Nella chiesa c'è troppo agio e troppo disagio
Nella chiesa c’è troppo agio e troppo disagio. Rafforzato il papato, è stata eclissata la sinodalità. Il
popolo di Dio, posto dal Concilio al centro della chiesa, è di nuovo messo da parte. Ma anche il
papato, forza e debolezza del cattolicesimo, si trasforma. Pio era un idolo (alcuni di noi lo ricordano
bene); Giovanni un vero sant’uomo, illuminato (il 28 ottobre bisogna ricordare il 50° della sua
elezione); Paolo un intellettuale sincero e tormentato; Giovanni Paolo un grande capo, un
condottiero conquistatore (con quale successo?); Benedetto un professore: le sue encicliche e
conferenze sono discusse come quelle di uno dei tanti teologi. Sono scesi dal cielo alla terra: bene
così, se non guardano solo alla terra o solo al cielo.
I vescovi, salvo qualche coraggioso, stanno docili sotto le direttive centrali, sempre timorosi di
essere scoperti fuori linea. Dalle loro chiese, i più temono soprattutto di essere messi in difficoltà
con Roma. A Torino, dimessosi per età l’arcivescovo Poletto, che resta in funzione, confermato per
due anni, mentre comincia il toto-vescovo, nel quale è escluso solo l’ascolto della chiesa locale. Il
gerarchismo cattolico decide per tutti, da solo. Qualche volta ha deciso bene, ma non è bene
decidere così. La stampa cattolica per lo più loda e tranquillizza, e tace i problemi. La parola della
chiesa è più predica morale sui soliti punti, che annuncio evangelico. La chiesa figura come una
delle parti della società, coi suoi valori e interessi, non lievito e sale.
Sono attraversate le differenze confessionali. C’è un popolo ecumenico, composto dai cristiani più
impegnati, ma più come rifugio dai disagi che come maturazione delle questioni che ci hanno
diviso. Frequentiamo, molti tra noi, la messa cattolica o il culto protestante (questo meno
partecipabile dal popolo), dando lo stesso valore sacramentale all’uno e all’altra, con buona pace del
Vaticano. Leggiamo teologi, frequentiamo incontri e associazioni, senza chiederci se sono cattolici
o protestanti. Conta pregare, pensare, operare per la giustizia. Due di noi, in questa redazione, sono
valdesi e quasi non ce ne accorgiamo: difetto dei valdesi o dei cattolici? Merito di entrambi. Più
protestanti loro o i cattolici? Non lo sappiamo.
Lo scisma che denunciava Pietro Prini è sempre meno sommerso, sia nei cattolici tranquilli sia negli
inquieti e disagiati. Molti, in morale e in politica, si regolano in coscienza, senza ribellarsi. Le
direttive gerarchiche, c’è chi le ignora, c’è chi le ascolta e poi decide da sé. Però ci sono anche molti
che ai tormenti della coscienza preferiscono l’obbedienza, con altri tormenti.
Papa e vescovi amano oggi singolarmente discutere coi filosofi su Dio e la ragione, e scelgono
volentieri interlocutori non credenti (vedi Ratzinger-Habermas, ieri, e, oggi, Scola- Flores d'Arcais),
mentre evitano il confronto coi teologi credenti e soprattutto sui temi cruciali della fede. Con questi
preferiscono censurare o pontificare.
I cattolici a loro agio nella chiesa partecipano al culto ma assai meno alla intera vita ecclesiale. Ai
più sono offerti santuari, santi e adunate attorno al papa (per tacere di Radio Maria). Si arriva a
disseppellire corpi di santi (un vescovo è indagato per vilipendio di cadavere!) e farli viaggiare,
venerati come idoli, quasi un’altra religione, che non ha come cuore Cristo e il suo Spirito.
Non mancano gruppi ecclesiali, in diverse città, tra cui Torino, che rivendicano pacatamente il ruolo
dei laici, nel pensare e nel decidere, non solo sulla politica, e propongono riflessioni sostanziose
nella base. Propongono, non polemizzano, non attendono imbeccate né chiedono autorizzazioni.
Ma che ne è della fede nelle giovani generazioni? Compaiono in raduni entusiastici, ma poi? Più
seriamente frequentano centri di spiritualità. Quanti hanno abitudine con la Bibbia e la preghiera?
Impossibile misurarlo, ma è questo il fattore decisivo. La chiesa perde queste generazioni? Oppure
le trattiene la chiesa più della fede? Cristo non è più ovvio. Oggi la formazione personale non
finisce a 18-20 anni, ma spesso riprende dopo i 30. Però, quale comunità, quale lettura consigliare a
questi “ritornanti”? Qualcuno, dall’interno, dice che le parrocchie e i preti sono spossati dalla
gestione aggregativa e sacramentale prevalente sulla formazione, sulla evangelizzazione.
Scomparirà il cristianesimo storico?
in “il foglio” n. 351 – mensile di alcuni cristiani torinesi - dell'aprile 2008