Non siamo tutti
papisti
Il vescovo di Roma era atteso in Francia venerdì 12 settembre. In
questa occasione non è proibito
sognare un cambiamento. Non un cambiamento nei discorsi secolari dei papi,
certamente – non ci
sono più così tanti ingenui sulla terra abitata a sognarlo – ma un cambiamento
degli altri, di coloro
che l'accolgono o ritrasmettono l'evento presso i 60 milioni di consumatori del
fatto religioso.
Non solo si è in diritto di sognarlo, ma anche si è, credo, in dovere di
esigerlo. Perché sino ad oggi,
ogni volta che l'attualità mette in prima pagina i fatti e i gesti di un papa,
qualunque sia – tutto
avviene come se il nostro paese fosse improvvisamente colpito da aberrazione
collettiva. Come se
non stesse bene essere neutri e oggettivi. Come se l'infallibilità
autoproclamata meritasse un
trattamento a parte.
Un papa appare e subito anche i media abitualmente molto rispettosi della
deontologia giornalistica
entrano in stato confusionale, se così posso esprimermi. Gli stessi bastioni
laici della République
non sono lontani talvolta dal vacillare, almeno per un attimo. Mentre,
d'altronde, anche i
rappresentanti ufficiali delle altre religioni sono improvvisamente colpiti da
improvvisa tiepidezza
nell'espressione della loro fede non cattolica.
Davanti ad un papa, sino ad oggi, ci si inchinava, qualche volta in senso
proprio, molto sovente in
senso figurato. Questo succede ancora ed è ora che cambi. Nella nostra dolce
Francia repubblicana
e laica è giunto il momento di dire: basta!
Basta eccezioni all'oggettività nei media, basta eccezioni alla stretta laicità
nella République, basta
eccezioni alle convinzioni di ciascuno negli incontri ecumenici. E gli esempi
sono numerosi.
Per una minima manifestazione, per qualunque raduno, ci saranno sempre, come si
deve, due stime
del numero dei partecipanti; un certo numero secondo gli organizzatori, un altro
secondo una fonte
diversa. Ora, in molte occasioni, quando si tratta di una visita papale, solo la
stima degliorganizzatori è resa pubblica.
È per caso che non si contraddice quando la fonte è la
«Chiesa»?
Perché è così che spesso è chiamata l'istituzione cattolico romana. Come se non
ci fosse che una
sola Chiesa! Se fosse la stessa cosa in politica, se si dicesse sui media “il
partito” al posto di “il
partito X, Y o Z” ci sarebbe subito una protesta, giustamente: l'informazione
deve essere obiettiva e
non assumere il solo linguaggio dei militanti.
E tuttavia si sente dire “la Chiesa” al singolare, come se le 347 Chiese
cristiane del Consiglio
ecumenico delle Chiese non esistessero. Come se si ignorasse che su due miliardi
di persone di
denominazione cristiana nel mondo, più di un miliardo non è collegato a Roma!
Ed è così che si scivola talvolta sino a chiamare il papa “capo della
cristianità”. In un paese in cui in
passato decine di migliaia di martiri cristiani protestanti non hanno esitato a
perdere la loro vita sui
roghi per dire di no a quel capo, perché ritenevano che non c'è mai stato altro
capo della Chiesa che
il Cristo stesso, il quale non ha bisogno di un “vicario” sulla terra.
Certamente non siamo più nel XVI secolo. E ne siamo felici. Ma, nel XXI
secolo si ha finalmente il
diritto di dire di no, senza finire tra le mani dell'Inquisizione. Libertà,
uguaglianza, fraternità sono
stati acquisiti a caro prezzo. Allora basta “sbavature” repubblicane, messe
cattoliche organizzate a
detrimento della stretta laicità, ai nostri giorni in parecchie occasioni – come
quelle celebrate
d'ufficio, per esempio, anche per morti non cattolici, in occasione di tale o
tal'altra causa nazionale.
Basta uniformità, in nome di un'ipotetica unità. Basta compromessi e consensi
ecumenici:
“Dialogare” con un interlocutore che si pretende infallibile in materia di fede
non è né possibile né
auspicabile. L'invito di un capo spirituale, qualunque sia, che dicesse
in sostanza “sono io che
detengo la verità, venite dunque, fraternamente, perché se ne discuta” non
dovrebbe mai poter
essere preso sul serio. E ancor meno controfirmato.
Per fortuna l'inquisizione non esiste più. Si chiama ora Congregazione per la
dottrina della Fede. E
anche se il suo sogno resta lo stesso, cioè ricondurre tutti nel girone di Roma,
ha cambiato però
radicalmente metodi, nel nostro secolo. Quelli del Medio Evo non avevano del
resto dato buoni
risultati. Etimologicamente la parola “cattolico” vuol dire “universale”: questo
obiettivo totalitario,
grazie alla resistenza coraggiosa degli oppositori, nel corso dei secoli, non è
stato raggiunto. Oggi in
Francia il 95% degli abitanti non va a messa. E nel mondo, 80% non sono
cattolici romani.
Allora non lasciamo sommergere insidiosamente questa bella vittoria della
libertà sotto un' onda di
tiepidezza consensuale. Il vescovo di Roma deve trascorrere qualche giorno in
Francia. Diamoci da
fare perché i media ritrovino tutta la loro professionalità – la Repubblica
tutta la propria vigilanza
per il rispetto della laicità – e i protestanti tutto il loro rigore
intransigente. Così noi potremmo dire
insieme: non tutte le strade portano a Roma. E alcuni di noi avranno voglia di
aggiungere: Grazie a
Dio!
Irène Droit (predicatrice laica in una chiesa della
Riforma, realizzatrice di trasmissioni di
radio protestanti)
in “Le Monde” del 13 settembre 2008