«Luciani, il
papa-ponte che avrebbe voluto non essere più un solitario monarca»
intervista a Giorgio Cracco a cura di Fulvio Fania
Dicono che sia stata una "svista" dello Spirito Santo. Quel Conclave d'agosto
1978 durò
pochissimo, appena 26 ore e quattro votazioni. Alla fine sorprese il mondo e
ancor più la Curia.
Sorprese perfino lui, Albino Luciani, il patriarca di Venezia che si ritrovò
improvvisamente papa, il
primo eletto dopo il Concilio Vaticano II da un collegio di cardinali elettori
in cui i curiali, i
conservatori e gli europei contavano meno di un tempo. Dalle sue confidenze al
sacerdote
veneziano Germano Pattaro, anziché lo stereotipo del papa ingenuo e sprovveduto
emerge un papa
temuto dai palazzi vaticani e pronto ad introdurre novità clamorose nella guida
della Chiesa e a
pronunciare mea culpa per le sue responsabilità storiche di istituzione. Non
secondo il sottile
bizantinismo delle "colpe dei figli della Chiesa" come i conservatori e il
cardinal Ratzinger
avrebbero invece imposto a Woityla.
Ma quella svista dello Spirito durò come un lampo. Soltanto trentatré giorni
dopo Giovanni Paolo I,
come volle chiamarsi in omaggio ai predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI, morì
nella notte. Poco
prima era morto improvvisamente, dopo essere stato ricevuto da Luciani, il
metropolita ortodosso
Nikodim. Sulle circostanze della morte del papa si addensò subito il mistero:
l'ora esatta, il male che
lo stroncò, i documenti che stava leggendo. Stava esplodendo lo scandalo del
banco Ambrosiano e
dello Ior e il nuovo papa faceva certo paura a Paul Marcinkus e ai manovratori
del grande affare.
Voleva rimuoverli e cambiare aria. La mancanza di un'autopsia, come sempre alla
morte dei
pontefici, e le contraddizioni vaticane sugli ultimi momenti di vita del papa
finirono per alimentare i
sospetti che circolavano: lo hanno avvelenato. Sei anni dopo il giornalista
inglese David Yallop
sostenne la tesi dell'omicidio nel suo In nome di Dio. Anche escludendo la
tazzina avvelenata, la
fine di Luciani resta la tragica rappresentazione di un papa letteralmente
schiacciato dal peso di
un'istituzione refrattaria ai cambiamenti.
Lo storico Giorgio Cracco, docente all'Università di Torino e segretario
dell'Istituto per le ricerche
sociali e religiose di Vicenza, ha indagato la figura e gli scritti di Luciani
prima di quei pesanti
trentatré giorni. E parla subito di un personaggio «scomodo».
«Non se ne parla, almeno nella ricerca storiografica. Chi affronta i papi del
Novecento difficilmente
si sofferma su di lui, con la buona giustificazione che un papato di 33 giorni è
davvero incompiuto.
Ce ne furono altri nella storia della Chiesa, durati poco più di un mese. E ci
fu la rinuncia di
Celestino V che, scrive Dante, fece «per viltade» il gran rifiuto. Questo
termine viltade secondo
studi più recenti non significa vigliaccheria ma si riferisce alle origini vili,
cioè di bassa estrazione
di quel pontefice. Un contadino, insomma, che non si era impersonato nel ruolo e
nel cerimoniale
dell'icona papale.
Ci sta dicendo che era "contadino" anche Luciani?
In qualche misura sì. Non si può certo affermare che se fosse vissuto non
avrebbe retto il peso del
pontificato. Semplicemente sto segnalando il non adattamento di questa figura al
papato. Ma non è
vero che non lasciò traccia. Se non ci fosse stato lui non avremmo avuto neanche
Giovanni Paolo II.
E' stato infatti un papa-ponte, ha permesso di arrivare ad un papa non italiano,
ha rotto un tabù.
Luciani aveva infatti una percezione universale. Era in contatto con tutte le
chiese del Terzo Mondo.
Monsignor Oscar Romero conservava tra i suoi documenti il suo Illustrissimi , il
libro che raccoglie
le lettere da patriarca di Venezia, tradotto in spagnolo. Inoltre, benché non
fosse preparato a fare il
papa, è forse l'ecclesiastico che ha trattato più diffusamente del papato.
Ma Wojtya fu diversissimo da Luciani.
Non c'è dubbio. D'altra parte Luciani era molto caro a Paolo VI e se ci sono due
personalità diverse
sono proprio lui e Montini. Tra loro c'era però una profonda affinità ideale.
C'è una grande
differenza tra un papa veneto e uno lombardo come Paolo VI. Nel Novecento la
Lombardia ha dato
papi di rilievo culturale, come Pio XI. Il Veneto invece ha dato papi modesti
per levatura sociale e
intellettuale, come Pio X che scatenò la battaglia contro il modernismo.
Potremmo aggiungere
anche Giovanni XXIII che ha origini bergamasche vicine alla realtà veneta. Sia
chiaro, Giovanni
Paolo I ha lasciato ben nove volumi di opera omnia, è un personaggio molto
provveduto. Però si è
fatto da solo, non proviene da un ambiente culturale. Montini, Luciani e Wojtyla
hanno il tratto
comune di essersi trovati coinvolti nel Concilio e nel post-Concilio. Giovanni
Paolo I ha espresso,
da vescovo, connotazioni molto conciliari.
Nelle sue confidenze da papa promise collegialità e mea culpa della Chiesa.
Insopportabile per
la Curia?
