«Vescovi sedotti dal fascismo»
C'è un elemento qualificante e peculiare nei rapporti fra Santa Sede e politica italiana che si rischia
spesso d'ignorare. Ed è il fatto che quei rapporti, per parte ecclesiastica, sono il frutto di una
stratificazione magmatica: come in una colata lavica, quando la superficie sembra ormai solida,
sotto si muovono correnti poderose e incandescenti; quando uno strato si solleva, è solo perché
sotto si muovono tendenze del tutto inattese e perfino indecifrabili a chi guardi le cose con
distrazione.
Vale per ogni età della Chiesa: ma verificarne l'esatta portata attraverso documenti di prima mano
consente di capire quanto grande sia lo scarto fra un livello e l'altro, quanto ampia sia la distanza
che separa discorsi ufficiali e pensieri in incubazione. Un lavoro critico di grande finezza, che Lucia
Ceci offrirà nel prossimo numero della Rivista storica italiana, ne fornisce una prova essenziale su
un tema crucialissimo come quello dei rapporti fra Chiesa e fascismo. Come già Emma Fattorini col
volume Pio XI, Hitler e Mussolini (Einaudi), Lucia Ceci lavora su quella straordinaria miniera che è
l'Archivio Segreto Vaticano, i cui anni rattiani sono ormai aperti agli studi e sui quali i grandi Paesi
— non l'Italia... — hanno organizzato reti di ricerca poderose.
L'attenzione di Lucia Ceci per la reazione ecclesiastica alla guerra d'Etiopia l'ha portata a contatto
col modo in cui attorno a Pio XI matura un giudizio sul fascismo e sul rapporto Chiesa-fascismo:
non solo negli anni finali del pontificato, ma ben prima.
Il saggio, che apparirà col titolo «Il fascismo manda l'Italia in rovina» pubblica un lungo memoriale
scritto da monsignor Domenico Tardini fra il 23 settembre del 1935 (Mussolini avrebbe annunciato
la guerra all'Etiopia il 2 ottobre) e il dicembre di quell'anno. Tardini era in quel momento
sottosegretario della Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari e dunque uno dei
collaboratori più importanti per la politica estera della Santa Sede. Noto per la penna caustica e la
franchezza, Tardini aveva tenuto un diario, in parte pubblicato da Carlo F. Casula, in cui affiorano in
forma di aforismi analisi spietate sulla Chiesa e sul mondo.
Ma sono poca cosa in confronto al documento che la Ceci pubblica ora: in quelle settimane fra
settembre e dicembre l'ecclesiastico romano stende per il Papa un'analisi complessiva del fascismo
alla luce dell'avventura africana: il «mito dell'impero» che, come ha mostrato Renato Moro, era
pieno di suggestioni nella cultura cattolica, illumina un ben diverso quadro, in cui Tardini vede una
«innumerabile massa di dementi», illusi dalla propaganda di regime. Mentre importanti cardinali
italiani offrono un sostegno alla campagna militare e L'Osservatore Romano rimane in una
posizione di prudente legittimazione della guerra, Tardini calcola e giudica le conseguenze sul clero,
che ai suoi occhi rappresentano «il disastro più grande»: il diplomatico romano concede che esso
debba essere disciplinato anche davanti al regime, ma osserva che «invece questa volta è
tumultuoso, esaltato, guerrafondaio. Almeno si salvassero i Vescovi. Niente affatto. Più verbosi, più
eccitati, più... squilibrati di tutti ». Pronti ad offrire oro alla patria con zelo sospetto «parlano di
civiltà, di religione, di missione dell'Italia in Africa... E intanto l'Italia si prepara a mitragliare, a
cannoneggiare migliaia e migliaia di Etiopi, rei di difendere casa loro... Difficilmente poteva
compiersi nelle file del clero un confusionismo, uno sbandamento, un disquilibrio più gravi e più
pericolosi».
Quell'allineamento al fascismo, che secondo Renzo De Felice rendeva le pur esistenti divergenze fra
Chiesa e regime «praticamente inavvertibili », viene smontato nelle sue premesse dalle note
tardiniane, riassunte in dieci lucidissime constatazioni di dati di fatto e di conseguenze: per Tardini
il fascismo 1. «ha creato una confusione tra partito, Italia, Duce», rendendo i capricci del Duce «la
rovina dell'Italia»; 2. «ha distrutto qualsiasi libertà di azione e di discussione. Conclusione: gli
italiani sono ormai un popolo di pecore che corrono dove il pastore, col bastone, le porta»; 3. «ha
educato le generazioni alla violenza. Conclusione: tutti sono eroi, pronti a menar le mani, sicuri che
mettendosi contro il mondo; 5. ha proclamato un impero, laddove tutto «si sta esaurendo in una
guerra coloniale, dura e dispendiosa»; 6. ha sbandierato «la forza, la grandezza, la ricchezza
dell'Italia. Conclusione: oggi un popolo di straccioni si dà arie da... Sardanapalo, un popolo debole e
poco evoluto si dà l'aria del più grande popolo della terra»; 7. ha creato una mistica del Duce,
«conclusione: non c'è più vita politica, non c'è più possibilità di preparare nuove energie per i
bisogni inevitabili del domani»; 8. ha preteso una docilità che ha reso l'Italia «un'accozzaglia di
schiavi, pronti sempre a dir di sì, a batter le mani, saturi... di entusiasmo»; 9. ha concentrato tutto
«nelle organizzazioni dello Stato» spogliando la Chiesa della propria forza; 10. ha creato «tutto un
groviglio di leggi, di consuetudini, di associazioni che pongono ogni cosa e ogni persona in balia
dello Stato. Conclusione: il comunismo troverebbe, domani, già pronte le leggi» per dar corpo ad
un'identica autocrazia.
Tardini si rende conto perciò che «la Chiesa di Italia è accusata di essere in combutta col Fascismo.
E con la Chiesa d'Italia, la Santa Sede. Mai la Santa Sede ha passato — credo — un periodo più
difficile di questo», nel quale rischia di «compromettere seriamente per un secolo il prestigio
morale» accumulato. Sulle cause Tardini è durissimo: senza la conciliazione «il clero non avrebbe
preso l'atteggiamento di oggi. E la difficoltà non sarebbe nata», giacché «il dissidio con l'Italia era
la miglior garanzia della indipendenza della Santa Sede...». Nel Vaticano del 1935 si può pensare:
«Beato dissidio tra Italia e Vaticano, quanti vantaggi hai portato! Che guaio, sia tu così presto
finito!», e ci si può chiedere «potrà il Papa continuare a tacere? E se parlerà che dirà?».
Quel futuro che è la nostra storia avrebbe risposto all'intelligenza del monsignore: ma rileggere
quelle domande che correvano sottopelle al magistero, fa capire che sono proprio quelle — le
domande — che spiegano e muovono ciò che altrimenti appare immobile e incomprensibile.
Alberto Melloni Corriere della Sera 8 marzo 2008