perché riconosce una «specificità francese che la Santa Sede desidera rispettare».
Peccato che questo non valga per l'Italia!

 

Jean-Jacques Peyronel      in "Riforma” del 26 settembre 2008