«Sento puzza di fascismo e stampa di regime»
GIORGIO BOCCA La stampa libera sotto il fuoco
Non usa mezze parole per raccontare l'esistente, Giorgio Bocca. Un esistente brutto che lascia poco spazio all'ottimismo. L'abbiamo cercato per avere un'opinione sullo stato dell'informazione in Italia, sulla sua concentrazione in poche mani e sul tentativo del governo di chiudere le voci libere, fuori dal coro. Non serve dire che l'abbiamo trovato ben preparato in una materia «che ha direttamente a che fare con la democrazia e la libertà d'espressione». Bocca non è soltanto uno dei padri del nostro giornalismo, è da sempre un occhio attento puntato sulla società, sulla politica e sui poteri.
Chi non ha partiti e padroni alle spalle e per giunta si permette di
dissentire deve tacere. È questo il messaggio che arriva dal governo Berlusconi?
E se è questo, quale natura e quali esiti sottende?
Ho appena finito di leggere una lettera sul Foglio dove si sostiene che la colpa
della ferocia attuale è dell'antifascismo, da cui sarebbero nate tutte le
tragedie del secolo. A me sembra vero il contrario: l'antifascismo è stata una
battaglia per garantire a tutti, tra l'altro, la libertà di avere idee e poterle
esprimere. Ne deduco che, se oggi si impongono manovre come quella che punta a
chiudere le testate indipendenti dal potere e dalle sue direttive, questa è la
conferma che la preoccupazione di chi teme un ritorno al fascismo non è poi così
campata in aria.
Forse in altre forme, con altri mezzi?
Io conosco per esperienza diretta e per lo studio della storia il fascismo, e
oggi percepisco nuovamente il ritorno di quella minaccia. Come allora, di fronte
a una sventura la gente resta sorda, non si accorge dei rischi che corre la
democrazia. Aggiungo che anche parte della sinistra e delle forze democratiche
ritiene che si può andare d'accordo con chi oggi ha in mano la politica, il
potere. Non so se le forme del ritorno di una cultura fascista siano così
diverse da quelle di ieri, so che l'esito è lo stesso: prepotenza, repressione,
magari anche galera. Diceva Benjamin Disraeli (scrittore e uomo politico, primo
ministro inglese nella seconda metà dell'800, ndr ) che con la giustificazione
della necessità si compiono i delitti più spaventosi. Anche ora, in nome delle
difficoltà, certo quelle economiche dello stato, ma anche in nome dell'esigenza
di razionalizzare e modernizzare l'informazione, liquefanno la democrazia e
stanno uccidendo l'informazione. Si sbandiera l'idea di progresso per introdurre
ogni nuovo mezzo, che automaticamente si trasforma in strumento nelle mani dei
padroni e non certo dei dipendenti. Così la libertà sfuma, e a questo processo
si accompagna il taglio dell'ossigeno all'informazione libera e democratica.
La stampa democratica perde copie, quella
di sinistra rischia il collasso. La controriforma della legge dell'editoria che
cancella il diritto soggettivo al sostegno pubblico può rappresentare il colpo
di grazia. Almeno per il manifesto . Come mai tutto questo non fa scandalo?
Perché l'opinione pubblica è sensibile nei confronti di chi ha in mano il
potere, e l'informazione rafforza, deve rafforzare questo potere. È un circolo
vizioso pericolosissimo il rapporto tra un potere autoritario come quello che
oggi ci schiaccia e un'informazione di regime che «forma» l'opinione pubblica.
Berlusconi sostiene di avere il consenso del 70% degli italiani, forse esagera,
ma il 60% ce l'ha dalla sua. Non vorrei essere nuovamente pessimista, ma temo
che dovremo adattarci a forme di resistenza e lotte di minoranza.
Ma le minoranze restano mute, se i mezzi
di informazione liberi vengono soppressi con lo strumento della manovra
economica del governo.
È ovvio, bisogna salvare le voci libere. Ma non posso non chiedermi se sia
ancora possibile riuscirci. Certo non vorrei accodarmi a una marea generale
portatrice di disastri. Vedo davanti a noi un lungo periodo di crisi democratica
perché vedo crescere, nell'Italia di oggi come avvenne in quella che ho
conosciuto e combattuto da ragazzo, l'idea che i problemi debbano essere risolti
d'autorità da qualcuno lassù. Questa idea, che ieri invocava il Duce, ha ancora
successo tra gli italiani.
Se a questo siamo, c'è una responsabilità collettiva. È difficile tener fuori
la sinistra.
Sì, ci sarà pure una responsabilità collettiva. Ma in una situazione in cui la
sinistra e una storia comune vengono attaccate da tutti i fronti, non me la
sento di sparare sulla mia parte, non ho alcuna intenzione di accodarmi alle
crociate di Pansa. Per chiudere con l'informazione, non mi rassegno
all'esistente ma pavento un futuro in cui i giornali schifosi camperanno mentre
quelli liberi saranno crepati.
Loris Campetti Il manifesto 25/09/08