È difficile valutare i 33 giorni. Non sono a disposizione i documenti. Sappiamo
cosa disse ma non
possiamo sapere come avrebbe sviluppato certe convinzioni. Si dice che avrebbe
voluto istituire un
asilo per i poveri e che avrebbe voluto servirli a tavola. Sembra un aspetto
agiografico, in realtà
bisogna cercarne le ascendenze. Fu Gregorio Magno il papa che soccorreva
materialmente la gente
nell'Europa affamata dell'epoca. Luciani si richiamava molto a Gregorio Magno
così come fece
Roncalli. In Luciani è forte il riferimento alla Chiesa del primo millennio.
Quella del secondo
millennio invece è la Chiesa di Pio XII e oggi dello stesso Ratzinger il quale,
non casualmente, ha
scelto il nome di Benedetto. Il monaco di Norcia risale al primo millennio ma fu
completamente
rivisitato e piegato dalla Chiesa successiva. Papa Pacelli, proclamando
Benedetto patrono d'Europa,
sostenne che i monaci benedettini andarono dalla Spagna alla verde Polonia per
portare la voce del
papa, mandati dal papa. Anche l'attuale pontefice pensa a Benedetto come ad un
uomo del papa ma
questa è un'invenzione storiografica.
Sorpresa o no, l'elezione di Luciani fu una vittoria degli innovatori e fu il
cardinale Benelli a
tessere la trama.
Le teorie sui Conclavi sono sempre labili. Certo Benelli fu lo sponsor ma che
Luciani sia stato eletto
in sole quattro votazioni è singolare.
I conservatori non avevano i numeri per far prevalere un loro candidato.
Anche questo è vero. Ma anche Luciani era al contempo conservatore e innovatore.
In particolare è
noto che avrebbe preferito che Paolo VI non emanasse la Humanae vitae
(l'enciclica che condanna
la contraccezione, ndr ).
Quanto contò per metterlo in buona luce tra i più conciliari lo scontro
sostenuto ai vertici
della Cei contro il cardinale Siri?
Non saprei dirlo. Lo scontro ci fu. Luciani però era spigoloso anche con
personaggi di orientamento
opposto a Siri. Non era mai contento finché non aveva capito personalmente il
problema. Ho anche
scoperto che in Veneto non era molto amato come patriarca di Venezia. E' un
personaggio
complesso, non facilmente etichettabile.
Però, almeno sullo stile di Chiesa, non possono esserci dubbi circa il suo
orientamento
innovatore.
Sì. Va tuttavia aggiunto che nei suoi scritti Luciani non deflette mai dall'idea
del monolitismo del
papato. Può darsi che questo sia stato apprezzato al momento del Conclave dai
conservatori.
Comunque a rivelare l'atteggiamento di una parte della Chiesa, quella
conservatrice allora perdente,
fu una famosa intervista di Siri a Gianni Licheri, rilasciata dopo la morte di
Luciani in vista del
successivo conclave. Il cardinale di Genova affermava in sostanza di non capire
neppure che cosa
fosse la collegialità nella Chiesa. Era una critica a Giovanni Paolo I, neanche
tanto elegante visto
che era appena morto. L'elezione di Luciani fu la prima dopo il Concilio e la
prima col nuovo
sistema introdotto da Paolo VI che escludeva dal Conclave i cardinali
ultraottantenni. Nel collegio
improvvisamente la maggioranza europea si ridusse alla pari con la
rappresentanza del resto del
mondo.
Lo storico e vaticanista Giancarlo Zizola, escludendo il giallo sulla morte
di Luciani, sostiene
però che fu schiacciato dal peso di un'istituzione del papato sproporzionata e
da riformare.
Questa osservazione viene mossa a Luciani anche per gli incarichi precedenti.
Anche alla guida del
Patriarcato, anche nei rapporti con le banche.
Appunto lo Ior di Marcinkus…
In realtà sulla faccenda, sul piano storiografico, non si ricava ancora nulla. I
documenti sono segreti.
Lei personalmente ha mai nutrito dubbi sulla fine di Luciani?
Devo dire di no. Ma ci sono tanti modi di venir meno a questo mondo. Anche
quello di trovarsi
schiacciati dalla responsabilità. Ripensando alla sua idea di papato, esposta
negli scritti precedenti
all'elezione, colpisce la sua preoccupazione per la solitudine del papa.
Soffriva questa condizione
sul piano culturale e teologico prima che su quello psico-fisico. Voleva
collegialità. E davvero si
trattava di un'idea innovativa da parte di un ecclesiastico che era comunque
nato nel 1912. In fondo
la Chiesa dei primi cinquant'anni del Novecento era stata per molti versi una
Chiesa medievale. E
per un conservatore come Siri il papa doveva essere un monarca. Un papa solo
pastore appariva
decapitato
Liberazione 26 agosto 2008
(Si svolgerà dal 24 al 26 settembre il convegno su Albino Luciani organizzato
dall'Istituto per le
ricerche sociali e religiose di Vicenza, fondato da Gabriele De Rosa in
collaborazione con la
Fondazione Giovanni XXIII di Bologna e lo storico Alberto Melloni. Alla
preparazione hanno
contribuito Annibale Zambardieri dell'Università di Pavia e Giovanni Vian
dell'Università di
Venezia, autore della voce Giovanni Paolo I nell'enciclopedia Treccani. Nel
primo giorno i lavori si
svolgeranno a Canale d'Agordo e saranno dedicati al piccolo mondo del bellunese
dell'epoca
natale di Luciani. Il secondo giorno il convegno si trasferirà a Vicenza per
affrontare la figura di
Luciani vescovo e il 26 a Venezia in Palazzo Franchetti per il Luciani patriarca
della città.
Concluderà il ciclo una tavola rotonda sul 1978 come anno-cerniera nella Chiesa.
)