Nel paese di Pulcinella spaventato dalle lumache


La paura in politica è un abbondante serbatoio di voti, come pure il coraggio. Durante tempi eroici
diventa maggioranza chi fa leva sulla resistenza alle avversità, sul sentimento di sacrificio e di
slancio solidale. Durante tempi vili vince chi aizza le paure, i rancori, circondando la vita civile di
filo spinato. La povera nazionale di calcio ai campionati europei ha rappresentato bene il nostro
blocco nervoso difensivo senza slancio in avanti La paura è una merce deperibile. Ci stanca, ci si
abitua, perde presa, allora bisogna rinnovarla con stratagemmi. Ci si propone di schedare in massa
gli zingari, rilevare impronte digitali anche ai bambini. La misura stuzzica l'immaginazione a fare di
più: invece di far loro lasciare un'impronta, perché non provvedere piuttosto a mettere un'impronta
su di loro? Un tatuaggio obbligatorio, magari un numero su un braccio? Sarebbe costoso. Ma si può
imporre loro di portare sul risvolto del vestito, bene in vista, una zeta cucita, lettera ultima del
nostro alfabeto, per loro lettera iniziale di riconoscimento. E poi buttarla anche sul ridere, come fece
il film
La vita è bella. Il padre spiegherebbe al figlio che è la zeta di Zorro.
Il bello di chi sfrutta la paura, il suo vantaggio, è che procura amnesia. Dimentica il tempo
precedente, dà a un paese invecchiato l'aria imbambolata di uno nato ieri. Le impronte digitali ai
bimbi zingari sono razzismo? Ma no, sono gli zingari a voler essere una razza, è una scelta loro.
Da noi si mettono nei campi di concentramento migratori colpevoli di viaggio, madri e bambini
inclusi se no è troppo poco. Da noi si chiamano Centri di Permanenza Temporanea: permanenza, un
buon nome alberghiero per un posto con sbarre, filo spinato, guardie. Servono i campi di
concentramento a fermare il flusso migratorio? No, ma servono molto a compiacere il sentimento di paura ben aizzato.

È razzismo la caccia all'immigrato? Ma no, è opera di scoraggiamento a fin di
bene. Il razzismo, come la mafia, non esiste. Il sospettato di esserlo nega come Totò Riina: «Tutte
bugiarderie». La differenza sta solo nel fatto che uno sta in prigione e l'altro al potere.
Nella città della mia infanzia si usa un'espressione per la persona che si impaurisce facilmente:
Pulcinella spaventato dalle lumache. Le vede nel cesto che tirano fuori le corna e se ne scappa. Il
nostro è un paese spaventato dalle lumache. Non è il caso di chiamare razzista la sua paura e le
meschine misure di compiacimento dei peggiori sentimenti. Razzismo è una parola tragica e seria, il
razzista è uno che va a fondo della sua avversione e si permette di trascurare il suo vantaggio: il
razzista azzanna e perseguita anche il ricco della specie odiata. Da noi invece si perseguitano solo i
poveri, che siano dirimpettai albanesi o remoti curdi. Se sono ricchi offriamo loro volentieri mogli e
figlie
. Il razzismo è un odio disinteressato, il nostrano è una varietà condita di tornaconto.
Sono tempi per vili, orgogliosi di esserlo.
Non mi auguro tempi eroici, non troverebbero personale
di rappresentanza.
 

Erri De Luca      Corriere della Sera  5 luglio 2008