«La Bibbia è di tutti, non solo della Chiesa»
L'appello del mondo laico: «Va studiata come gli altri testi dell'antichità». Parla Giuseppe Barbaglio

Più Bibbia nelle scuole. Suona quantomeno stravagante l'appello lanciato la scorsa settimana dall'associazione laica «Biblia» e sottoscritto, in prima battuta, da un centinaio tra intellettuali (non tutti cattolici), biblisti, docenti e scienziati. Oltre cinquemila le firme raccolte e molti i nomi insospettabili: da Massimo Cacciari a Margherita Hack, da Gianni Vattimo a Emanuele Luzzatti. Ne parliamo col teologo e biblista Giuseppe Barbaglio, tra i firmatari e autore, tra l'altro, di Gesù ebreo di Galilea. Un'indagine storica (2002) e de Il pensare dell'apostolo Paolo (2004) entrambi per le edizioni Deoniane di Bologna.

Barbaglio, perché solo la Bibbia e non anche il Corano

Personalmente non avrei nessuna obiezione ma l'appello di «Biblia» - che non va assolutamente preso come chiusura rispetto ad altri testi - ha un altro obiettivo.

Quale obiettivo

Quello di leggere la Bibbia come un testo storico, letterario, mitologico e poetico dell'antichità nel quale rinvenire le radici culturali dell'occidente. Un testo senza il quale non è possibile comprendere - e non sono che due tra i numerosissimi e possibili esempi - il Requiem di Verdi o la «Cappella Sistina».

Ma non bastava l'ora di religione?

La proposta va in senso esattamente contrario. Lo studio della Bibbia deve entrare a far parte della formazione scolastica e culturale italiana alla stessa stregua di un dialogo filosofico o di un poema. Se relegato nell'ora di religione, rischia di mantenere un mero approccio confessionale.

Le gerarchie ecclesiastiche potrebbero non gradire, non crede?

Non possiamo sempre chiedere permesso alla Cei. Del resto cosa potrebbero obiettare questi vescovi? Loro considerano la Bibbia come la «parola di Dio»? Liberi di farlo, hanno anche un'ora di religione a disposizione e magari la riempissero con la lettura dei testi biblici! Noi la leggiamo come un testo dell'umanità.

Ognuno tira la Bibbia dalla sua?

L'incontro con la Bibbia - come con qualsiasi altro testo - deve innanzitutto mirare a produrre un dialogo fecondo tra noi e gli uomini e le donne che la abitano. Che rappresenti o meno la «parola di Dio», è discorso che riguarda la fede e la religione.

Dunque la Bibbia è di tutti, anche di chi non crede?

Paul Ricoeur ha scritto che nei testi c'è il mondo di chi li ha scritti. Questo mondo è ricco se noi siamo ricchi nell'interpellarlo e ogni testo è come un figlio che va per strade che il padre neanche immaginava esistessero.

La Bibbia come mitologia. Perché?

Quando parlo di mito non parlo di «favole» ma di un modo per riflettere sulle cose che non sono di immediata evidenza, sull'«ulteriore» insomma. Se epurati da ogni deriva confessionale, i testi biblici disvelano mondi, prospettive, orizzonti che - lungi dal dover essere imposti - costituiscono terreno fertile di confronto sul presente. Al di là di qualsiasi opzione religiosa o metafisica.

I suoi testi biblici più amati?

Senz'altro i primi capitoli della Genesi, là dove il mondo ebraico si interroga sull'origine del mondo e del male e lo fa attraverso narrazioni di carattere popolare.

E dov'è il carattere formativo?

Quando si dice che il mondo non è emanazione ma creazione di Dio, è come se si dicesse che «il mondo è il mondo» e «Dio è Dio». E' come riconoscere l'alterità di Dio rispetto al mondo oltre che la «mondanità» del mondo stesso. Anche il passaggio al monoteismo è una conquista simbolica: riconoscere il Dio unico fa piazza pulita di tutti gli altri dei, inginocchiarsi di fronte a un unico Dio vuol dire concedersi la libertà di non inginocchiarsi di fronte a nessun altro.

 

IAIA VANTAGGIATO    il manifesto  15/11/2005