Negli Stati uniti il legame tra religioni e politica
Non con l'intensità che è tipica delle rive del Tevere, ma
anche negli Stati uniti il rapporto tra religioni (plurale è d'obbligo) e
politica si fa più stretto in vista delle elezioni. Comunque si ha l'impressione
che le religioni contino, sì, ma sempre di meno. Tutte più o meno in crisi,
eccetto l'Islam. Qualche dato, fra i più significativi.
Primi sempre i protestanti, anche se in calo (51 per cento). Seguono i cattolici
(25 per cento), poi le comunità di mormoni, ebrei, musulmani, eccetera. In
grande crescita, giorno dopo giorno, gli americani che non si identificano in
alcuna religione. Più o meno come da noi.
Nelle due ultime elezioni presidenziali il repubblicano Bush, di fede battista,
fu appoggiato oltre che dai battisti, da un buon numero di protestanti e
cattolici piuttosto conservatori.
E questa volta? Sembra che lo stesso schieramento di cristiani preferisca un
candidato democratico (Barack Obama o Hillary Clinton) anche perché il candidato
repubblicano McCain è accusato di essersi schierato contro la sacralità della
vita e di non avere difeso abbastanza gli embrioni, di non avere condotto una
battaglia decisiva contro la cultura gay e di adottare un linguaggio scurrile
associato ad un caratteraccio.
Comunque non si devono dimenticare i battisti come Jimmy Carter decisamente
schierati a favore dei diritti delle minoranze e della giustizia nel mondo.
Anche negli Stati uniti, dunque, come da noi, l'influsso della religione nelle
scelte politiche è decisamente potente ma anche ambiguo.
Un caso da analizzare a parte è quello dell'Islam.
Filippo Gentiloni Il manifesto 23/03/08