"CARO VESCOVO, RINUNCIO ALLA SICUREZZA SACERDOTALE
E PERSISTO NELLA LIBERTÀ DELLA FEDE"

 

Un altro prete che se ne va: lo scorso 18 luglio, don Dino d’Aloia ha scritto al suo vescovo, mons. Lucio Angelo Renna, per annunciargli la sua decisione di "sospendere il mio servizio di prete nella Chiesa cattolica". Quella di don Dino - un prete che i lettori di Adista conoscono bene per le sue lettere e i suoi interventi ‘Fuoritesto’ - è una decisione che arriva dopo una lunga e dolorosa riflessione: "Ho atteso sette anni", scrive don Dino, "prima di prendere questa decisione, ho sofferto molto e continuo a farlo, ma sento ora che è arrivato il tempo di compiere un passo, importante e dolorosissimo, ma che sia al contempo una scelta chiara che mi liberi dalla indeterminatezza in cui sono vissuto in questi ultimi tempi. Sento che sto vivendo le doglie per la nascita di qualcosa di nuovo nella mia vita".

Don Dino ha deciso di lasciare il ministero nella Chiesa perché, dice, "ho raggiunto delle convinzioni robuste che in diversi ambiti teologici ritenuti centrali dissentono dall’insegnamento ufficiale della Chiesa". "Io sarei felice", aggiunge, "di continuare a fare il prete dicendo e vivendo ciò che ho maturato dentro, ma questo non è possibile perché la Chiesa cattolica non transige sui dogmi e su alcuni ‘pilastri teologici’ cui io non riesco più ad aderire e che invece per lei sono fondamentali da professare".

La lettera di don Dino al suo vescovo, che pubblichiamo integralmente, era stata preceduta da un’altra, più ampia, in cui il prete spiegava al suo vescovo il proprio percorso e gli enunciava i punti, dottrinali e pastorali, in cui la propria ‘professione di fede’ divergeva da quella cattolica.

Il "grande desiderio di vivere la mia vita sulle orme di Gesù", che aveva portato don Dino ad entrare in seminario a 19 anni, non si è affievolito, spiegava, "anzi è persino cresciuto": "Oggi, però, dopo dodici anni di presbiterato, tanti miei modi di pensare sono cambiati, si sono evoluti in modo nuovo". E così, dopo un anno di riflessione in vari monasteri, e altri di nuovo in diocesi senza incarichi pastorali, poteva scrivere che "le mie convinzioni hanno preso forma e consistenza dentro di me, cioè non sono più ipotesi peregrine e oscillanti". Don Dino lascia il servizio nella Chiesa cattolica senza rancore, convinto che sia un’istituzione "ricca di uomini e donne grandi e straordinari" ma dove non c’è più spazio per "il pluralismo che caratterizzava i tempi dei suoi primi secoli".

Nella sua lettera, don Dino descrive il suo rifiuto per una teologia dogmatica e formalista, la sua concezione della consacrazione eucaristica non come atto "magico" ma come "gesto simbolico" in cui il pane "viene ri-significato attraverso il nostro memoriale della morte di Gesù e giunge a rappresentare la sua vita donata per amore", la sua convinzione che i divieti della Chiesa su divorzio, omosessualità, celibato presbiterale, ordinazione femminile e rapporti prematrimoniali siano inutili. "Questo è quanto ho maturato fino ad ora", conclude, "era giusto che, dopo anni di cammino lento e sofferto, facessi i conti con il vescovo come rappresentante della Chiesa cattolica istituzionale. Io sono, come tutti, una persona in cammino. A queste conclusioni sono arrivato fin qui. In futuro non so".

Di seguito, la seconda lettera di don Dino. (a. s.)

 "Ho atteso sette anni prima di prendere questa decisione, ho sofferto molto e continuo a farlo, ma sento ora che è arrivato il tempo di compiere un passo, importante e dolorosissimo, ma che sia al contempo una scelta chiara che mi liberi dalla indeterminatezza in cui sono vissuto in questi ultimi tempi. Sento che sto vivendo le doglie per la nascita di qualcosa di nuovo nella mia vita.

Con la presente lettera comunico la mia decisione di sospendere il mio servizio di prete nella Chiesa cattolica. Lo faccio perché voglio bene a lei e perchè voglio bene a me stesso. Non mi sentirei più onesto nel celebrare messa insieme all’assemblea recitando frasi e compiendo gesti in cui non credo più, o meglio, in cui credo in modo diverso da come il catechismo ufficiale della Chiesa li propone. Ad oggi non ci sono quindi le condizioni perché io continui ad esercitare il ministero. Non so cosa possa avvenire domani.

Per diversi anni ho approfondito la mia ricerca teologica e spirituale. Ora ho raggiunto delle convinzioni robuste che in diversi ambiti teologici ritenuti centrali dissentono dall’insegnamento ufficiale della Chiesa. Io sarei felice di continuare a fare il prete dicendo e vivendo ciò che ho maturato dentro, ma questo non è possibile perché la Chiesa cattolica non transige sui dogmi e su alcuni "pilastri teologici" cui io non riesco più ad aderire e che invece per lei sono fondamentali da professare. La crisi di coscienza che ho vissuto in questi anni è presente anche in molti altri cattolici, preti compresi. Diversi preferiscono non esternarle, pochi altri decidono di parlarne e a volte di abbandonare, perché può succedere, come nel mio caso, che la crisi si è fatta troppo lacerante.
In una recente lettera ho comunicato per iscritto il mio pensiero e le mie evoluzioni. Mi è stato consigliato di tenere per me, in silenzio, le mie convinzioni personali e di non comunicarle ai fedeli. A loro va trasmessa solo la verità professata dalla Chiesa cattolica. Ho meditato a lungo su questo consiglio e ho deciso di non attuarlo, malgrado fosse motivato da tanto amore nei miei confronti e dal desiderio di vedermi comunque inserito nella Chiesa. Ritengo invece che sia mio dovere esprimere apertamente ciò che la coscienza mi suggerisce, anche se questo va a pregiudicare l’esercizio del sacerdozio nella Chiesa cattolica. Non voglio vivere nascondendo le mie convinzioni e quello che sono. Sento invece dentro di me un irrefrenabile impulso alla libertà, pur nel rigoroso rispetto del cammino degli altri.

Non sospendo l’esercizio del ministero perché disprezzo la Chiesa Cattolica, anzi la amo e continuerò a servirla così come potrò, ma sempre senza compromettere la mia libertà e il rispetto della mia coscienza. Sento invece che continuando a starci dentro come prete la userei soprattutto per il ruolo sociale e la posizione sicura che mi garantisce.
Continuo il mio servizio alla causa del vangelo nell’ottica ecumenica nella quale mi sento a mio agio. Svolgerò il mio impegno spirituale e sociale presso la Casa Ecumenica Eirene ed altri spazi ecumenici in cui riesco ad operare nella serenità e nella libertà. Il mio impegno dunque continua con la grinta e l’entusiasmo di sempre. Cambia solo la forma.

 

San Severo, 18 luglio 2007         don   Dino d’Aloia

Adista Notizie N°59   2007